Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su Estate corsara di Alessandra Corbetta (puntoacapo Editrice, 2022)

 

Potremmo definire Estate corsara il reportage poetico d’un voyage tanto spaziale quanto esistenziale.

Il macrotesto, infatti, con i suoi riferimenti a tempi (p. 9, Estate 2006; p. 56, 9 marzo, etc.) e luoghi (p. 24, Bologna Centrale; p. 35 Firenze I, etc.) sembra assumere a pattern letterario il genere diaristico, il quale, senza mai ridursi a cronaca, elegge il vissuto dell’io-lirico ad occasione di profonda meditazione sul senso dell’essere-al-mondo.

Il prototipo umano che si rinviene nel corpus testuale è quello dell’homo viator, di colui che – stando a Gabriel Marcel – ha coscienza della propria <<condizione itinerante>>, connotata, quest’ultima, da quel <<sempre attraversare>> (p. 24) che Corbetta intende indefettibile alla salvezza (p. 24 cit., <<per salvarsi / occorre sempre attraversare>>) o da quell’<<andare andare andare>> (p. 35) che, con efficace epanadiplosi, esprime l’urgenza dello stare in transitu, del transire, del proiettarsi oltre l’acquisito.

È appena il caso di rilevare che l’idea dell’andare, peraltro con sollecitudine, è insita nell’alone semantico dell’aggettivo <<corsara>>, il quale, prim’ancora di alludere in termini correlativi alle goliardiche scorribande dell’età giovanile, esprime a livello etimologico il currĕre, il muoversi speditamente (cfr. p. 16, la <<fretta del passaggio>>).

Questo reiterato spasmo d’oltranza, se da un lato è dinamismo e dunque vita, dall’altro è anche adieu, distacco, separazione (p. 50 <<(…) la parola addio, / come passa inosservata in mezzo a una gioia brevissima>>) e tradisce la smania di consumare voracemente l’esistenza senza mai potersene sentire sazi; l’impulso vitalistico della Nostra denota sempre un quid di inquieto (p. 59, <<spasmi>>; p. 61, <<ansie>>); la gioia dell’Estate è sempre in <<forse>> (p. 9) e compromessa dall’avvertimento della morte (<<In ogni estate trovo che / un po’ di morte in fondo c’è>>, Baustelle, epigrafe anteposta alla lirica incipitaria della sezione <<Prima>>), fino alla percezione di quella <<tremenda solitudine>> (p. 55), di quel sentire che spesso i rapporti interpersonali risultano viziati dalla logica del do ut des (ibidem, <<vo- / gliono sempre qualcosa in cambio quelli che fanno / un favore non richiesto>>), di guisa che, dopo tanta erranza o cerca di senso, si è tentati di abbandonarsi a quella sorta di  rêverie bachelardiana volta a <<perdersi nelle nuvole, / diventare una bolla di sapone, un nulla senza perce- / zione, / senza lasciare traccia dileguarsi>>, ibidem).

L’opera si presenta a struttura tripartita; le sezioni seguono la logica del tempo lineare-diacronico (pp. 9-24, <<Prima>>; pp. 29-50, <<Durante>>; pp. 55-85, <<Dopo>>); la si potrebbe definire trilogia funzionale a tematizzare il cursus della diegesi poetica, i cui topics si sostanziano nell’assentire con audacia alla vita (p. 11, <<avere detto / senza saperne il senso>>), nel desiderio di contagiarsi, di contaminarsi con l’altro-da-sé (p. 13, <<una voglia di vita infetta>>), nell’appercezione leibniziana della presenzialità dell’assenza (p. 14, <<quell’invisibile perduto / che continua, fa capolino>>; cfr., a fortiori, p. 23, <<un’assenza già presente>>).

