Angoli di poesia di Luca Ariano | Francesca Del Moro, Ex madre (Arcipelago Itaca Edizioni, 2022)

 

Francesca Del Moro, per Arcipelago Itaca, ha pubblicato la sua ultima raccolta Ex madre, curiosa coincidenza con la pubblicazione dell’ultima raccolta (uscita un mese dopo) di Valerio Magrelli Exfanzia. Illustra benissimo Rosaria Lo Russo, nel suo contributo critico all’inizio del libro, la definizione di ex: “Ex madre, una definizione di sé ferocemente stigmatizzata da un’ufficialità burocratica spersonalizzante. Con valore privativo indica che la condizione o funzione espressa dal sostantivo stesso è ormai decaduta o cessata. Il titolo è il luogo del piccolo, immane, orrore privativo. Il complemento latino di moto da luogo si esprime con ex + ablativo; ex matre, con piccola lenizione della dentale che da sorda si fa sonora, diventa ex madre. La madre è il luogo del lutto. È da un luogo postumo, da una condizione postuma, che scaturisce questa poesia. Ex madre, perdita del sé più viscerale, perdita dell’identità più radicata nel corpo. Il corpo diventa un guscio svuotato che si confonde con la polvere della terra e aspira al pulviscolo divino.” Libro molto corposo costituito da 100 poesie che ripercorre la vicenda dolorosa e improvvisa della violenta perdita di un figlio. Da qui il titolo che così spiega perfettamente sempre la Lo Russo addentrandosi nel testo: “Non dal distacco che si fa stile sublime ma da un’identificazione totale, l’orfanità della madre, col figlio morto, che si fa stile umile, classicamente opposto allo stile sublime. Humilis, della terra, dalla terra, humus. Spesso in questi versi si parla di “occhi rotti”, di uno sguardo fisso a terra. Il corpo di chi scrive vi giace, un corpo rotto che cade nella scrittura. La poesia è un corpo sostitutivo, di parole, un corpo ricucito dalla scrittura di una mano estranea, alienata a sé, il corpo in balìa del dolore infinito.” La poetessa toscana ripercorre, in una sorta di diario in versi, quello che è accaduto dal momento della morte del figlio: “Ex mamma / ho subito pensato / quando ho letto quel post / di auguri al neo papà. // E ho pensato a mia madre / che piangeva in questura / col fascicolo in mano / e a quel giorno che ha detto: / non sono più nonna.” Il tono può apparire, ad una prima lettura, freddo, distaccato, velato da un sarcasmo che colpisce e ferisce, ma, addentrandosi nella raccolta e seguendo il percorso passo dopo passo, quasi giorno dopo giorno, ritroviamo tutto il pathos che Francesca Del Moro riesce a condensare, da sempre, nei suoi versi. Si pensi alla sua raccolta sul mondo del lavoro e del precariato (Gli obbedienti). Attraverso queste liriche riviviamo giorno per giorno il dramma del lutto, della perdita e la fatica della poetessa per proseguire la vita di tutti i giorni quando, inevitabilmente, il pensiero va al figlio scomparso, a quello che è stato, che poteva essere, agli attimi con lui, ai tanti gesti che compongono un’esistenza e ai momenti di affetto: “Ha brillato qui per vent’anni, / poi si è incamminato altrove. / Da allora io sono ferma // voltata verso la sua orma di luce / come un girasole.” Non è sicuramente una poesia consolatoria, nemmeno però di autocompiacimento nel dolore e nella sofferenza come certe poesie dal tono crepuscolare o nichilista, bensì una lucida analisi della condizione di una madre che perde la sua ragione di vita, ovvero un figlio: “Ho stretto l’urna contro il ventre, / pesava pressappoco come allora. / Un figlio lo contieni sempre / e ogni minuto io contengo, / ogni minuto sento dentro / mio figlio che muore, / mio figlio che decide di morire.” Così Luigi Carotenuto, nella sua postfazione, sintetizza quest’opera: “I versi di Francesca Del Moro sono come respiri, sussurri, tutto comprendono-contengono, nessuna concessione al dolore che non venga insufflata dalla poesia, resa nuova, resa carezza, calore, fuoco che scalda senza bruciare. Una trasmutazione alchemica di spasimo, pietà, apparentemente impossibile, una riconciliazione e ricostituzione di quell’Unità perduta senza sconti, deleghe, indugi ma con “…mano ferma / nel ricucire” le ferite dell’anima.” Ex madre è sicuramente una delle raccolte più drammaticamente intense di questo inizio anno che, attraverso i versi di Francesca Del Moro, diventa, per chi la legge, un momento di riflessione, analisi e compartecipazione di uno dei più grandi dolori umani, il sopravvivere al proprio figlio.

 

 

 

È arrivato anticipando

d’un soffio la primavera.

Da allora mi ha fatto solo fiorire.

Mi ha seccato l’eterno sole

del luglio in cui mi ha lasciato.

Come lui splendeva troppo

ai miei occhi, li accecava.

E non ho visto la nera, lunga

notte in cui si incamminava.

 

*

 

L’estremo gesto, il gesto insano.

Il rapporto di polizia si concede

qualche cliché letterario.

Ma io ricordo bene

il viso buono di chi quel giorno

mi ha fermato sulla strada

e gli occhi lustri di chi ci ha ridato

i suoi effetti personali

mentre i nostri si riempivano di lacrime

e il suo ripetere commosso:

non è colpa vostra, mi raccomando,

ricordate, non è colpa vostra.

 

*

 

Se fossi certa

di ritrovarlo al di là

di questo ruvido grigio

dove esercito l’occhio

 a cadere a precipizio

tra i passi consueti

sceglierei un piano alto

e gli correrei incontro

con la stessa felicità

con cui lo riabbracciavo

alla fine di ogni giorno.

 


Francesca Del Moro è nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. Ha pubblicato i libri di poesia Fuori Tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche) e La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Charles Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010. Nel novembre del 2020 è uscita la sua traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue, nella collana La costante di Fidia curata da Sonia Caporossi per i tipi di Marco Saya. Fa parte del collettivo Arts Factory e del Club Pavese+Tenco insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini, con le quali ha contribuito, come traduttrice e performer, ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), nonché allo spettacolo Rose gialle in una coppa nera dedicato a Cesare Pavese e Luigi Tenco (2018). Propone xxxxX 121 performance di musica e poesia insieme al collettivo Memorie dal SottoSuono. Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere.