Risonanze di Massimo Parolini | Di quello che rimane nessuno può sapere: nota su “La porpora delle api” (Fara Editore, 2021) di Anna Maria Ercilli
«Quando l’aureo sole allontana l’inverno e lo scaccia sotto terra, / e dischiude il cielo alla luce estiva, le api subito / attraverso balze e selve, mietono fiori purpurei / e lievi delibano limpide acque. Da allora, colme di non so quale dolcezza, / si preoccupano di preparare i nidi per la prole». Così canta Virgilio nel IV libro delle «Georgiche», commissionatogli da Mecenate nell’indirizzo indicato da Ottaviano (dopo le guerre civili e la distruzione delle campagne) di un ritorno al lavoro agricolo e della rinascita di una classe media agricola, nella riproposizione degli antichi valori della tradizione romana legati alla civiltà contadina, alla piccola proprietà italica, al culto della laboriosità familiare. Oggi le api (con le farfalle) sono responsabili di circa l’80% dell’impollinazione e quindi della sopravvivenza di fiori selvatici e piante. Ma la loro, di sopravvivenza, è in serio pericolo, come gridano da anni alcune voci nel deserto del frastuono mediatico. Noi umani abbiamo tre fotorecettori con i quali, a partire da tre colori principali (rosso, blu e giallo) costruiamo gli altri colori. Così è anche per le api, con la differenza che i tre colori principali per loro sono l’ ultravioletto, il blu e il giallo-verde, poiché non riescono a vedere il rosso, in quanto gli appare nero (così come l’uomo non vede, a occhio nudo, l’ultravioletto). I fiori (all’apparenza) rossi che le api impollinano sono infatti «porpora», percepito da loro come blu, oppure, come nel caso del papavero, sono rossi ma con sfumature ultraviolette.
Anna Maria Ercilli ha spesso posto al centro del suo poetare la natura, vegetale ed animale. La sua ultima raccolta, «La porpora delle api» (Fara Editore, 2021), rinvia proprio a ciò che abbiamo ricordato sull’imenottero giallonero. La parola poetica cerca i propri fiori dalle venature ultraviolette, uno spettro di impollinazione che la parola quotidiana non riesce a vedere: fra ombre e chiaroscuri, entrando nella foresta degli eventi incerti, come ci ricorda Alberto Mori in apertura della sua postfazione: «Se è dato un luogo dove rimanere, una impronta incerta, una dimenticanza fortuita: Di quello che rimane / nessuno può sapere». Ma in tale nube della non conoscenza si snoda il percorso della coscienza che affonda nello spettro della porpora e lo fa miele di restituzione e di senso, di un ritorno all’origine all’Ursprache dimenticata negli strati profondi dell’inconscio collettivo.
Ed il cammino si sviluppa proprio da un’incapacità intellettuale percepita (Non trovo nessun meridiano/ per unire i passaggi,/ non serve al giudizio/ non serve al pensiero libero, «Buenos Aires»), diretto ad un approdo che è il ritmo per tornare all’inizio e cibo delle minuscole api, uno Zero, un nulla, che raccoglie l’assenza e l’inizio («Segni e parole»), un ritorno circolare, cerchio d’albero e tempo ciclico dell’eterno ritorno, che rinvia al nostos di Odisseo-Ulisse, a quella patria dove eravamo già stati, da cui siamo stati strappati e siamo partiti per il polemos, la contesa della battaglia, della vita (confusi nell’oscura notte/ uguale dove sconfina, orlo/ di colline e profumi rubati/ al seno delle madri, «Le colline»).
