Circles di Virginia Farina | L’infanzia della poesia o della fragile bellezza del mondo. Dialogo con Roberta Lipparini.

 

L’infanzia della poesia è un luogo estremamente impervio, eppure dolcissimo. Alla portata di tutti e al tempo stesso non facile da raggiungere, come un prato d’alta montagna. E’ un luogo rischioso, non perché minaccioso, ma perché facile agli inganni, all’edulcorazione, a quella  banalizzazione della tenerezza che rende il mondo soltanto più piccolo e grazioso. Senza profondità.

L’infanzia della poesia è, in verità, un luogo complesso, fatto di luci straordinarie, ma anche di crepe, di pozzi, di ombre innominabili, di cadute vertiginose, di smarrimenti. E’ un luogo di fragilità, dove si vive, bambino o poeta non importa, con i pori della pelle dilatati a respirare le luce, a impressionarsi del tutto. Ed è su quella stessa pelle, come su una pellicola fotografica, che nascono poi le parole, lasciando traccia dell’incontro col mondo.

La poesia di Roberta Lipparini è, a mio avviso, profondamente radicata in quest’infanzia, sia quando si rivolge ai bambini sia quando si rivolge agli adulti. Il suo è lavoro di scavo, che ne mette a nudo le pieghe più intime del cuore, provando come i bambini, a smettere il pudore della sua fragilità. Un lavoro che sa tradursi in quartine e in rime finissime, e che può riversarsi in versi sciolti con la stessa facilità, adattando il registro, l’abito, come un bravo artigiano, ma attingendo dalla stessa materia, dalle stesse comprensioni. Qui vorrei presentare uno dei suoi ultimi lavori: “Ti ricordi di me?”, luminosamente illustrato dalla figlia Bianca Solazzo, che dopo essere stata musa e protagonista dei versi di Roberta, ora dà colore e corpo alle sue parole.

Io ho buio
non è paura
è qualcosa che ho dentro
calma onda scura

NON HO PIEDI
NON HO MANI
OCCHI CHIUSI
PENSIERI LONTANI
[…]

Non è necessario usare parole difficili per trasportare complessità, per presentare ai bambini un riflesso del loro stesso sentire che non si annulla mai definitivamente nel nostro sguardo di adulti. Allora i versi possono accompagnarci all’interno di noi, permettendoci di riconoscere quel buio familiare che non è paura, e non è cecità, che è vederci in un nocciolo profondissimo, in cui siamo “prima” dei nostri piedi e delle nostre mani.

 

Dal pesce che sarò
ho imparato a nuotare
tra i rossi coralli
nel fondo del mare
[…]

So anche la bellezza
me l’ha mostrata un fiore
QUANDO SARÒ PROFUMO
QUANDO FUI COLORE

Chi mi ha dato la vita
questo non so
se il silenzio che fui
o il canto che sarò

Un cerchio è l’universo
e il tempo è rotondo
tra passato e presente
gira e rigira il mondo.

 

Da questa profondità la poesia può ancora riemergere, e disegnare la visione di una storia comune, riportarci a un affaccio vertiginoso in cui si intreccia il divenire di tutte le forme di vita in un fluire più ampio, misterioso, che origina dal silenzio per farsi canto.

Grande albero
della vita
su quale ramo
sono finita?

Dove sono
dove mi trovo
e dimmi, cado
se adesso mi muovo?

Fino a dove
posso SALIRE
per vedere
dove vai a finire?

E se io salgo
tutta l’altezza
mi faccio male se il ramo si spezza?
[…]

Nel loro scorrere le poesie di questo albo illuminano molti aspetti, non sempre evidenti, nell’esperienza di uno sguardo bambino. Ma ciò che sembra emergere in modo prorompente, affacciandosi in diverse poesie, è il richiamo a una relazione significativa, una domanda che è ora richiesta, ora invocazione, ora ringraziamento.

Consapevole dell’impossibilità di un io senza un tu, l’infanzia che Roberta evoca e rispecchia chiede asilo, rifugio, riparo, in un abbraccio adulto, in quel radicamento alla vita che ci fa davvero grandi. In quella poesia che ci dà occhi, e voce per dire ciò che vediamo.

 

 

 

Che cos’è per te la poesia?
Un modo per curare, per sopravvivere al dolore e al disorientamento. Ma vorrei che fosse anche un modo per ringraziare la vita, per dirne la gioia. Mi impegno per questo negli ultimi tempi. Credo che la poesia, ma forse l’arte tutta, porti nelle piccole cose, negli attimi, il senso universale. Da qualche parte ho letto che la poesia “congiunge il grande io con il piccolo io, Dio con l’uomo”. La poesia trova le immagini che spiegano la vita. Trova dettagli che spiegano l’universale. Per questo dà risposte, meraviglia. Unisce. “Dice il dolore raccontando una buca”.

 

Se un bambino o una bambina ti chiedesse chi è un poeta, cosa gli risponderesti?
Dipende dall’età del bambino… J Forse direi che un poeta è un pittore che invece del pennello usa le parole, per dipingere il mondo. O forse direi che è qualcuno che trasforma il pensiero in un canto collettivo. Un canto capace di toccare l’anima di tanti, di tutti. Qualcuno che scrive le parole di una canzone senza musica. O la cui musica è il silenzio che le si cuce attorno. A un bambino piccolo direi che tutti siamo poeti, soprattutto i bambini, perché parlano alla luna e agli animali.

 

Esiste per te una “letteratura per l’infanzia”? Se sì, come la definiresti?
La letteratura per l’infanzia che prediligo è quella che non sminuisce né il bambino, né i temi, né la lingua. Quella che non ammicca, non “infantilizza”, né segue le mode, ma si pone rispetto al bambino con delicatezza, rispetto, profondità e attenzione, vi si dedica.

 

C’è una o più poesie del tuo libro “Ti ricordi di me?” che ti è particolarmente cara? Quale?
Mi piacciono “Grande albero della vita” e “Ti ricordi di me?” perché sono domande. In quanto tali rimandano alle mille domande di senso che i bambini fanno a noi e che noi adulti poniamo a Dio.

 

C’è un verso solo che ci vuoi lasciare per concludere questa piccola intervista?
Uno dei miei versi più semplici. La semplicità per me è un valore, nella vita come nella scrittura. “Tutto ciò che mi occorre è una ciotola. Un letto. Un animale. Il tuo amore nell’acqua. Il tuo nome nel pane”

 

 

 

 

Ti ricordi di me?
di Roberta Lipparini,
illustrazioni di Bianca Solazzo.
SECOP Edizioni, 2021