A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Una parola si bea, al sole, pulsando infinita: alcune domande ad Anna Rita Merico a proposito del suo Se tolgo il nodo (Musicaos editore, 2023)
1) Della tua produzione mi colpisce, e mi piace molto, un titolo: “Una parola si bea, al sole, pulsando infinita”. Nella postfazione al volume Se tolgo il nodo, firmata da Claudia Mirrione, si fa riferimento alla “celebrazione della parola come evento e accadimento”. Ci illumini su questo concetto?
La parola poetica nasce, per me, da sedimentazione e storia di pensiero individuale, in poesia ogni parola è incrocio di luoghi e di eventi individuali o collettivi. Allorché una parola diviene parte pregna di un dirsi in poesia, quella parola riesce a trasmettere ritmo e pulsazione di significato. Ciò la differenzia dalle altre ma, anche,
la differenzia dalla condizione di parola utile alla quotidiana comunicazione. E’ parola che si allunga e si dipana al di là del proprio significato immediato e, dunque si bea al sole che è anche un modo per dire che è parola a tuttotondo con vita propria. Il pieno costituito dalla genesi di una parola è atto cui prestare attenzione.
La parola sedimenta sensi, chiede –sempre- nuovo calore di forgia e si mostra diversa, nuova, scandalosa, inaspettata, ogniqualvolta un diverso contesto la plasma.
2) Anche Fenomenologia del silenzio, tuo libro precedente, è un titolo ricco di fascino. Ci racconti di questo libro e di questo titolo?
Fenomenologia del Silenzio nasce dal desiderio, iniziale, di tenere insieme sillogi
introvabili per sorti varie delle Case di riferimento. Poi, nel farsi di impaginazione,
revisione diviene altro. Diviene una resa di percorso quasi ventennale in cui le
differenze di postura del pensiero poetico dinanzi alla realtà, rendono conto di
cambiamenti e visioni. Molto di questa pubblicazione deve alla lunga attività svolta
in ambito filosofico e, dunque agli attraversamenti di temi legati al periodo classico,
temi che ho preso in considerazione a causa del forte rimbombo e richiamo che
scorgo per le domande di un oggi impegnato a riflettere su radicali mutamenti dei
percorsi di umanizzazione. A mio parere, il silenzio è la prima soglia da raggiungere
per entrare in una dimensione di ascolto. L’esperienza del silenzio di cui rendo conto
è quella di un silenzio che, nel suo procedere, diviene sempre più “doppio”, quasi
materico, entità con cui discorrere. Da ciò l’utilizzo di fenomenologia: modalità di
lettura per un prendere forma capace di mutare intere percezioni di realtà.
3) Un tuo verso afferma: “Il linguaggio è tentacolo filiforme”. Dunque la tua produzione è tutta indirizzata verso la celebrazione della lingua?
No, non “celebrazione” ma grande attenzione verso le sorgenti della parola, questo
sì. La parola che sorge da orizzonte esistenziale, la parola che prende forma da
silenzio capace di condurre all’epifania, la parola che dice un’intera dimensione
esistenziale e, per fare ciò si ri-fonda in forme altre raccogliendo sedimento di più
parole in una. Ecco l’attenzione alle sorgive di una parola mi affascina, questo stare
dentro l’attimo in cui essa palesa il proprio avere anima, il proprio stare dentro lo
spazio di una propria autonomia, il proprio corpo espressivo. Questo, mi affascina.
4) -Se tolgo il nodo- si compone di ventitré fotogrammi che racchiudono domande sulla realtà, oggi. Che tipo di realtà raccontano?
Sono fotogrammi che raccontano una realtà che nasce da uno stacco. Quell’attimo
preciso in cui avviene un allontanamento dalla città di sopra ed inizia l’andare in
quella sorta di città invisibile in cui il rimestìo del proprio essere reclama risposta al
proprio desiderio di essere a partire dalle pieghe di tradimenti esistenziali che
segnano l’anima. La domanda che mi sono posta è: di quante realtà è fatta la realtà?
Di quanti miriadi di percorsi sono fatti i percorsi di umanizzazione? Oggi, da quali
fragilità siamo impregnati? Ho ritratto posture che indicano la risposta
all’inadeguatezza e alla mancanza attraverso l’immobilismo. Quell’ immobilismo che
Sylvia Plath definiva interruzioni d’essere indicando con ciò dimensioni di vuoto che
travalicano ogni possibilità di pensiero e ci conducono a quelle modalità di sentire
metallico matrici di spaesamento, disorientamento tanto comuni nello spazio della
soggettività contemporanea.
