Per Anna Magnavacca, un ricordo di Paolo Polvani.
Ho conosciuto Anna Magnavacca in occasione di un premio di poesia in un paesino delle Marche, più di quindici anni fa. Abbiamo trascorso insieme un bellissimo pomeriggio. Da allora ho ricevuto tutti i libri che andava pubblicando, io le regalavo i miei, ci sentivamo spesso, mi raccontava della sua coraggiosa lotta contro il male che l’aveva colpita e di cui aveva raccontato nel libro In forma di lettera, pubblicato nel 2013. Ne scriveva con affettuosa ironia, e così ne parlava, non si è mai lamentata, neanche quando il male, a più riprese, tornava ad attaccarla. A Natale le avevo scritto per farle gli auguri e avere notizie, e mi aveva insospettito il suo silenzio. Si informava sempre sui temi di Versante ripido e aveva collaborato moltissime volte. Mi piaceva il suo modo di scrivere, le somigliava molto, la sua è una poesia col sorriso sulle labbra e gli occhi chiari scintillanti, piena di gentilezza, con dentro cappelli viola e borse marroni, con dentro gatti che perlustrano i tetti, e la meraviglia che ogni stagione sa regalarci. Anna è morta a settembre dello scorso anno. Vogliamo ricordarla con alcune sue poesie.
Da “Poesie in forma di lettera” di Anna Magnavacca
E’ il giorno della “rossa”
– la chiamano così –
Mi dicono “è soltanto una flebo
una semplice flebo”.
E’ così – vedo – una flebo colorata
e in questo silenzio spento
i colori si mescolano, danzano
nel bianco del lenzuolo al rosso-carminio
della siringa che entra in vena
dolcemente – lentamente, suadente
*
Datemi le mie scarpe
le mie poesie
i miei rossetti
il cappello viola
la mia borsa marrone
e quella tazzina verde colma di caffè.
Datemi ancora tempo.
*
Ti scrivo per dirti
che – se mi guardo allo specchio –
vedo una piccola – strana testa pelata
e l’occhio lacrimante.
Non piango.
E’ “la rossa” che vuole farmi piangere
senza il mio permesso.
E’ lei che tiene sotto controllo
tutto il mio corpo.
Mi viene voglia di preparare
una valigia con dentro il vestito fucsia.
Consultare i fondi del caffè
poi partire al chiaro di luna
e mettere il piede sull’orlo azzurro
del cielo.
*
Abbiamo misurato la parrucca.
La bambina se l’è appoggiata
sulla testa
sorridente e distratta (ringrazio Dio per questo)
e si pavoneggiava
inneggiando alle maschere di Carnevale.
E’ una fitta coltre di capelli
finti caldi ovattati
senza vita, morti.
E come posso metterli sulla mia testa nuda?
Potrebbero prendersi un pò della mia vita
o togliermela del tutto.
Aggrovigliarsi al mio debole cuore.
La lascerò buona e tranquilla
nel mio cassetto
nella sua scatola “Rewlon” Made in Japan.
*
Dovrò indossare la parrucca.
Il foulard scivola
sopra questa mia testa implume
e mi disorienta.
La bambina mi ha paragonata
a un tele -tubbies…
Non ha pieghe la mia testa
è candida lanugine.
Piccolo-indifeso globo lunare.
*
Queste invece sono poesie che avevo scritto per lei, per incoraggiarla nella sua lunga battaglia contro la malattia.
Cose che avvengono
Che buffa storia mi racconti, Anna: la bambina
ti sistema la parrucca e a te scappa da ridere.
Per ancorarci alle cose abbiamo stilato degli elenchi,
ci siamo ingegnati di dare una sistemazione al mondo,
per quanto labile, precaria, affidata
al povero fiato di versi esigui
e tu, vedi, per esempio dici: ho tre figli, ho quattro nipoti.
Tutto questo mi ricorda il rimpianto che affiora dalle vecchie
foto e la tua nascita nel quarantadue sotto le bombe.
Lo sai che ci vorrebbe una lingua affilata, un vocabolario
senza tentennamenti, pur con le necessarie interferenze.
Esistono inventari, litanie di cose, avvenimenti,
e al fondo una palese incongruenza ma tutto all’interno
di un equilibrio in continuo assestamento.
E’ ancora qui la tua giovane voce che nel telefono si perde.
Vedo le strade coerenti di quel paese delle Marche,
le piccole mattonelle rosse che parlano di necessità
e di precisione, di come tutto s’incastoni
in un prestabilito disordine. Il tuo tumore
percorre le stesse vie in penombra, s’affaccia in quelle piazze
che annegano nel sole. Certi versi possiedono il sapore
di una luce ingenua e lo sguardo s’attarda al calendario.
Natale, mi dici, resta uno dei miei traguardi.
Riesco a immaginare il silenzio, la clandestinità
di quelle cellule, persino la cospirazione in atto.
Ci sono cose che avvengono, penso all’incontro della bandiera
con il vento, al fragore dei treni, alla fibrillazione del tuo cuore.
*
Sorrisi eccezionali
Non darle le tue mani, Anna, e neanche
il sorriso, falla aspettare
fuori dalla porta, non lasciarla
entrare.
Tu dici: le metastasi. Anche il vivere
usura, anche la gioia ha un
costo. Tu dici: corre veloce il male.
Ma tu non darle il tuo sorriso, prendi
il cappello viola, vedrai,
se vede gli occhi celesti
ritorna sui suoi passi.
Tu dici: il fuoco dei papaveri
ritorna. Lascio il mio gatto rosso
a vagabondare sui tetti, lascio
le mie poesie.
No Anna, non darle le tue mani, sforzati
di farle un sorriso eccezionale, vedrai
che ci ripensa, vedrai che ripercorre
i viali di Aulla, le strade familiari,
rinvia l’appuntamento, sale
sulle colline, ma tu
non darle le tue mani.
*
Paolo Polvani
16/04/2019 alle 22:54
grazie