Dante e lo Stilnovismo, di Sonia Caporossi

 

Uno dei più grandi poeti e intellettuali di ogni tempo, in età giovanile, si è dedicato alla poesia d’amore con esiti talmente elevati da tracciare la rotta della futura poesia erotica nei secoli a venire. Mentre le cosiddette Rime “estravaganti”[1] mostrano ancora evidenti tracce della Scuola Siciliana e del guittonismo fino ad allora in voga, il primo sonetto della Vita Nuova, A ciascun alma presa e gentil core, al contrario si merita il plauso dell’altro illustre rappresentante del nuovo corso poetico, quel Guido Cavalcanti che poi diventerà suo primo amico e interlocutore[2]. Tuttavia, Dante amplierà e sistemerà lo stile della lauda [si fa qui riferimento alla lauda jacoponesca come una delle possibili suggestioni dello stilnovismo dantesco in direzione del trapasso dall’Amor Dei all’angelicazione della figura della Donna per il tramite dell’Amor cortese, come si capisce dal contesto spiegato in altri luoghi del volume da cui è estratto il passo; si veda anche la nota aggiunta n. [5]; NdA] riprendendo Guinizzelli e allontanandosi in questo da Cavalcanti; inoltre, nella Vita Nuova, darà una struttura prosimetrica alla materia amorosa in una commistione di passi narrativi e versi che appare estremamente moderna, in direzione di una sorta di diario personale di movenza già ultramedievale. La redazione della Vita Nuova è cronologicamente identificabile col biennio 1293-1294, ed è opera giovanile per modo di dire, visto che Dante rimava già da una decina d’anni. Il libro, tuttavia, raccoglie la maggior parte delle sue rime giovanili incastonandole in una cornice intimistica, di racconto interiore, che le rende storia generale di una coscienza, e storia d’amore e di elevazione filosofico-spirituale in particolare. L’ordine razionale che l’Autore vuole dare alla propria opera è quello di una vera e propria historia amoris, intesa come testimonianza dello svolgimento spirituale di una passione inestinguibile, attraverso uno schema narrativo che verrà poi ripreso nella Commedia, quello dell’identificazione tra Autore, Narratore e Protagonista. Nella Vita Nuova l’evoluzione narrativa della vicenda amorosa assurge a valore di exemplum, esattamente come nel poema di cui, in ciò, si fa precursore. L’altro argomento fondamentale del prosimetro in questione è la crescita intellettuale del protagonista, evoluzione che va di pari passo con la propria elevazione spirituale per il tramite tipicamente stilnovistico del sentimento d’amore: «l’amore che ha il suo premio in se stesso, che è beatitudine e conoscenza farà disporre secondo una logica ferrea, razionale e progressiva, la produzione scritta “quasi come sognando”, dall’alto di una certezza ormai garantita dalle più alte auctoritates; la prosa esprimerà la raggiunta coscienza teorica di un intero periodo di attività intellettuale, di un’evoluzione»; giacché Dante ha ormai sistemato la propria esperienza amorosa passata in un ordine di superiore consapevolezza, ora gli occorrono altre esperienze per proseguire il proprio Bildungsroman personale che diviene anche, esemplarmente, quello dell’intera umanità: «se Beatrice è la Beatitudine ed è anche