Errante di Emiliano Cribari, Anima mundi Editore, 2022, una lettura di Luigi Paraboschi
Questo ”breviario di vita vissuta” che Cribari ci espone con umiltà può essere il modo da lui scelto per fornire a noi lettori un occhio nuovo per interpretare il mondo posando uno sguardo più amorevole anche sulla nostra vita.
Egli scrive a pag.16:
“san Francesco da Paola…/ sa che i miracoli non servono/ se non diventano lezioni”
e da questi pochi versi ci rendiamo subito conto di quale occhio egli si è servito nella stesura di questa raccolta: un occhio mistico rivolto alla terra di cui a pag.13 egli dice:
“…una terra che non mi è mai stata ostile”
La sua posizione è quella di un essere umano che si definisce errante; a pag.60:
“errante è un girovago/ dissenziente/ cercatore/ penitente/…errante è randagio/ inafferrabile/ irrequieto/ rimurginante,/ sente male dove non giunge il dolore/ guarisce soltanto/ritornando animale/”
è un errante che possiede:
“…ho il passo indolente/ di chi non ha inteso le regole/ o non si è arreso…/”
lo vediamo a pag.17
e che cerca le risposte alle domande esistenziali lungo tutto il cammino attraversando la sua Santiago appenninica.
Vediamo a pag. 49:
“…vi invito all’alpe/ generosa/ dell’Appennino/ dove il sacro dimora/si sgretola/ si perde/ vi invito al dubbio/ al segreto/ alla tregua/ vi invito al ritorno/.”
La sua è la sintesi di tanti viaggi, o escursioni, ma forse sarebbe meglio definirla: “raccolta di un viaggio dalla terra al cielo.”
Durante questo cammino egli porta il peso della sua natura che gli fa scrivere a pag. 62:
“…ora che ho capito/ che non rinuncerei mai agli indugi/ …all’idea costante della vita e della morte”
e scavare dentro se stesso per capire meglio chi egli sia, da dove abbia avuto inizio quel disagio che esprime con il suo girovagare nel mondo, sintomo della ricerca di Assoluto, e in cosa trovare un poco di abbandono spirituale; a pag.26:
“iniziavo a credere in Dio/ nella pagina bianca/ nell’essenza scabra del punto/ il punto che non esclama / che non chiede / il punto solo/ solo che errando dovevo bastarmi”
Di conseguenza arriva alla conclusione di pag.85:
”…/ non c’è motivo/ stavo pensando/ per cui io continui a stare male/”
A questo punto si ferma e riflette meglio sul mondo prestando l’occhio all’osservazione della natura che incontra durante il suo errare.
Troviamo a pag.38 questa bellissima poesia che riporto per intero:
“autunno salmodiante di foglie/ di pioggia leggera/di castagni che si avvitano al fango/ su grafie longobarde/etrusche/ romane/ tra la nebbia svaniscono/ le parole/come muschio anche il corpo/ sradicato / dimentica//”
Proseguiamo con questi versi di pag. 46 nei quali scopriamo racchiuso un amore profondissimo per la vita, dalla quale sboccia la sua riflessione sul mondo:
“…questo silenzio/ non è normale/ ci siamo sbagliati/ ingannati/ ci siamo persi di vista/ questo non è normale//”
ma egli scopre anche la limitatezza che incontra nel dover esprimere ciò che sente servendosi soltanto delle parole che avverte essere insufficienti, a pag.33
“…certe parole/ sono vecchie fotografie venute male/ servono soltanto a ricordare//”
e dal suo cuore sgorga una generosa interiorità che lo induce ad allargare ancora di più lo sguardo sulla natura e a trasformare l’ interiorità in preghiera, a pg. 51:
“…quest’inverno io prego per il nido della ghiandaia/ per la tela del ragno/ per il riparo notturno del cervo/ …E prego per l’inverno che verrà/ perché dia tregua e speranza/ e silenzi/ e canti di preghiera in abbondanza//”.
Cribari cammina e riflette, osserva, guarda con curiosità e amore il mondo che sopravvive sulle montagne che attraversa e la sua capacità poetica diventa quasi fotografica in questi versi di pag.109:
“questo vagare tra i paesi la mattina/ quando non restano che muri/vecchi porte/galline/ anziani soli sulle sedie con un secchio/ tra le mani/ la tenacia di un lampada arancione/ sopra un tavolo ingombro/ due fogli/ una penna/ una radio sottovoce/ questo vagare tra i paesi la mattina/ è darmi una piccola tregua/ reprimere l’incendio di domande/ l’apprensione…”.
