Cosa rappresenta per lei la città di Roma, così importante per la sua vita, dopo esserne stata via, qualche anno fa, per quattro inverni?
“[…] roma amór / memento amoris – solvet / saeclum in favilla / teste David cum sibylla -“, sono gli ultimi versi di una poesia, che scrissi invitata da Plinio Perilli, egli desiderando in quel tempo pubblicare dei testi di poeti in omaggio per Federico Fellini. Non so più se il suo progetto sia andato in porto, forse no, poi il testo entrò a far parte della raccolta Tutte le oscurità del verde.1996-2005, in Tutte le poesie. 1973-2009, 2011 (pp. 468-70).
(“roma amór” – nel verso misi un accento acuto su “amor” come volessi evocare un suono, una nota acuta, e per una cadenza ritmica, vuoi di lettura silente vuoi a voce, che mi parve si coniugasse bene con gli ultimi tre brevi versi della chiusa).
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“roma amór” – appena due parole, che però già nel contenere un palindromo – amor è di roma palesemente speculare – e già il palindromo renderebbe, da sé solo, sorprendente l’accoppiamento delle due – inoltre esse, sia insieme, sia ognuna per proprio conto, di tale peso, e generatrici nella classicità, e dopo, e fino al nostro contemporaneo, di una tale gamma di produzioni e ricerche letterarie, artistiche, filosofiche, storiche, saggistiche, ché neanche mi azzardo ad inoltrarmi – avendo per àncora quel poco che ho potuto leggere, e affidandomi al molto degli altri -.
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(il resto della chiusa – citazione dal testo attribuito a Tommaso da Celano (circa 1190- circa 1265) -, non vuole, inserito nei versi, connettersi alla parte inesorabile del Dies Irae, è stato solo, invece, il trovarsi, e il trovarmi – quando li scrissi – nello scorcio finale degli anni ’90, e si andava verso un passaggio aspettato, e forse anche un poco temuto – si sarebbe stati testimoni di una soglia, si sarebbe lasciato il secolo XX – e il secolo breve di Hohsbwam – e delle due guerre mondiali – e di talmente tanto altro che avevamo letto, conosciuto, e ascoltato – a volte in famiglia – come per me i racconti – per intero o a brani – di due degli zii acquisiti – , e uno era ritornato in Italia dopo anni di prigionia in India, catturato dagli Inglesi poco dopo l’inizio della seconda guerra -, l’altro, tornato dopo due anni di prigionia in Germania, lì portato dall’esercito tedesco subito dopo l’8 settembre del ’43 – l’armistizio italiano con gli Alleati . Il terzo, invece – che poi sposò la più piccola delle sorelle Luciani -, prese fortunosamente, dopo l’8 settembre, la strada che lo avrebbe riportato alla sua città, Napoli. (Imparai molto. Tre tra le migliaia di italiani, nella Storia della Seconda Guerra. Un abruzzese, un pugliese, un napoletano).
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Sono andata fuori tema, “fuori domanda”, partendo da “roma amór / memento amoris”, che da soli, per la sua quinta domanda, gentile Polvani, erano già una risposta.
Sono nata a Roma, un padre – un uomo – mancante – mia madre, da sola (la sua famiglia era a Pescara, suo padre aveva a Roma delle care amicizie – mia madre insegnava vicino Roma – e poi, e poi, e poi… -, ora una parte del molto resto del mio amore per Roma – dove sono tornata a vivere dopo la fine del liceo a Pescara -, chi dovesse mai avere un desiderio di conoscere ancora – se vorrà potrà trovarlo anche nel più recente mio libro di poesie – e nella sezione in prosa – Famme resta’ co’ tte sennò me moro – che è in Fuoco erboreo – seconda raccolta a formare il volume, e dove la prima è Invalidi esili – appunto il libro tra spighe viola pallido. 2013-2017, edito nel ’22 – dal quale lei, Polvani, ha fatto partire la sua intervista fin dalla sua prima domanda, e che può ritrovarsi, per i giorni addietro, nelle pubblicazioni on line che “Versante Ripido” dedica alla diffusione della poesia.
Cosa rappresenta per me la città di Roma?, lei mi chiede – e aggiunge “così importante per la sua vita”.
Roma è stata la città dove ho vissuto, e dove vivo. Negli anni. Molti. Anni di mutamenti sociali, politici, culturali. Anni di mie diverse età della vita, dalla gioventù alla vecchiaia. Anni di mutamenti di uno stato di salute personale – i quali, se avessi dato loro completamente retta, avrebbero, fin dalla prima diagnosi – che fu del 1998 -, fermato ogni mia azione.
Nel ’98 scrivevo poesia dal 1973.
Roma? è stata la città dei sentimenti, affettivi, amorosi, sensuali, la città delle amicizie, degli studi, del lavoro precario – ho fatto parte di un lungo precariato intellettuale – è stata la scoperta di cosa “il bello” può essere – grandioso, quotidiano – storia – stratificazioni – tali da fermare il fiato – e tali da produrre gioia e sorpresa, felicità dell’esserci – è stata la città della convivenza nel 1966 con Fabio – la città, più tardi, della coniugalità e poi della separazione -, la città del Movimento studentesco – del ’68 – oltre cinquant’anni fa! -, del Movimento femminista – anni ’70 – delle manifestazioni – degli incontri.
La città delle tragedie politiche – ed umane – degli anni che furono indicati come “gli anni di piombo”. Non solo per Roma.
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Roma è stata, per me, la città delle incombenze quotidiane – del portare avanti la casa, della cura dei fiori, dei gatti amati – la scoperta del loro linguaggio felino -, la città dove due tartarughe vivevano nel “lungo balcone” – tutto ora del secolo scorso. La città dei platani – a me cari e reclini sui muraglioni del Tevere, Roma delle cicale d’estate, chiare a sentirsi in certe ore calde – se con un’amica sedute all’ombra tesa di un bar a Giulio Cesare – il viale -. La città dell’odore dei tigli di giugno, sotto una delle case dove ho vissuto -, Roma degli storni – miracolose foltissime danze, sotto il cielo – ripagavano quelle dei problemi creati dal guano? non so – la città di luna piena- o dell’archetto lucente, in certi recinti di tramonto -, dei gingko biloba accesi d’oro nelle foglie d’autunno a villa Sciarra, all’Orto botanico – la città dei pini – sigillo di Roma -, e via via via fino alle stagioni, già declinanti, già allora con segni di cedimento ma in un inverno romano (so, sappiamo della città ammalata, malata delle decine e decine di questioni anche gravi, gravissime, mai risolte, e tanto più nel vero, e insieme apparente, che si fa inestricabile, ma qui la sua domanda, gentile Polvani, è…) in una stagione del 12 febbraio 2010 – nel volumetto edito nel ’16, gli amori terreni “Nevica a Roma / ed è subito Brueghel – / il traffico si allenta – / sull’asfalto le impronte – / il colombo che cerca / riparo quasi una candida / pernice nello stupore / romano – le giovani / donne del negozio / di argenti gridano / d’allegria – escono / col cappuccio – lanciano / palle di neve – i gabbiani / – bianco nel bianco – / continuano a volare –
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“[…] luccicavano / i vetri della piazza / in città la vita (dolce) / era un inganno ma bastava / ai ladri di speranza / … / roma amór memento amoris / … / –
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