La ri-nascita dell’umanità nella Poesiacanto: nota di lettura di Rosemily Paticchio a Per Segni accesi di Annamaria Ferramosca (Ladolfi Editore, 2021)
Tenui e taglienti, limpidi e sofferenti, i Segni accesi di Annamaria Ferramosca, dalla sua ultima silloge pubblicata per Ladolfi Editore, ci giungono lievemente e miracolosamente da lontano, come un’eco o un richiamo ancestrale, a guidarci segretamente lungo una via sì impervia ma non impossibile e che, nonostante tutto, sa condurci verso una meta luminosa. Se una salvezza esiste realmente per il genere umano pare perpetuarsi proprio qui, sotto i nostri occhi, nel canto poetico, nella purezza di un atto di nascita, nell’intreccio con la natura animata da spirito muto e sapiente, nella ri-generazione infinita di nuove luci. In questa silloge, di meravigliosa intensità e di profondità quasi indecifrabile, si racchiude l’immensità dell’intero universo con gli innumerevoli suoi significati e significanti, con le sue lotte intestine tra Bene e Male, un metaluogo o luogo allegorico dove la realtà si mescola al sogno: per districarsi nella fitta boscaglia bisogna “fare tabula rasa dei pensieri, affidarsi al buio con la sicurezza dei ciechi, sostare ad ogni angolo della notte, afferrare i lumi al baluginare dell’alba…” Eppure nell’aprire il sipario con l’epifania della nascita, con la “forza del germoglio/un tendere misterioso del seme verso un cielo che approva” l’autrice fa splendere il primo faro, il primo segno acceso, rivelandoci il più intimo senso cosmico, poiché è nella fragilità della voce bambina, nell’integrità del suo animo fanciullo, nella sua musica e canto di parolecorpo, che risiede il vero riscatto del genere umano, l’unguento per le nostre ferite, il baluardo di un’ultima speranza che consente il rinnovarsi dell’esistenza stessa. Tutto è calmo e apparentemente immobile, eppur si muove di un moto ribelle, che vuole opporsi alla “ipnosi della notte”, all’intorpidimento delle menti dormienti. La materia viva della vita gira vorticosamente tra i cerchi di uno spazio infinito, l’apertura della poeta ad essa è venuta qui a compimento, ha raggiunto il suo massimo raggio, un’apertura a tutto tondo con un caldo abbraccio all’intera umanità imperfetta e alla natura partecipe dello sgomento. Un grido soffocato si eleva rivolto alle montagne, alle foreste, ai marioceani, ci si rivolge agli uccelli, allo sciamare delle api, persino dai fianchi di un vulcano può aprirsi un varco a illuminarci la strada, porgendoci la matrice per instaurare un nuovo ordine che sia rinascimento “raccogliere lava lapilli/versare sul tavolo l’agglomerato…fermare tutto il caos che piove dalla fronte”. La ricerca di una convessità nei segni che tracciano questo cammino si coglie sin da subito anche nelle epigrafi scelte: dalle candide origini di quando tutto ebbe inizio nel biancore della neve di Zagajewski al dirompere impietoso della vita nel pieno del suo straripamento con Claudia Ruggeri ed infine l’accensione di Amelia Rosselli, la chiusura del cerchio magico. Si perviene così alla supremazia dell’amore universale nel tortuoso itinerario dell’essere umano che, se pur segnato da un volere/potere malefico, è destinato a tramandarsi su questa terra grazie a quel geneprodigio che consentirà alla vita di risorgere dalle macerie, dalla cieca materia dei detriti/muri crollati tendini recisi…tutto farà humus/per il grano che germoglia per il pane. Ricominciamo così “a riscrivere vita” prima che qualcuno, opponendosi alla gioia più pura e autentica, annulli tutto, desertifichi i campi mietuti, ripetendosi ciò all’infinito, in una sorta di destino ciclico per tutti noi e per l’intero cosmo abitato. All’inabissarsi silenzioso della natura si accompagna l’angoscia umana, perché “le cose più intoccabili non bastano per riordinare la materia in disordine/la terra che più non riconosce il suo seme/nemmeno io riconosco te l’altro nemmeno me stesso…Eppure da questo scenario deserto emerge un imperativo di sopravvivenza, rinasce la zolla fertile! Tra luci e ombre si compie in questo libro il grande viaggio mistico allegorico del genere sapiens attraverso i canali sonori del canto e, con esso, quello personale dell’autrice che qui giunge al culmine della sua maturità espressiva sul piano artistico e umano. Ora tutto è compiuto, il destino della fragilità e la forza della resurrezione, è come se la poetessa predisponesse con calma il suo lascito testamentario cedendo la parola (muta) ai nuovi nati, alle ri-generazioni future. Ella ci dice tutto ciò che era da dirsi, come un messaggero porta a termine il suo arduo cammino fin qui, passo per passo, in modo tutt’altro che indolore e, compiuta la consegna, depone le sue armi di cera “c’è un’arte che ci fa immuni/e guerrieri senza bisogno d’armi/arte del camminare accanto/insieme seminare mietere/insieme spartire/pane e parole”. Sta a noi, dunque, il fare, ci viene persino fornita la password per entrare in questo mondo misterioso, colmo di arcani e intriso di miti e memorie del passato, districarci lungo questo cammino verso la meta che ci accomuna, la ricerca della salvezza e della felicità. E c’è una certa urgenza nel darsi da fare, adoperarsi per il Bene comune –prima che faccia notte, prima che la bambina impari a sillabare/dobbiamo/ricomporre l’asse spezzato– si rende estremamente necessario cercare un codice di alleanza tra tutte le piccole e grandi creature del cosmo, poiché “si può agire ormai solo per mani/stingendole infinite/sgomenti emergere dal fango/salvando i pochi semi superstiti. L’asse da ricomporsi, tra urgenti interrogativi ed enigmatici nodi da sciogliere, è nella triade Amore-Luce-Poesiacanto, l’accordo musicale perfetto che pervade l’intera opera, fino a tal punto che tutto l’universo è musica e “solo un’orchestra può inscenare/l’impenetrabile…so che una scia di note come fiaccole/ci verrà incontro nel buio dell’altrove”. In questo spazio senza confini fisici fluttuano le narrazioni di un passato perduto, di un presente doloroso e di futuro assai vacillante – cosa sarà tra un milione di anni? forse residui di striature sulle membrane neuronali– lungo le sequenze logico-empatiche MITO-RADICI-NASCITA-MIGRAZIONI, temi ricorrenti nella maggior parte delle liriche. Certo è che alla poesia viene riconosciuto un ruolo cardine nel ricongiungerci all’essenza primordiale da cui derivammo, all’autenticità delle cose semplici “cose piccole e buone/briciole/che delicatamente la bimba dispone in terra/lungo la fila delle formiche” perché “poesia immensa viene dai minimi ai minimi ritorna”. Il canto poetico si fa strumento per suggellare l’incontro armonico tra le creature del cosmo “ché siamo tutti-fogliepietreanimali-fatti della stessa sostanza luminosa/promessa inesauribile di un’alba.
E così si sostanzia, nella silloge di Annamaria Ferramosca, il tentativo efficace di riemergere dagli iceberg della solitudine umana per compiere un cammino plurale di chi cerca “tregua dal disumano” attraversando tutto il vuoto di questo mondo con la forza della fratellanza. E’ una resa e una rivincita allo stesso tempo, uno sterminio di parole destinate a rifiorire, che si protendono non alla morte bensì alla vita, poiché “Verrà l’oceano/verranno le sue vele/saremo nuovi per nuovi continenti”.
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