Il sentirsi parte della natura è l’unico rimedio che egli trova, (a pag.22), per non lasciarsi sommergere dalla quotidianità che fa sprofondare il cuore di tutti dentro la marea che sale:
“come se il problema/ fosse davvero la crescita/ il deficit/ l’occupazione/ il prodotto interno lordo/ l’ampliamento dei mercati/ e non la Terra che si scioglie/ che affoga/ che brucia/ che soffoca/ la Terra che grida/ che ha le ore contate/ che prepara il suicidio //”
Ma per salvarsi l’anima suggerisce a pag.52
“l’antidoto…/ è restare/ nell’arsura letargica/ d’ogni istante/”
ne consegue che la prima cosa che egli sente di fare è riconoscere che (pag.59):
“….ma più di tutto ora vorrei darmi pace/ fare pace con chi mi ha atteso/ con chi ho deluso/ con questa neve che ho calpestato/ senza prima ringraziarla per essere caduta//”
A questo punto, dopo avere compiuto una sorta di esame di coscienza il poeta guarda il mondo attorno a sé e afferma a pag.32:
“…non sanno ancora che è lì/ tutto lì/ fuori e dentro/ il segreto di tutte le cose//”
e il segreto sta nell’amore, indispensabile per lenire l’anima angustiata (pag.41):
“…/ spirituale è il richiamo Natale/ di una campana/ è prendersi cura di un seme/ di una pozza, di una fontana//”
per cui la visione di un mondo di campagna ormai in dissoluzione per l’indifferenza umana gli fa scrivere a pag. 58:
“un paese è un tentativo di vicinanza //….un paese è una forma di attesa/…
un paese è la distanza / da un solitudine più grande/…. Un paese è l’idea che qualcosa/ presto o tardi si rompa//
e prosegue poi a pag.56:
“chiuse le case, la chiesa/ anche l’unica bottega del paese è chiusa/……….
È un silenzio che atterrisce/ una pausa indefinita tra sconforto/ e eccitazione/ non so più cosa sperare/ amo di più un paese vuoto/ che un paese riempito
male//”
quindi aggiunge a pag.21
“un pezzo di muro/ un lampione/ un vaso/ in un paese abbandonato/ o in periferia// quando è notte/ quando piove/quando è la vigilia di Natale// un oggetto esposto/ in una vetrina a Ferragosto//”
Ma se il segreto del vivere è rinchiuso dentro i versi di pag.31:
“essere accolti e gioire /di un muro tutto bianco /di una sedia del sorriso di una suora/ ridursi a ciò che forse/ è elementare-/fare silenzio e pregare/per un amico/per un pesce/ per un viaggio fa fare //…”
non rimane che guardare il mondo con la semplicità animale degli occhi di una capretta appena nata, come leggiamo a pag.71:
“…/ t’hanno sgravata in un capanno/ soltanto un’ora fa/ e già ammiriamo
le stesse montagne/ gli stessi lunghissimi fili spinati/ ci estranea l’istinto/
messi vicini siamo due misere/ pupille in tremare//”.
L’autore riconosce la povertà del suo essere creatura disorientata come quella capretta e approda alla conclusione che è sottesa in tutto il suo lavoro, cioè la scoperta e l’avvicinamento al senso religioso della natura, che, inevitabilmente lo conduce ad approdare al senso del divino come si legge a pag.110 in questa versione del credo che si recita alla messa domenicale:
“Dio da Dio/ luce da luce/credo soltanto in questo momento/ generoso non creato/ della stessa sostanza del mare/.”
Se Dio è quanto egli scrive a pag.55:
“Dio è una voce che dai alle cose/ ai fiori bianchi del cisto/ all’odore della legna/ a una fontana dimenticata/ a una bufera che imperversa sul crinale/ e scuote i pini dal ricordo del mare//”
allora il poeta non può che concludere a pag.17 con queste riflessioni pasquali:
“Cristo profuma/ mi distrae / disseta ai tempo / che l’umanità risorga presto”.
Il lungo cammino dell’autore verso l’appeninica Compostela culmina con questa considerazione alla fine della mia lettura, ma uno spirito intriso di religiosità aleggia su tutto il lavoro che l’autore porta avanti sia con le parole , che con le splendide fotografie, scattate da Cribari stesso, che con il bianco e nero si adattano perfettamente ai testi ai quali sono accostate. Sono immagini professionali di una delicatezza e sobrietà uniche e siamo certi che anche in questo campo il nostro autore otterrà tutto il successo che il suo lavoro accurato merita.
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