5) Scrive nella nota introduttiva Antonio Nazzaro: “Nello scenario di questo testo appaiono personaggi fotografati nella propria fragilità, personaggi impigliati nel labirinto dell’esistere”. Quanto di autobiografico e quanto di invenzione?
Il territorio è quello dell’invenzione ma devo dire dei nutrimenti di queste invenzioni:
gli studi in storia dell’arte, in particolar modo l’universo pittorico seicentesco delle
malatine; una conoscenza “politica” (inizialmente attraverso gli scritti di Carla
Lonzi) del fenomeno storico delle malmonacazione (dunque la pressione sociale
dentro e intorno all’annullamento del desiderio femminile); le ricerche sulle mistiche
e sugli addentellati con ciò che, oggi, definiamo anoressia; non ultime le poetiche
pittoriche di Maestri come Goya per quel sul lasciar liquefare i confini dei corpi o
l’universo di Hyeronimus Bosch con quel suo tripudio arrogante e ridondante di
corpi impegnati a reinventare grammatiche della rappresentazione umana, gli studi
sugli stereotipi di genere e, dunque, su canoni della bellezza contemporanea. La
nostra epoca è epoca di riscrittura del corpo e delle sue fattezze, il corpo ha una
propria dimensione epocale, cogliere i mutamenti significa intercettare domande
dell’oggi.
6) Cristallano, sguantano, fusionato, imbrinizza: invenzione di neologismi, quanto importante è per te forzare, allargare il linguaggio?
Forzare e allargare il linguaggio è, per me, operazione centrale della pratica di
scrittura poetica. Ne ho detto precedentemente nel circuire lo spazio della parola che
si bea…
7) Quanto è pesante la realtà, afferma la donna fotografata nella poesia Amici. Esiste una cura? Rifugiarsi nell’invenzione? ricreare il mondo?
Dinanzi alle pesantezze della realtà miliardi di strategie individuali. Talune optano
per fughe, dipendenze, alterazioni di vario genere. A me interessa quanto diviene
possibile in ambito creativo e simbolico. La pratica del mettere al mondo il mondo mi
narra la possibilità di azioni e pensiero attivo non scisso dall’azione. Pesantezza
della realtà e inadeguatezza mi interessano quando “incitano” a percorsi di
riattraversamento delle origini, cambi di postura che consentono di ri-posizionarsi
nel mondo, di ri-farlo all’interno di percorsi di creatività, nel mio caso attraverso la
scrittura.
8) È questo vuoto che mi avvolge, proclama la protagonista della poesia Rostri. Quanto pesa il vuoto da cui ci siamo lasciati avvolgere?
Il vuoto da cui ci siamo “lasciati avvolgere” è vuoto che parla di disconnessione con
l’alterità, è vuoto che indica assenze di umanità così come l’abbiamo conosciuta, è
vuoto che ci indica inconsistenze valoriali. E’ vuoto che rimastica le fratture dei
cammini di costruzione delle spiritualità come movimento ascendente ed immanente
insieme verso la definizione del proprio asse, della propria centratura dello “stare al
mondo”. La parola poetica, frutto delle diverse forme del pensare poetico, ha
accesso, sola, alla possibilità di esplorazione di questo dentro. Il Novecento inizia
con percorsi forti sulle origini e sul ribadire il ruolo della meraviglia come fonte di
accesso a forme altre del sentire e del vedere. Si sottolinea l’importanza del
connubio filosofia-poesia e si aprono nuove e fondamentali indagini sullo spessore di
questa connessione. Non ritengo abbiamo consumato tutto il sentire a cui questo dato
ci chiama, ancora oggi.
9) I tuoi fotogrammi si strutturano in forma di monologhi, manifestano un’aspirazione all’oralità, alla rappresentazione. Sono nati con questa idea?
Quando scrivo mi è molto presente la dimensione dell’oralità, lascio che la parola mi
rimbombi dentro come poteva accadere in una sala del trono nell’antica Grecia o,
ancora, nel dentro di un’eco coreutico. Si, la dimensione recitativa, declamata segna
pause, silenzi, vuoti, andamenti della mia scrittura. La parola poetica ha un proprio
spessore di ascolto dell’universo lallante che precede la parola stessa e la sua
radice. La parola poetica non può che essere rappresentata. Arcano di ciò è l’Aedo
Demodoco nella Reggia di Alcino: canta gesta ed Odisseo prende a piangere. A quel
pianto rammemorante oggi, dovremmo tornare e lasciarne dire: quel pianto è pianto
di fondazione, oggi, gesto di affondo nella ricerca di una realtà umana altra.