E tuttavia, il piano temporale, spesso, arresta il suo corso, si sospende, proietta l’io-lirico in vigilia, lo situa in un kairos di cui si attende l’epifania, la rivelazione d’un <<qualcosa>> (p. 17) che giunga a compiersi, ad accadere (p. 17 cit., <<tutto in attesa, come se qualcosa / potesse davvero accadere>>), un tempo che si vorrebbe di incontro, relazionale, ma che nei versi di Corbetta resta in potenza, inattuato, <<dove tutto / è già in procinto di>> (ibidem); la predetta locuzione, a mo’ di perifrastica attiva, è espressiva dello stato di sospensione di cui s’è detto, nonché di possibile rovina (p. 34, <<la paura di vedere che / è tutto precipizio>>); l’Autrice fa sapiente uso, in termini retorico-grafici, dell’aposiopesi, tacendo nel caso di specie il cosa che è sul punto di verificarsi, in quanto sempre futuro, ignoto, confinato nell’avverabile.

Non si vuol dire che il locus amoenus della gioia non si faccia mai presente nel dettato; il verso di p. 19 <<Nello stomaco gli acrobati si risvegliano>>, a prescindere dalla portentosa metafora utilizzata, pone in claris l’inno alla vita che permea di sé la silloge; <<un luogo di gioia>> (p. 45) c’è stato, sentenzia la poetessa.

Ma la leggerezza del vivere, la spensieratezza – se vogliamo – (<<ogni cosa si faceva per noi leggera>>, ibidem), è spesso inquietata da improvvisi mutamenti emozionali; si noti, all’uopo, nel verso di p. 45 cit., la congiunzione avversativa ma che cambia lo scenario, che oscura l’idillio: <<Ma un’altra persona / o in te te stesso creava il peso. / E dubitavo più di tutto questo: / del tempo e del suo male>>, ibidem).

Più in là, l’io si fa petrarchesco, pensoso e monologante; prende atto dell’esigenza di accettare il corso delle cose, di lasciare andare i lutti, di farsene ragione (p. 46, <<Slegare i morti / dalle corde e lasciarli andare via (…) / O seppellirli>>); si pone face to face con il divino, ponendo in conflitto dialettico fides e ratio (p. 47, <<credere o non credere è una ragione / che non possiamo dare>>) a dire che non esistono argomenti definitivi che possano decretare la supremazia dell’una posizione sull’altra.

Innanzi al mistero della vita, al cospetto del Totalmente Altro, la poetessa quasi recita il suo sermo humilis; <<dire l’indicibile>> (ibidem) o cercare di dirlo <<con convinzione>> (ibidem), produce l’effetto di <<mettere al mondo qualcosa>> (ibidem); l’atto poetico, nell’intentio di Corbetta, è atto maieutico, id est <<parto>> (ibidem), consegna al mondo d’un quid pluris conoscitivo che si atteggia a posterius della gestazione di quel pensiero emotivo in cui si sostanzia l’arte di scrivere in versi.

La tesi della Nostra, secondo cui dire è generare, richiama la teoria austiniana degli atti linguistici performativi, di quelle locuzioni, cioè, che pronunciate divengono costitutive della realtà fenomenica, nel senso che la creano.

Il discorso è tutt’altro che ozioso o accademico. La poetessa elabora qui il suo manifesto poetico; evidenzia che scrivere-dire <<l’indicibile>> (p. 47 cit.) non è flatus vocis, non è vox clamantis in deserto, ma più fiat primordiale che per enunciazione genera gli enti, come peraltro risulta nella narrazione di cui al primo libro veterotestamentario; non ci pare un caso – in tal senso – che Corbetta scriva a p. 49 <<(…) l’inizio è sempre dire>> che, anche in tal caso, allude – consapevolmente o meno non importa – al Prologo giovanneo <<In principio era in Verbo>>).

Con la lirica Monteriggioni (p. 47 cit.) l’Autrice sembra risolvere la quaestio sul <<non-vissuto>> (p. 22, Bacà) che si potrebbe essere tentati di ascrivere all’atto del fare poetico (<<- vuoi convincermi – / scrivere è una briciola di non-vissuto>>, ibidem); fare poetico da intendersi, dunque, non quale monacale o anacoretica rinuncia al mondo, ma quale modalità più intensa di esserne parte.