la poesia stessa, in quanto la poesia della “loda” è poesia di quella beatitudine, è la beatitudine che diviene poesia “come mai non fue detto d’alcuna”, per raggiungere il completo dominio sul reale, occorrono altri studi, nuove acquisizioni “e di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente”)»[3]; ovvero, sarà necessaria, dopo l’esilio, la Filosofia. La Vita Nuova all’interno della sua struttura racchiude trentuno componimenti, ma Dante non ha mai raccolto sistematicamente il resto della propria produzione poetica in modo, per così dire, petrarchesco. Le Rime, quindi, sono un frutto filologico successivo, in quanto tale, mai definitivo. Si contano ventisei rime di dubbia appartenenza e cinquantaquattro rime sicuramente autentiche, divisibili in successive fasi stilistiche: a una prima fase detta comunemente di “apprendistato guittoniano” segue una fase in cui il confronto col “primo amico” Guido Cavalcanti si fa preponderante; una terza fase, immediatamente seguente alla redazione della Vita Nuova, è quella della poesia comica e delle tenzoni; infine, ci sono le cosiddette “Rime Petrose”, risalenti probabilmente al periodo 1296-1298, raffinatissime testimonianze del massimo livello laboratoriale della versificazione dantesca, seguite poi dalla fase delle rime “dottrinali” connesse al Convivio, in cui si passa dalla lode di Beatrice all’esaltazione della Donna Gentile chiamata Filosofia. L’armonia e la leggerezza della versificazione e delle immagini dantesche sono inarrivabili per qualunque altro stilnovista o poeta contemporaneo in genere, e lo pongono come uno dei massimi vertici della poesia d’amore d’ogni tempo. La novità assoluta dello Stilnovismo dantesco, rispetto alla ripresa dei temi tradizionali della poesia amorosa precedente ancora presente negli altri autori della temperie, è magistralmente descritta da Aurelio Roncaglia in una densa pagina di sintesi: «Gli spunti offerti dalla poesia guinizzelliana sono raccolti in maniera diversa dai diversi stilnovisti. Alcuni, fra i più tipici, sono raccolti solo da Dante. Ed è Dante che dalla canzone Al cor gentil raccoglie il messaggio implicito nel potenziamento intellettuale della metafora, vi avverte l’aspirazione istintiva al passaggio non ancora realizzato dalla metafora alla realtà, vi intuisce come in una rivelazione la possibilità di trasferire effettivamente l’immagine del peccato dal piano metaforico al piano metafisico. Quella che in Guinizzelli era soltanto un’ardita comparazione […] diviene per Dante l’intuizione di una verità superiore ed essenziale («Beatrice, loda di Dio vera»). Quella che per Gunizzelli era soltanto verità ottativa nell’àmbito d’una suggestiva analogia […] diviene per Dante verità ontologica, metafisica certezza («Donna è di sopra che m’acquista grazia»). Così egli supera quell’insoddisfazione, quell’inquietudine, che il Guinizzelli non riusciva, tormentandosene, a superare, e che il Cavalcanti, con irritata malinconia, teorizzava pessimisticamente insuperabile. […] Questo ‘salto’, questa spiritualizzazione religiosa dell’amore, è la novità di Dante e soltanto di Dante, per il quale la poesia diviene così un impegno totale»[4].

