Recensione di Salvatore Augusto Tonti: “Il corpo crudo” di Valeria Bianchi Mian (Edizioni del Capricorno | Piemonte in Noir | La Stampa)
Il giallo viene considerato letteratura di evasione, una letteratura “di consumo”, un genere minore.
Neil Gaiman non la pensa così: “La letteratura d’evasione è semplicemente questo: storie che aprono una porta, ti mostrano il sole che c’è fuori, ti offrono un posto in cui andare dove il controllo ce l’hai tu, sei con le persone con cui ti piacerebbe stare (e i libri sono luoghi reali, non ci sono dubbi); soprattutto, durante questa fuga, i libri possono anche farti imparare qualcosa sul mondo e sulla tua situazione, darti delle armi, una corazza: cose reali che puoi riportare in prigione con te”. (Gaiman N., Questa non è la mia faccia. Saggi sparsi su leggere, scrivere, sognare e un mucchio di altra roba, Mondadori, 2019).
La riflessione di Gaiman si attaglia alla perfezione a questo lavoro di Valeria Bianchi Mian. È, infatti, pur nella sua estensione contenuta, un romanzo stratificato. Il lettore-la lettrice possono limitarsi al suo strato superficiale, oppure scavare il testo per osservarne gli strati sottostanti. È anche una sorta di romanzo quantistico. La fisica dei quanti ha scoperto che tali sub-particelle hanno una strabiliante capacità: nello stesso istante possono essere in due luoghi diversi nel tempo e nello spazio. Anche il testo di questo romanzo ha al suo interno come dei quanti, particelle (un nome, una frase) che contemporaneamente rimandano allo spaziotempo della storia narrata e a un’altra dimensione: mitologica, esoterica, archetipica. È suggestivo leggere con lentezza per andare alla scoperta di queste dimensioni aliene.
Il romanzo è la storia di un efferato ed elaborato omicidio occorso a Torino, città notoriamente anche notturna, magica ed esoterica. Un giovane e geniale artista fotografo trentatreenne viene ucciso nella sua abitazione-studio di Via Ormea 105. Vi è arrivato attratto da un mascherone (quelle teste di fauni e dèmoni che ornano innumerevoli edifici torinesi) sulla facciata del palazzo di fronte. Un elemento architettonico che è già un primo segnavia. Là, a quel civico 105, si affitta un un appartamento.
Lo stabile è di proprietà di una coppia di macellai, Remo e Filomena Olmotti, che hanno il negozio al piano terreno. Carne, sangue, uccisioni, odore di paura e di morte, orrore. Ecco un altro segnavia che ci viene dato. Chi ama i Tarocchi può poi tentare di identificare nel mazzo la figura della macellaia: è forse la Papessa?
Il giovane artista talentuoso si chiama Bruno Sirio. Questo cognome rappresenta un’altra scintilla di significato. Sirio, la stella della costellazione del Grande Cane, è l’astro più luminoso del cielo notturno, venti volte più grande del nostro Sole. È un sistema binario. Sirio ha infatti una sorella molto più piccola e oscura, Sirio-B, una stella collassata dalla enorme densità. Sirio, il Lupo celeste dei nativi nordamericani, da millenni è intrecciato alla storia umana. Essa è presente nella cosmogonia di molte antiche civiltà. È una significativa presenza nello sciamanesimo, nell’alchimia, nell’esoterismo. Sirio è il sole della dimensione spirituale, così come il Sole della nostra galassia lo è del mondo fisico.
Bruno Sirio, l’estroso fotografo brutalmente assassinato, ha anche un nome d’arte: Dio+ – non solo divino quindi ma divino al quadrato.
Un soprannome che gli è stato dato dalla sua matrigna che scopriamo esserne stata anche l’amante. L’unica donna che lui non abbia distrutto. Ma la sua personalità come ci viene descritta corrisponde all’archetipo astrale? Forse solo nella sua potenza creatrice. Bruno Sirio è un narcisista patologico. Il suo daimon creativo non si esprime solo nella fotografia ma anche attraverso il sesso. Usa il sesso come strumento di potere per soggiogare le donne che vengono inesorabilmente attratte nel suo campo gravitazionale. E quasi tutte fanno una brutta fine: pazze, alcoliste, tossicodipendenti.