Ma per approdare alla verità che si intravede nelle colline, che nascondono e rivelano, in fondo, nella loro bellezza, il segreto, l’orlo originario del seno e del grembo materno, serve entrare nella foresta, luogo del senso della ragione/ sospesa («Foreste»), microcosmo dove domina un altro linguaggio dalle parole che diciamo umane, più arcaico e primordiale. Una foresta non più selva, che ci avvia all’autocoscienza. «Le luci e le ombre sono alterne nelle composizioni di Anna Maria Ercilli» (ricorda sempre Mori) «ed in alcuni casi possono abbagliare oppure all’opposto nascondere, ma soprattutto vengono assorbite in chiaroscuri dove si comprende meglio l’incerto, il tempo che passa nella vita di noi camminanti che lo attraversiamo. Anche le voci sono plurime ed i linguaggi nel loro mescolarsi sembrano allontanare la meta del cammino: ma Vicino alla memoria il timbro / del vento lascia alla memoria degli elementi il ricordo dell’essere. La poetessa cerca i segni, le tracce, i solchi, i passaggi e gli echi atavici del tempo, quelli che da sempre risuonano e permangono anche quando ‘cade la foresta’ e tutto sembra rovesciarsi e divenire introvabile. Ma loro ci sono, restano a dire proprio nella lingua della notte e dove travisano il senso / a te pensano». Un percorso che dobbiamo fare in fretta perché, in fondo, siamo esseri di passaggio, transeunti ed effimeri, ombre vagabonde, senza pace, echi dal Macbeth shakesperiano: andava via come non fosse mai stata,/ la fretta di una comparsa,/ stare in scena quel tanto/ che serve alla recita,/ in attesa che smontino/ la scena spariscano le quinte («Le comparse»); attraversati da un fluido oscuro delle ombre che è il limite del nostro tempo («Il limite»), transitanti tra qui e un altrove: Dove non sono,/ raccolgo impressioni/ cammino sul margine di ogni altrove («Dimentichiamo»). Un altro luogo dove siamo già stati, da cui proveniamo, ma che nella distrazione dell’esistenza abbiamo incontrato come amnesia anziché anamnesis, come dimenticanza anziché come non-dimenticanza: Il buio raccoglie ali/ rifugio senza angoli e pieghe/ di rumore, raccolte attorno/ al centro soffice di un grembo/ ripiegano fremiti, ansie/ e furtive illusioni/ riposano nelle ore senza luce/ rimangono nel palpito/ di una sistole nell’amnesia/ del giorno andato senza/ un ricordo («Amnesia»). Ecco allora un’invocazione, memore della propria Liguria nativa, l’invito a nominare per non dimenticare: chiama il nome delle creature/ del mare/ sopravvivono se le tieni/ a memoria./ […]/ ricorda i nomi, chiamali ancora,/ siamo capaci di amore/ appassionato, ma dal rovescio/ mortale. («Il rovescio»).
E, forse, nello sguardo (l’ultimo incompiuto ponte/ sospeso, «Come sospesi») dell’altro c’è un riflesso dell’Altro che ci invia echi dal proprio abissale fondamento (a te il tempo dello sguardo, a me/ il margine del ricordo, «Sottobraccio»), magari attraverso il suono nel folto di un’ arpa eolica che ci ripete che il tempo non esiste, ed è solo un artificio («Arpa»). Un altrove, dunque, che si fa sentire e intravedere, nei chiaroscuri della vita che ci logora e consuma (ibid.), di cui è correlativo oggettivo un cancello lasciato a cigolare: c’è chi ritorna e chi parte/ rimane per questo aperto-chiuso/ a metà, indeciso/ incerto inane («Il cancello»). Una soglia dalla quale, forse, può tornare, talvolta, il ricordo del calore solare e umano, di una mano, di un sorriso, il volto dagli occhi blu marino del padre, vissuti sulla terra battuta, per non dimenticare di essere stati.
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Anna Maria Ercilli è nata a Trento dove tuttora risiede con la famiglia. Soggiorna per alcuni anni in Liguria per lavoro e studio. Per un breve periodo lavora come impiegata. Riprende gli studi e si occupa nel Servizio Sanitario. Collabora in attività culturali e di volontariato. Pubblicazioni: Abbraccio,1983; Il dono inquieto, 1985; Piccole lame 1990; Dall’aria, alla terra, all’oblio, 1996; La porta di Tàriso, 2004; La stanza del colore provvisiorio, 2013; Orlo blu, 2018. Antologie: La poesia nel Trentino-Alto Adige, Forum/Quinta generazione, 1988; Donne in poesia U.C.T. 1990; Controparole, Arca 1993; La conservazione dell’oggetto poetico, Laboratorio delle Arti 1996; La parola convocata, Laboratorio delle Arti 1998; Poesia in azione, Milanocosa 2002; Navigando nelle parole, Il Filo 2003; Hospite, Nicolodi 2004; Rane, quaderni di Correnti 2004; L’uomo, il pesce e l’elefante, quaderni di Correnti 2007; Con gli occhi di un cane, edizione Akkuaria 2007; E tuttavia ti cerco, Ancora 2008; d’Acqua è il mio nome, Akkuaria 2008; Viaggi diVersi, Assessorato alla Cultura Prov. Autonoma Trento 2010; Nelle pagine del tempo, EmmeTi 2011; Diario collettivo, Lua 2013, L’evoluzione delle forme poetiche, Kairòs 2013; Le stagioni per posta, a cura Circolo di scrittura autobiografica a distanza, Equinozi 2014,; iPoet, LietoColle 2018; Una lettera importante, Lua, Equinozi 2019; Quella volta, su un treno, Lua, Equinozi 2020, La porpora delle api, Fara editore 2021, Vivere l’abbandono, Autori Vari, Fara editore 2021. Riviste: Ghibli, Malvagia, R§S, Il Cristallo, Il Comunale, Poliscritture, La Mosca di Milano (2005, 2007), Il Monte Analogo (2009), Il furore dei libri, La Clessidra 2016. Collabora con la rivista R&S.
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