A tentoni nel buio di Paolo Polvani |L’unica carriera alla quale sono interessato è quella umana (note di lettura a C’è un fuoco da portare, di Christian Tito, Edizioni Pietre Vive, 2022)

 

 

        Molteplici sono i motivi che inducono ad apprezzare e ad amare C’è un fuoco da portare, volume che raccoglie una considerevole e importante parte della produzione poetica di Christian Tito: a partire dalla copertina e dalle opere che illustrano il libro, un omaggio a Cristiano De Gaetano, artista che con il poeta ha in comune la città di provenienza, Taranto, e oltre al nome, la breve e sfortunata parabola, essendo entrambi scomparsi in giovane età.

        Si tratta di opere molto belle nella particolare atmosfera che suggeriscono e fanno nascere il desiderio di saperne di più, di approfondire la conoscenza di un autore considerato una promessa. Roberto Lacarbonara scrive a proposito di questo artista: “Le sagome di legno che Cristiano De Gaetano ha ritagliato e poi dipinto (scolpito? modellato?) con la cerapongo mostrano ritratti a mezzobusto, oppure gruppi (di famiglia, di pari, di sconosciuti); via i contesti, via gli sfondi, via la storia: isolati nella decisa e recisa sforbiciata dello scontorno, sono tutti – e forse siamo – personaggi, pedine, sagome”.

      Inoltre l’impaginazione e la cura del dettaglio che sempre contraddistingue i piccoli, preziosi libri di Pietrevive, con quella pagina nera iniziale e quella finale che rappresentano una specie di marchio di fabbrica e che mi ricordano le eleganti edizioni friulane Studio Tesi. Inoltre la bella, appassionata, colta prefazione di Giusi Drago, che realizza la missione delle buone prefazioni, illustrare le caratteristiche salienti di un libro e incoraggiarne la lettura. Qui vengono profuse insieme competenza e affetto, sapiente argomentazione e sincerità.

      Molto bella infine la scelta del titolo, che riprende un verso di Christian, e  riassume l’atmosfera tutta del libro, ne compendia lo spirito, e sono certo che sarebbe piaciuto all’autore. Una scelta coraggiosa è stata quella di non seguire una scansione cronologica nella presentazione delle poesie. Nella prefazione viene esplicitato molto bene il motivo: “La scelta delle poesie è stata fatta come se si trattasse di accompagnare il lettore lungo un particolare percorso di maturazione umana e letteraria. Proprio per questa ragione, paradossalmente, si è scelto di non rispettare l’ordine cronologico delle varie raccolte e di ricomporle in modo più libero, a favore di una nuova organicità dell’opera”.

      

 

   Un libro molto bello di Giorgio Agamben, Il fuoco e il racconto (nottetempo 2014), contiene questo brano significativo: “L’umanità, nel corso della sua storia, si allontana sempre più dalle sorgenti del mistero e smarrisce a poco a poco il ricordo di quel che la tradizione le aveva insegnato sul fuoco, sul luogo e la formula – ma di tutto ciò gli uomini possono ancora raccontarsi la storia. Ciò che resta del mistero è la letteratura”.

          Qual è dunque il fuoco da portare? Una possibile risposta è nei versi: “per mettere in mio figlio e in tutti i figli / una traccia di senso possibile, un amore, una passione…”. Se dunque la vita è avvolta nel mistero, “C’è un fuoco da portare, / da passarci di mano, / da restituire alla terra”.

         Christian certifica quello che Bifo nel suo libro Heroes chiama gigantesca fabbrica dell’infelicità: “L’infelicità ci divora da quando la pubblicità ci ha sottoposto a un bombardamento di felicità obbligatorio, la solitudine digitale ha moltiplicato gli stimoli e isolato i corpi, e il capitalismo finanziario ci ha costretto a lavorare il doppio per guadagnare la metà”.

        Così un verso di Christian recita: “più grande di giorno in giorno l’esercito del tavor”, e in tutta la serie delle “Farmacie” c’imbattiamo in una “stanca umanità / che se non puzza / odora di miseria” e più avanti ci presenta Fabio, che si rifugia in un mondo immaginario, l’unico abitabile con un sospetto di salvezza. Dunque il fuoco da portare è il residuo di umanità che ci rimane, la fiamma, sempre più misera, di un poco di bene, perché, recitano i versi finali di una poesia: “lui di figli ne ha già due / e i padri buoni sono pochi”.

        Versi che vibrano di una fortissima tensione etica, privi di qualsiasi ornamento, semplici e nudi come i rami spogliati dall’inverno, protesi nella direzione di un lascito, un’inconsapevole vocazione a farsi eredità morale.

 

 

Così chiedo agli avi i futuri codici

per attraversarla senza perdere niente questa nostra vita

per mettere in mio figlio e in tutti i figli

una traccia di senso possibile, un amore, una passione

per non perdermi pur perdendo continuamente

poiché la vittoria appare chiara e vacua in questo mondo

e a noi piace la piena ombra

 

poesia come massimo grado della sconfitta

poesia come massima distanza dalla resa

 

camminare a piccoli passi ma camminare

dire poche parole, ma dirle

 

perché noi crediamo nella parola

e forse più in quella data

prima ancora che scritta.

 

 

°   °   °   °   °

 

 

Meglio saperla

tutta la forza,

tutta la fragilità

se vuoi che si plasmi

in forma d’uomo il tuo viso.

 

Allora nella notte non perderti d’animo,

nel chiarore resta sempre vigile.

 

C’è un fuoco da portare,

da passarci di mano,

da restituire alla terra.

 

 

°   °   °   °   °

 

 

Da dove sto scrivendo

 

Nel ginepraio di via Dino Villani numero 3

cerco Alessandro il matto

quello grasso e le infradito anche in gennaio

 

lo cerco quando è sera

e il fiato fuma

e i nomi sui citofoni sono segni fracassati

allora entro

tento dentro

ogni scala è un segreto che collassa

eppure chi cerco esiste

e quello che cerco per esistere

vuole essere cercato

 

salgo ad ogni piano e busso

“Alessandro, sono il farmacista

abbiamo sbagliato a darti le compresse

dobbiamo cambiarle Alessandro”

 

lui apre al sesto piano

coi piedi scalzi e le caviglie gonfie

con le unghie nere e un Modigliani al muro

e c’è odore di brodo

e ci sono macchie rosse sulla canottiera

sarà sugo spero

“Alessandro è sugo, vero?”

è vero

è tutto vero

lo capisco qui

qual è il mio mestiere:

sbagliare per uscire

per entrare nelle case

per uscire dalla casa

 

a fianco a Modigliani una donna

– è la mamma era qui

ora è sul muro

ora

incastrato tra le mura ci sono io –

“sì ci sei tu Alessandro

non io

non più

ciao Alessandro

vado”.

 


Christian Tito (1975 – 2018), scrittore e film maker, è nato a Taranto e risiedeva a Milano dove lavorava come farmacista. Tra le sue pubblicazioni: Dell’essere umani (Manni, 2005); Tutti questi ossicini nel piatto (Zona, 2010); il romanzo epistolare scritto insieme a Luigi Di Ruscio Lettere dal mondo offeso (L’arcolaio, 2014); Ai nuovi nati (I fiori di torchio, 2016). È tra i fondatori e redattori del blog di poesia e arte contemporanea “perìgeion”.