La Vita Nuova come summa dello Stilnovismo

[…] Si tratta di un’autobiografia limitata alla dimensione amorosa, semiosfera autosufficiente e autodeterminantesi che fa pendant con la descrizione di un universo poetico e spirituale totalizzante. Il disegno metafisico dietro al numero 9 legato notoriamente al primo incontro con Beatrice appare in Dante come una logica preordinata dal Cielo attraverso una sequela di simboli numerologici e onirici. Mentre la prima parte della Vita Nuova presenta stilemi e temi filosofici simili alle movenze cavalcantiane (ad esempio i ripetuti dialoghi tra Dante e Amore personificato), è nelle parti successive che si rintraccia una maggiore autonomia poetica e un’originalità propria. Il testo è cosparso di episodi che segnalano la progressiva autoconsapevolezza del protagonista Dante, che si sviluppa in un vero e proprio Bildungsroman amoroso. Nove anni dopo il primo incontro, avviene il saluto di Beatrice, nella tradizionale doppia accezione di saluto/salute come fonte di salvezza per l’anima del poeta, da cui emerge il tema dell’angelicazione della Donna, che si manifesta per la prima volta nella Vita Nuova e giunge infine a compimento nella Divina Commedia fino a farla assurgere a simbolo di fede e di morale. Dante torna nella propria stanza dopo tale saluto e qui si appisola. Il celeberrimo sogno d’Amore che fa mangiare il cuore del poeta a Beatrice si spiega oltre il significato cannibalesco immediato, con la concezione tipicamente medievale in base alla quale, mangiando parti del corpo di qualche animale, magicamente se ne assorbirebbero le virtù. Oltre il fondale macabro della scena Beatrice, divorando il cuore di Dante, riafferma su di lui il proprio dominio sentimentale e spirituale, a tal punto che questa scena centrale, anche se ancora medievale nell’impianto, è dotata di una figuralità allegorica fondante che precede già il Poema. Oltre a questo episodio fondamentale, la narrazione della Vita Nuova ruota essenzialmente attorno a cinque fasi, strutturate a loro volta sulla bipartizione narrativa dei periodi in vita e in morte di Beatrice (schema evidentemente ricalcato in modo molto più netto da Petrarca nel suo Canzoniere): da una situazione iniziale di innamoramento estatico da parte del poeta, si succedono una serie di avvenimenti, fra cui l’espediente delle donne dello schermo, situazione ambigua che induce Beatrice a togliergli il saluto; dopo la morte di Beatrice, si manifesta la tentazione dell’allegoricissima Donna Gentile (che forse rappresenta la Filosofia come forma boeziana di consolazione), quindi il recupero della figura e del valore ultraumano di Beatrice e della sua virtù. Anche dopo la morte Beatrice, figurazione della fede ormai assurta in Paradiso, pensa a Dante e si preoccupa della sua salvezza nonché della sua nobilitazione spirituale. Dante comprende lo sbaglio insito nelle proprie deviazioni e torna a contemplare Beatrice, in uno sviluppo narrativo psicologico di tipo circolare. La novità assoluta della Vita Nuova consiste nel fatto che per la prima volta è narrata una storia d’amore che presenta un’evoluzione spirituale, con il medesimo schema, a ben vedere, che ritroveremo all’interno della Divina Commedia, attraverso l’altra bipartizione narratologica che mostra Dante inizialmente avvolto nel peccato (la Selva Oscura), e poi impegnato, attraverso il viaggio nei tre Regni, nella propria crescita interiore. L’autopoiesi morale è permessa nella Commedia dalla pietà e dalla visione esemplare della sofferenza umana, visione che permette, in un superiore concetto metagrecizzante della catarsi, di rendere il poema sacro un exemplum per l’elevazione spirituale dell’intera umanità, allo stesso modo in cui, nella Vita Nuova, la formazione morale del poeta e di ogni uomo nobile di cuore è consentita dall’amore. Cavalcanti aveva ingaggiato una lotta con Amore senza esclusione di colpi; Dante invece accoglie in sé tutti gli aspetti dell’amore stesso, perché per lui si tratta fondamentalmente di una forma suprema di arricchimento. È questo il motivo cruciale per il quale Dante si allontana dalla dinamica amore-morte di ascendenza cavalcantiana e protoromantica, per sussumervi il valore teologicamente beatificante della Virtù. Dopo la Vita Nuova, che teniamo presente come il testo più maturo dell’intero Stilnovo, non ci sarà spazio che per l’epigonismo; come in una triade hegeliana superbamente tolta e risolta, dopo la tesi (Guinizzelli) e l’antitesi (Cavalcanti) ecco la sintesi (il Dante dell’“incipit vita nova”). In seguito, Cino aprirà squarci di sensibilità un poco più terrestri, prefigurando l’io petrarchesco e la nascita della dimensione lirica premoderna.

 

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[1] Ovvero non contenute né nella Vita Nuova né nel Convivio.

[2] Non per sempre, se dobbiamo dare retta a G. Gorni il quale ricorda come Guata, Manetto, quella scrignutuzza possa essere concepita come una parodia di Tanto gentile e tanto onesta pare rivolta contro Beatrice, cosa che avrebbe fatto arrabbiare Dante talmente tanto da fargli sostituire Guido, nell’ordine di amicizia e di importanza, con Cino da Pistoia all’interno del De Vulgari Eloquentia (G. Gorni, Dante. Storia di un visionario, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 85-90).

[3] Questa e la citazione immediatamente precedente di R. Antonelli si trovano in La Poesia del Duecento e Dante, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 220.

[4] A. Roncaglia, «Precedenti e significato dello “Stil Novo” dantesco», Bologna, Commissione per I Testi di Lingua 1967, pp. 13-34.

[5] Si veda ad esempio P. Canettieri, Jacopone da Todi e Dante Alighieri.

 

(Da La gentilezza dell’Angelo. Viaggio antologico nello Stilnovismo, a cura di Sonia Caporossi, Milano, Marco Saya Edizioni 2019, pp. 57-60 e 14-17).