In forma di lettera.
Note di lettura di Paolo Polvani a Nella mia piccola eternità, di Marco Ribani.
Carissimo Marco,
il tuo libro è ricco di felicissime sorprese, perché l’argomento è di quelli parecchio scivolosi e impervi; quando ho letto il verso – e vedo l’autunno come una liberazione – e ancora prima, alla pagina precedente la sequenza: – ora voglio solo vedere ora quanto è lungo il / vivere la morte – ho intuito trattarsi di una sorta di testamento poetico, un congedo dalla poesia oltre che dalla vita. Tu parli del tuo autunno, però dal libro sprizza una bella ventata di primavera! Se metto sui piatti della bilancia lessicale i termini e le immagini che più volte ricorrono, annoto che la parola luce torna ben quattro volte, e in occorrenze felicemente positive: – il lavoro magnifico della luce – e anche – inesauribile luce -; invece la parola morte, e suoi derivati, ricorre sei volte, ma sempre, anche questa, in immagini luminose e in prospettive rivolte al positivo! – Oh! Quanta vita c’è dentro la morte! -. E spesso torna nei versi il verbo venire, che sempre si lega a immagini felici non solo in senso estetico, ma esistenziale: – Eppure viene un vento / di vitale verde tenerezza..-, – viene una luce in forma di coraggio – e anche: – Viene un cuore verde che pulsa -.
Si direbbe trattarsi più che di un congedo, di un inno di ringraziamento per quanto ricevuto:
Viene una luce in forma di coraggio
anche l’aria d’un tratto prende forma
una invincibile grazia mi pervade
ed un ringraziamento magro sale
dalle corde della gola fino al cielo.
La bellezza di questa tua raccolta si annuncia fin dall’inizio, quando affermi di aver rinunciato all’idea dell’incenerimento, e che vorresti essere puro scheletro,
E poi fare di me degli strumenti a soffio per il vento
quando tira forte. Sarebbe la mia voce tutta nuova
per te, solo per te. –
Tu scrivi: non mi ricordo più quante volte si muore – rimandando così a una visione della morte presente fin nella vita di tutti i giorni col ritmo alternato di sonno e veglia, luce e buio, guadagno e perdita, il ritmo delle maree e delle stagioni, e trasferisci la circolarità di questa visione nella struttura della raccolta, così il prologo e l’epilogo convergono, coincidono negli stessi versi, e la poesia contrassegnata col numero ventidue ritorna praticamente identica, con appena alcune modifiche nella disposizione dei versi, nella poesia che porta il numero ventisette. Tutto all’insegna della bellezza:
la bellezza che spunta ogni mattina
è nella volpe rossa che grida
ed è nella civetta bianca che ritorna
è nel latrare dei cani sempre stupiti
che la luna scompaia chissà dove
e che anche oggi il sole sia venuto.
Più che prendere congedo da questa vita, più che tuffarti nella tua personale, piccola eternità, a me sembra che questa tua raccolta vada nella direzione di una profonda immersione nel significato essenziale della vita e nella celebrazione della sua bellezza con immagini vive e luminose, spesso legate alla visione di animali semplici, e di frutti semplici:
Accarezzo le piccole pere e i fichi infantili
ancor pieni di latte e poi c’è una chiocciola
che mi scruta coi suoi occhi sottili…-
e più avanti:
Eppure le piccole papere sembravano felici
mentre duellavano coi pesci per la colazione.
Mi sembra di avvertire lo stesso spirito presente nel verso Laudato sì mì Signore per sora nostra morte corporale, sebbene tu ci tenga a evidenziare una netta presa di distanza dagli argomenti religiosi: – ed io che parlo al dio che non conosco…-; i tuoi versi sprizzano spiritualità, una sorta di religiosità tutta laica e terrestre, che indubbiamente è la forma più profonda della religiosità, quella che parte dal basso, dalla sincera umiltà delle cose, degli animali, delle persone.
Ancora ti crescono le foglie intorno al cuore.
E sarebbe autunno cioè quando gli alberi
somigliano a scheletri puntati verso il cielo -.
Più che a un congedo la tua raccolta somiglia ad una tappa della tua personale illuminazione, uno stadio della saggezza circolare come i cerchi che segnano le età degli alberi, un suggerimento, una suggestione che indica la possibilità di una strada, di un percorso:
Per adesso è tutto quello che sappiamo
Una manciata di particelle elementari
che vibrano che fluttuano
in bilico tra esistere e non esistere.
Ci sono anche se sembrano non esserci.
Si sposano divorziano fuggono lontano.
Appaiono in più luoghi nello stesso tempo.
Hanno un loro alfabeto luminoso
per raccontare ciò che c’è d’immenso
nella storia delle galassie delle stelle
innumerevoli e fugaci.
Ma anche delle montagne dei campi di grano
dei sorrisi dei ragazzi alle feste.
E di quel cielo nero che protegge
l’intimità della notte.
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