I fenicotteri di Abramo, nota di lettura di Annarita Nutricati al libro di Marcello Buttazzo “Ti seguii per le rotte” (I quaderni del Bardo edizioni)

 

 
È cuspide dalla mira stringente l’ultima silloge del poeta Marcello Buttazzo, Ti seguii per le rotte (I Quaderni del Bardo Edizioni).
Ago che ripunta sul frangente spoglio di mappature che non siano antropomorfismi, linee di profili, occhi e bocche dal fondale rifluiti.
Ecce homo. Ecco il volto di Abramo, capostipite e vucumprà, patriarca e diseredato, primo e ultimo. E poi gli altri reduci del Mare Nostrum da guerre e atrocità divisi, e poi i corpi, per la nevrosi dei venti, forse o mai restituiti. Infine, i decreti urgenti, gli unanimi cordogli.
Il resto appartiene alla verità dei morti.
 
Con Giuseppe
a Porto Cesareo
d’estate
incontro Abramo
e altri migranti
che percorrono chilometri e chilometri di spiaggia
per vendere la loro mercanzia.
Il mare
sa essere benevolo,
il mare
sa essere crudele.
Sulle coste di Crotone
in un utero d’acqua
donne uomini bambini
hanno trovato la morte
in un brutale fragore di onde.[…]
 
Il poeta è li. A Porto Cesareo come a Cutro: “in un utero d’acqua” in cui il ciclo biologico ha sovrapposto gli estremi, in tutt’uno d’orrore, d’accaduto. Il mare non si stacca, imbavaglia, soffoca come la propaganda in scena che annumera le vittime lasciando al fare burocratico la loquela compunta. Il poeta non manovra il timone, non sperimenta il comando, le sue rotte seguono. Del sogno conoscono il mezzo passo. È in cammino come i tanti fuggiaschi, e pareggia su altri deserti la solitudine delle civiltà, gli annichilimenti.
 
La voce verbale chiusa “ ti seguii” non sancisce la capitolazione narrativa delle epopee migrazionali, ma le ribattezza a storia antica. Memorie che si intrecciano perché lo stesso è il filo, come la forza che le anima, la fede nel futuro.
Nella collocazione quasi diaristica dei testi il lettore continua a familiarizzare con Abramo che, di tanto in tanto, ricompare tra le liriche d’amore come un casuale passante, col cenno, però, dell’amico interlocutore. Il mare si illimpidisce, “culla di cristallo” dondolio di luci fragili che non sopporterebbero neppure il lambire della mano.
L’ ago si ferma, “ noi siamo qui” , alla fonda, immersi in una ipostasi del Bene, dove l’esistenza cessa la sua lotta e a sé rimane più fedele.
 
[…]Io e Giuseppe
salutiamo
i nostri amici migranti.
Abramo, Paco e suo figlio
si fermano a parlare con noi.
È viva
quest’umanità errante,
è fraterna.
È modesta
quest’umanità silente
che s’aggira
per il mondo
senza nulla chiedere,
senza nulla pretendere.
L’acqua
ci guarda.
È una culla di cristallo,
l’acqua.
Noi siamo qui
ancora
ancora,
ai bordi d’un disvelamento.
 
Il pastore nomade della Terra Promessa, l’Abramo biblico dalla folta discendenza che tiene il conto a stelle e a granelli di sabbia incrocia il “Cristo nero /venuto dal Senegal”. Suo omonimo, figlio di cotanta semenza, fiato di una comune erranza. E negli spazi spalancati delle piazze dove ogni angolo apre le sue ante,di libertà, nei bazar di accenti, il poeta affida alla chiarità dei colori la conferma dei racconti: “I fenicotteri d’Africa sono rosa,/come le albe nostrane al mare”. Una Pangea ricomposta con un sopracciglio di cielo, un’alleanza di piume.
Il tempo minuto della provincia, dei Sud rallentati dalla camiciola, dagli assi svitati combina nel saluto il centro del suo aggirarsi. Uno scroscio breve di domande e lesti assensi che affranca dal vuoto di sostare, soli, ai margini. Il poeta dalla chincaglieria esposta, dote di poche cose, di volontà e trascinamenti carpisce e, forse, frattanto spera che almeno un segreto d’amore maturato su altre sponde giunga a tutti col fiorire intuito delle rose.
 
Abramo
e il suo carretto
di umile mercanzia.
T’incontro in piazza,
amico caro,
Cristo nero,
venuto dal Senegal
a donare
gentilezza e tenerezza.
Le tue parole
usuali: “Come stai?”.
Mi stringi la mano,
l’ebano forza
d’una affettuosità fraterna.
I fenicotteri d’Africa
sono rosa,
come le albe nostrane al mare.
Le rose
della tua terra natia
arrivano da noi,
cariche di messaggi.*,[…]
 
Buttazzo non spinge verbalismi cabalistici, non vizia la parola. Attende, “ogni giorno”, la magia ribaltante delle favole che aggraziano il potere rendendolo vessillo di pace. Assetti socio-politici ben lontani dal reale che si vendica dell’utopia trasognante trafugando dall’averno malasorti, lager, carcerieri, onde nere che il poeta sente proprie.
 
[…]T’aspetto
sempre in piazza,
dolce Abramo,
per farmi narrare
la favola,
la stella che traluce
sui volti
d’ogni lignaggio.
T’aspetto
in piazza
ogni giorno,
amico premuroso,
per farmi svelare da te
i cammini alterni
degli incerti destini.
 
Snatura la fatica conformando la quietudine all’andatura del viaggio. Disappagata sarà la promessa?
Più a sud, sulla laguna, lo stacco è felicità in volo, solco per il richiamo. Lo sa il poeta.
Qualche volta, dei fenicotteri rosa ha nostalgia Abramo.
 
[…]La vita ambulante,
errante come la luna.
La vita pellegrina
che va e poi ritorna.
Sì, lo so,
nel tuo Senegal
vedrai sorgere
nuove aurore.
E i fenicotteri
t’aspettano
per impazziti voli
d’amore
 
 

 
 
Marcello Buttazzo è nato a Lecce nel 1965 e vive a Lequile, nel cuore della Valle Della Cupa salentina. Ha studiato biologia con indirizzo popolazionistico all’Università “La Sapienza” di Roma. Ha pubblicato numerose opere, la maggior parte di poesia. Scrive periodicamente in prosa su Spagine (periodico on line del Fondo Verri) nella rubrica Contemporanea, occupandosi  di attualità. Collabora con il blog letterario Zona di disagio, diretto da Nicola Vacca. Tra le pubblicazioni in versi ricordiamo:  “E l’alba?” (Manni Editore); “Origami di parole”  (Pensa Editore);  “Verranno rondini fanciulle” (I Quaderni del Bardo editore); la sua ultima raccolta, pubblicata nel 2023, è “E se nel giallo ti vedrò” (I Quaderni del Bardo Editore).