L’apparato figurale è molto ricco. In esso si rinvengono – lo si intenda per sommi capi – figure di suono quali – a titolo esemplificativo – allitterazioni, come quella di cui a p. 67, <<Spacca e separa la perdita, / scaglia chicchi di melograno negli occhi>> dove l’occlusiva velare sorda c (k) peraltro rafforzata dalle doppie cc (spacca – chicchi – occhi) è espressiva della durezza – e dunque del dolore – che produce l’atto dello scagliarsi degli oggetti indicati in verso nel bulbo oculare; del pari nell’allitterazione <<come spilli lunghissimi / da pupilla a cervello>> (ibidem) le l e le i reiterate iconizzano l’atto del sottile, lungo e puntuto ingresso degli spilli negli occhi, rendendo magistralmente materica la sofferenza.

“Estate corsara” di Alessandra Corbetta, puntoacapo Editrice, 2022.

Tra le figure di parola si segnala l’asindeto di p. 60 (Lungarno I) <<I clic le voci americane l’acqua verde>> che ricalca la tecnica enumerativa asintattica di tanta poesia contemporanea nonché il polisindeto di p. 48 (Corteccia) <<si è fatta fitta e trema e odora la rosa bianca>>.

Le figure di significato contemplano centrate metafore (p. 20, <<l’incontro era già un volo, un palloncino / rubato dalle mani>>) o similitudini (p. 30, <<Ho il viso invecchiato, / come qualcosa di andato>>), nonché prosopopee (p. 66, <<L’amore cerca anime, / arriverà da destra per Centrale>>).

Il registro linguistico è di tipo medio, vicino ad un parlato giovanile e vivace, dai cromatismi accesi (p. 9, <<ombrelloni blu>>; p. 22 <<Un libro giallo>>; p. 39 <<(…) il volto argento e duro>>) e dalle atmosfere urbane e ferroviarie dove si incontrano le molteplici figure dell’umano che abitano i versi (p. 9, <<Una ragazza (…) con le gambe lunghe>>; p. 17, <<lui [che] fruga nello zaino>>; colui che ha <<le costole in vista / nel cappotto slacciato, la sigaretta accesa>>, p. 24, etc).

Alessandra Corbetta, con Estate corsara, elabora una poesia – per dirla alla Saba – onesta, vocata cioè a lasciarsi intendere pur mantenendo quegli scarti linguistici che rendono la poesia linguaggio-altro dalla prosa; si vuol dire che i livelli denotativo e connotativo, il trobar leu e clus sono sapientemente bilanciati, tanto da rendere l’opera in commento godibile, gradevole, esteticamente pregevole e contenutisticamente appagante.

All’accorto lettore non sfuggirà che quelle dell’Autrice sono liriche ispirate dal suo viscerale desiderio d’amore e di henosis con l’alterità; <<l’amore farlo per sfidare il / mondo, per sentire il fondo delle cose>> è fantastica dichiarazione programmatica di ascendenza orwelliana, eversiva, già solo per il fatto d’essere stata scritta, d’un sistema sociale che teme proprio chi si ama, poiché chi si ama – come è chiaro a Corbetta – è certamente più vivo, più libero, più pensante e dunque resistente ai tentativi di addomesticamento esperiti da ogni potere costituito.


Alessandra Corbetta

Alessandra Corbetta (Erba, 1988) è dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media, lavora come Adjunct Professor e Teaching Assistant presso l’università LIUC-Carlo Cattaneo e collabora con l’azienda informatica TTY CREO. Ha conseguito un master in Digital Communication e uno in Storytelling. Ha fondato e dirige il blog Alma Poesia (www.almapoesia.it), con il quale ha anche curato la pubblicazione del volume Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice 2021). Collabora con il blog spagnolo di letteratura e poesia Vuela Palabra, scrive per il giornale online Gli Stati Generali e per UniversoPoesia – StrisciaRossa; per Rete55 conduce la rubrica “Poetando sul sofà”, dedicata a grandi autori della poesia italiana. Per Puntoacapo Editrice dirige la collana di poesia per opere prime Controcorrente. Sue poesie sono presenti in diverse antologie e tradotte anche su riviste straniere. In versi ha pubblicato Corpo della gioventù (Puntoacapo Editrice 2019) ed Estate corsara (Puntoacapo Editrice 2022), mentre la sua ultima produzione saggistica è Corpi in rete. Rappresentazioni del sé tra visualità e racconto (Libreria Universitaria 2021).
Tutta la sua attività è consultabile sul sito www.alessandracorbetta.net.