Ghiannis Ritsos, La finestra in Quarta dimensione (Crocetti ed., 2020), lettura di Anna Rita Merico

 

Ghiannis Ritsos, 1909/1990

 

Siedo qui alla finestra; guardo i passanti e mi specchio nei loro occhi.

Credo di essere una fotografia silenziosa nella sua vecchia cornice appesa fuori della casa, sul muro occidentale,

io e la mia finestra…

…Dunque silenzio e immobilità. Puoi anche dire ipocrisia,

perché forse sai quante grida crocefisse  quanti gesti inginocchiati abitano

dietro questo splendore verticale di cristallo. Soprattutto quando annotta, ora che è primavera, e il porto

è un fuoco lontano, rosso e d’oro.

Ma il tempo è in agguato tutto intero, prima e oltre il loro bel momento, e lo vogliono intero,

il tempo, dovesse anche perdere questa dignità pietrificata, questa  splendida posa…

Perciò spesso scegliamo un luogo stretto che ci protegga

dalla nostra stessa infinità. E forse per questo me ne sto qui,

a questa finestra, a guardare

le orme bagnate dei piedi del barcaiolo

sulle lastre del molo, che svaniscono a poco a poco

come una serie di piccole lune oblunghe in una favola…

Allora ti vengono certe strane idee  -non succede anche a te?-           che ciascuno di noi forse è due persone

con i volti coperti, entrambe rancorose     in disaccordo, rappacificatesi solo in questo istante

per trasportare questa cassa, per scavare con le unghie           poco al di sopra della spiaggia e seppellirla.

E lo sai anche tu, come loro, nonostante la loro segretezza,

che dentro la cassa giace un corpo smembrato,

un corpo giovanile, molto amato; ed è il loro corpo, quello che hanno ucciso e sepolto

come se fossero due estranei…

Davvero a volte penso che solo lo smembramento

ci può mantenere integri – purché ne siamo coscienti.

E come potremmo non esserlo se è proprio la nostra conoscenza

a farci a pezzi a congiungerci con ciò che abbiamo rifiutato…

Non c’è umiliazione, dunque, laddove la vita chiede di vivere,

là dove i cani frugano con gesti gentili nel mucchio della spazzatura

e le ragazze tengono alta la fronte liscia sotto il peso dei capelli rigogliosi

come se portassero una brocca nera con l’acqua silenziosa                             temendo che cada.

Anche per ciò conservo con gratitudine questa finestra.

Non mi impedisce affatto di essere e di vedere…

…Quando i muri si offuscano di sera, questa finestra

risplende ancora, come da sola; conserva e prolunga l’ultimo bagliore del sole che declina…

Su questi vetri, d’inverno,  il vento piega le ginocchia e lo vedo andarsene infuriato,

voltando le ampie spalle.      Altre volte da qui, le sere primaverili, come oggi, sento le conversazioni dei marinai da una nave all’altra     come se mi rivelassero la correlazione delle stelle…

Di cosa posso dunque lamentarmi di questa finestra?

… Da questi vetri tutto appare più chiaro  più silenzioso  più immobile

E quindi indispensabile e senza età.                              Ti è mai capitato di guardare il mare da dietro un vetro?

Sotto la superficie mossa appare splendido il fondo nella sua immobilità

in un ordine cristallino, indisturbato e fragile a un tempo,

in una muta santità… Soltanto che ti manca il fiato se rimani così più a lungo,

perciò sollevi di nuovo la testa in aria

o apri questa finestra (ma consapevolmente questa volta), o esci dalla porta.

E non c’è più niente che pieghi la tua vita e ti faccia abbassare lo sguardo…

…e non c’è niente che ti impedisca di volgere il tuo viso verso il sole.

 

Pireo, aprile 1959

 

La finestra: lento scorrimento di un’immagine tutta rollata intorno a silenziosi pensieri. La finestra indica spazio interiore aperto su un universo mite e conosciuto eppure sempre dicente, alludente, mostrante. Piccolo universo di pescatori avvinghiati al porto. Gesti pochi, millenari. Il gesto poetico di Ritsos si mostra nella sua potenza di saper dipanare il nuovo dall’interno di una usualità che pare consunta coperta di tessiture già viste e fermate dall’eternità.

Finestra che immaginiamo incrostata dal tempo del sole, dal tempo del vento, dal tempo delle intemperie. Finestra con la sua verniciatura a tratti visibile a tratti sparita nella voragine delle spaccature secche del legno. E’ una macchina da presa che ci mostra, con il suo occhio, il lento scorrere sulle ere del mito riportandocelo con i suoi riti impassibili. Riti di morte necessaria alla vita. Riti di fondazione della realtà. Riti di armonizzazione. Riti di ritrovamento dell’essere delle narrazioni. E’ pensiero che diviene millenario perché si leva dai labirinti marini di gesti infinitamente ripetuti. I gesti dell’eterno ritorno delle stagioni. I gesti dell’eterno avvicendarsi. Straniante l’inizio: la finestra è dentro o fuori? E guardare attraverso il vetro: da quanto ciò avviene? Dolcezza dell’immobile canto al magnetico paesaggio.

Ogni frame che appare nella cornice della finestra porta con sé i colori, gli odori, le trasparenze, le vite che lo sostanziano. Tutto è allocato in un susseguirsi di foto che rendono infinita la vista, tutti i sensi partecipano alla sfilata guidata dalla finestra, splendore verticale sull’infinito del mare chiuso da orizzonte che evoca, con un unico ampio gesto il desiderio e la paura. Rifugiarsi nel “luogo stretto” per aver cura della propria infinità preclude alla stanza poetica finale, quella in cui la possibilità di ripetere l’arcano movimento di Medea (puntare al Sole) echeggia libertà acquisita e superamento delle scissioni… oltre ogni limite e divieto posto dalle congiunture storiche (Ritsos ha conosciuto lunghi anni di prigionia durante il periodo del  Regime dei Colonnelli).

Incredibilmente nitida la dimensione della luce che allaga ogni interstizio dello spazio evocato. La Quarta Dimensione funziona nella capacità di dare dialogo con l’oggetto togliendo centralità al soggetto. Il Maestro si pone in dialogo con ogni poro del reale. Il dialogo con il luogo è talmente fitto e serrato da rendere anima alla finestra: filtro dell’occhio, zoom sul visibile capace di evocare l’invisibile, sguardo capace di riportare armonia anche lì dove vi erano state lacerazioni.

La Quarta Dimensione si mostra nella sua capacità di guardaresentire la parola a tutto tondo. E’ parola che diviene visione. E’ parola che mostra significato cristallino perché va ad innervarsi nelle vene asciutte della vita. Ritsos ha attraversato il nulla d’ogni prospettiva ed ha saputo fare sua la trasformazione della miseria svoltandola in punto sorgivo. Nella Quarta dimensione la parola riduce a gesto scarno l’azione. L’azione diviene esprimibile essenza di ciò che sedimenta dopo essersi scorticata ogni orpello da dosso. E’ una poetica che giunge e si ricongiunge al tutto del graffio che dice la Vita.