Mi sembra dunque che Bruno Sirio della luminosità spirituale del “Grande Maestro”, del Sole dietro al Sole, abbia poco o punto. È un paradosso quel cognome. Bruno Sirio è piuttosto simile a un buco nero. Un corpo celeste che divora la materia e la luce. E come un buco nero, Bruno Sirio è un simbolico portale che introduce ad altre ignote dimensioni dell’Essere.
Il romanzo è articolato su due piani narrativi. Uno è il racconto dell’omicidio, la scoperta di chi l’abbia ucciso, la descrizione dei personaggi maschili e femminili che gravitano intorno al fotografo. Il secondo piano narrativo è il racconto in prima persona del licantropo, il lupus humanarius, che scorre parallelo a quello dell’assassinio. Un altro segnavia simbolico e archetipico che l’Autrice offre alla nostra riflessione. Nell’omicidio c’è un elemento che gli fa assumere una dimensione rituale: è stato evirato. Lo psicologo junghiano amico dell’anatomo-patologo incaricato degli esami autoptici, richiama il rito dell’evirazione di certi antichi culti come quello della dea Cibele, la Grande Madre.
È stata forse l’evirazione la vendetta dell’offesa arrecata al femminino rappresentato dalla divinità?
Dalla storia emergono ancora numerosi altri elementi simbolici. L’amico intimo di Bruno Sirio si chiama Michele (che in ebraico significa “nessuno come Dio”), come il Principe degli Angeli, l’arcangelo vendicatore di Dio contro Lucifero, l’Angelo Ribelle. Michele è legato a Bruno Sirio da un “patto di sangue” che quest’ultimo gli ha imposto quando erano ragazzini, suggestionato dalle leggende norrene sugli Ulfhednar, i guerrieri-lupo. E Michele, come l’Arcangelo, si vendicherà infine di questa e delle altre innumerevoli angherie che l’amico gli ha fatto subire nel corso degli anni.
L’amica di una delle donne protagoniste della storia, Valeria, che si diletta nella lettura dei Tarocchi, vede Bruno Sirio nella carta il Diavolo e anche questa identificazione sottolinea il paradosso di quel cognome. Tutte le storie dei personaggi, maschili e femminili, protagonisti del romanzo, con la sola eccezione, forse, di Valeria la lettrice di tarocchi e della matrigna-amante del fotografo ucciso, sono segnate da sofferenza e da un trauma vissuto che ha provocato in loro un dolore squassante e perdurante. Specialmente le donne. E anche quella del licantropo è una storia di dolore, che ci fa provare empatia e compassione nei suoi confronti. Una dimensione “sensoriale”, “carnale”, come la stessa autrice l’ha definita è presente lungo tutta la narrazioni.
Odori, profumi, umori, sapori, materialità.
Questo romanzo è una riflessione sulla banalità del male che giace silente dentro l’anima, finché qualcosa non lo risvegli.
C’è, nel libro della Genesi, un passo magnifico che raffigura il male accovacciato all’uscio della nostra casa. Gli basta che si apra uno spiraglio perché si introduca nella nostra vita e la devasti.
C’è in tutti noi una dimensione oscura, una potenza demoniaca che può all’improvviso deflagrare.
«I buoni lo immaginano [fare il male, ndr], i cattivi passano all’azione»
dice Maristella all’amica Dorina che, celiando, la invita a liberarsi di Bruno Sirio. Ascoltare il dolore proprio e altrui, coltivare la compassione e l’empatia può essere un modo alternativo al tenere avvinta la Bestia da una energia spirituale positiva.
Questo, sopra ogni altra cosa, sembra suggerirci di fare la lettura del romanzo Il corpo crudo.
Torino, 17 aprile 2023
Salvatore Augusto Tonti Nato nel 1954, ha frequentato il Liceo Massimo D’Azeglio di Torino. Due suoi compagni di classe, Anna Pavignano e Riccardo Borgogno sono poi diventati buoni scrittori. Lettore onnivoro, ama i fumetti, specialmente quelli della Bonelli, e la letteratura designata, le graphic novels. Ha un sogno, vorrebbe un giorno poter nuotare con i delfini e stare in compagnia dei gorilla di montagna. Ha due animali-totem: il lupo e l’elefante.
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