Se tolgo il nodo
Dovresti slegarti
guarda gemello siamese
dovresti togliere quel bottone lasciarlo uscire dall’asola
piantala di dimenarti
non ti capisco
dovresti slegarti
togliere il nodo
se tolgo il nodo
si snoda l’amore
se tolgo il nodo
si sfascia il mondo
se tolgo il nodo
la luna resta nera
se tolgo il nodo
lucifero m’assale
se tolgo il nodo
cambio pelle forse però se togli il nodo quel borbottio dell’anima si ferma
forse però se togli il nodo il tuo gemello siamese svanirà
sai?
Lui non è reale
ora dormi ti prego
° ° ° ° °
AMICI
Ho molti profili sui social
tutti diversi
ma sono sempre io ma sono tutti veri perché sono sempre io
è solo che non è possibile essere sempre uguale esserelastessapersona
non so
arrivo fino a quel punto e mi sento stretta soffocata
allora cambio e sono un’altra e un’altra e un’altra
ma sono vera sono sempre io
non so se cambio sempre ci sono
no ma S.B.T. sono belle tutte non ci penso neanche a farle fuori
ognuna ha i propri amici ognuna ha le proprie storie
ognuna…..
beh dopo tanto che P. lo chiedeva
S. ha deciso stasera di uscire con lui
stasera sono S. per davvero
stasera non c’è B.T. sono tutta S. esco
sarà bello mi sento bella
P. dice che sono il suo tipo sono pronta verrà a prendermi
forse solo un po’ di ritardo
sono ore che attendo
è notte fonda
sul profilo di P. compare una storia
ma… anche sul profilo di G… sono identici questi volti
se anche P. avesse più profili?
ora gli scrivo ma come fa a giocare così con me? o o forse
più semplicemente
stasera
non siamo riusciti a vederci
io ero S. lui era P. e non siamo riusciti ad incontrarci
noi siamo rimasti indietro mentre S. e P. si cercavano
vado a struccarmi
i tacchi di S. mi spezzano le caviglie
lei porta tacchi molto alti per me
a volte mi vortica la testa
non riesco a tenerle ferme tutte
non riesco a fermare la ruota
la realtà
dio
quanto è pesante la realtà
loro mi risucchiano
si cibano di me
forse forse
se avessi ancora più profili loro potrebbero alleggerirsi diventare ognuna più piccola
sento il rancido della carne non digerita mi stringe la gola
vorrei parlare con P.
lui stasera non è venuto qui non viene mai io neanche vado
mi sento uno specchio rotto
piano raccolgo le schegge non riesco a raccogliermi per raccogliere
io sono qui ma la realtà oggi è in schegge chiudo gli occhi riposo
forse se domani chiedo a G. di incontrarci lui lui potrebbe farcela a trovarmi
nonsononsononsononsononsononso
quei tacchi però
mi hanno davvero fatto male
Merico Anna Rita è nata a Nola (Napoli). La sua esperienza in scrittura poetica nasce da lunga ricerca in ambito filosofico e didattico.
Ultime sillogi: Era un raggio…entrò da Est, Ed. Musicaos, 2020
Fenomenologia del silenzio. Poesie dal 2004 al 2021. Ed. Musicaos 2022
Se sciolgo il nodo, Ed. Musicaos 2023
Pubblicazioni su riviste e blog online: Spagine, Juncturae, Interzona News, LucaniArt, Di sesta e di settima grandezza, Versante Ripido, Gli amanti dei Libri, Neobar, Cultura salentina con testi su poesia greca contemporanea ed autori salentini contemporanei. Saggi e note di lettura sul blog della Casa Editrice Musicaos.
Pubblicazioni su riviste cartacee: Metaphorein (Ephesto ed.), Il sarto di ULM, Immaginazione (Manni ed. Lecce); Gradiva Olschki ed., Il sogno di Orez.
Presente in blog di poesia: Poeti oggi, Versante Ripido, Osservatorio Poetico Salentino, Il Giardino dei poeti, Neobar, LucaniArt magazine. Collabora con Macabor ed.
E’ nella redazioni di Le Parole di Fedro, Circolo letterario Vento Adriatico, Nelle scarpe dello scrittore, Le Finestre de l’Irregolare con rubriche proprie.
Membro della Comunità poetica Versipelle.
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