Averno di Louise Glück (traduzione di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore Edizioni, 2020), una lettura di Luigi Paraboschi

      

Se l’altra raccolta apparsa in Italia, l’Iris selvatico scritta nel 1992, era basata su un discorrere continuo e tormentato tra l’autrice e un Dio che non le si manifestava ma al quale Louise Glück attribuiva  la massima indifferenza nei confronti degli umani, in questa del 2006, Averno, il problema religioso non è scomparso, è stato ricoperto di maggiore scorza, di silenzio, al punto da portare l’ autrice ad affermare a pag.25:

Ciò che altri hanno trovato nell’arte/ io  l’ho trovato nella natura. Ciò che altri hanno trovato/ nell’amore umano, io l’ho trovato nella natura/ Molto semplice. Ma lì non c’era nessuna voce/

Averno è il nome che gli antichi assegnavano ad una località dei campi Flegrei ove pare essi intendessero allocare l’ingresso al mondo dei morti, e la poetessa adotta questa definizione come titolo del suo libro per  rievocare al lettore il mito di Persefone (figura nella quale lei intende ritrarsi) rapita da Ade, innamoratosi di lei e trascinata nel regno dell’oltretomba dal quale ella può uscire e rientrare a rotazione grazie alle suppliche rivolte a Giove da sua madre Demetra. Quando Persefone riappare, sulla terra sboccia l’estate e la bella stagione e invece, quando dopo sei mesi scompare e torna da Ade, sulla terra dilaga la stagione invernale.
Questo mito, ridotto in sintesi, viene utilizzato   per parlare ampiamente di sé e e della propria conflittualità con la  madre in un rapporto espresso così a pag.43:

lei sa che la terra/ è affare di madri, questo almeno/ è certo. Sa anche che/ lei non è più ciò che dice/ una ragazza. Per quanto riguarda/ la carcerazione, lei crede/ che è stata prigioniera da quando è stata figlia

e precisa a pag.47:

nella  storia di Persefone/ che andrebbe letta/ come una contesa tra la madre e l’amante/ la figlia è solo carne/

Tutta l’opera, specie la seconda parte, è un viaggio-confessione, una lunga seduta psicoanalitica che la scrittrice compie per mettere a nudo la sua conflittualità con il mondo, ma essenzialmente con la madre e forse in misura minore con il padre, infatti leggiamo pag.59:

i miei genitori non potevano vedere la vita nella mia testa/ quando la scrivevo correggevano la mia ortografia

C’è un rapporto simbiotico tra lei e la madre spesso identificata con la terra vera e propria, un rapporto che forse l’autrice non ha mai completamente risolto, come leggiamo in questo pezzo a pag.39 tratto dalla poesia “Persefone l’errante”:

Nella prima versione, Persefone/ è sottratta alla madre/ e la dea della terra/ punisce la terra – questo è conforme/ a quanto sappiamo dei comportamenti umani,// che gli esseri umani traggono profonda soddisfazione/ dal fare del male, specie/ del male inconsapevole…

e, più avanti nella stessa poesia: 

…è la terra “casa“ per Persefone? Lei è a casa, plausibilmente/ nel letto di dio? È/ a casa in nessun luogo? È/ nata errante, in altre parole/ un’esistenziale/ replica della propria madre, meno/ bloccata da nozioni di casualità?

Questo conflitto madre figlia ha fornito un’impronta determinante nella formazione dell’autrice che afferma a pag.27:

la morte non può fami male/ più di quanto tu mi abbia fatto male/ amata vita mia

e la induce a preferire l’isolamento, cercando rifugio nella compagnia del cane, come vediamo a pag.57:

Ho detto soffrivo? Quello era il modo dei miei genitori di spiegare/ gusti che a loro sembravano/ inspiegabili: meglio “soffriva” che “preferiva vivere col cane“ 

Il modello di vita che la madre suggerisce a lei e alla sorella è espresso benissimo in questi versi a pag.53:

voi ragazze” diceva mia madre “dovreste sposare/ un uomo come vostro padre”/ Queste era una frase. Un’ altra “non c’è nessuno come vostro padre”

Come non pensare che istruzioni per il  matrimonio di questo genere non generassero uno scetticismo totale ed anche un sorta di cinismo esistenziale come è descritto da questa poesia a pag.51?

Quando ti innamori, disse mia sorella/ è come essere colpiti da un fulmine/ Parlava augurandoselo, per attirare l’attenzione del fulmine./ Le ricordai che stava ripetendo esattamente/ la formula di nostra madre, che lei e io/ avevamo discusso da piccole, perché tutte e due sentivamo/ che quello che vedevamo negli adulti/ erano gli effetti non del fulmine/ ma della sedia elettrica

e prosegue poi:

il compito assegnato era innamorarsi/ i dettagli dipendevano da te/ la seconda parte era/ includere nella poesia certe parole/ parole tratte da un testo specifico/ su un argomento affatto diverso/

La crescita avviene come da previsioni  e la troviamo a pag.61:

Crescevi, eri colpita dal fulmine/ Quando aprivi gli occhi, eri sempre collegata al tuo grande amore/ Accadeva un sola volta./ Poi eri sistemata, la tua storia era/ finita

Il finale è abbastanza scontato: 

essere colpiti era come essere vaccinati/ per il resto della tua vita eri immune/ eri al caldo e all’asciutto / a meno che lo schok fosse non abbastanza profondo/ Allora non eri vaccinata, eri drogata

Qusta conflittualità perdurante non può che generare amarezza nei confronti della vita e del prossimo. C’è una poesia a pag.17 dal titolo Ottobre nella quale si conta per diciottto volte il negativo “non“ ripetuto quasi in ogni verso.
Tutto il testo esprime amarezza (è di nuovo freddo), insoddisfazione (non si è formata la cicatrice), delusione (non riesco a sentire la tua voce), indifferenza (non mi importa più che suono fa), sconforto (la violenza mi ha cambiato) perché anch’essa come Persefone sente di essere stata rapita, e prosegue così nella stessa poesia:

Il mio corpo è diventato freddo come i campi spogli/ ora c’è sola la mia mente, cauta a guardinga/ con la sensazione di essere messa alla prova 

e i versi finali sono eloquenti per la loro durezza

dimmi che questo è il futuro,/ non ti crederò./ Dimmi che sto vivendo, non ti crederò

Ho usato la parola “durezza“ perché mi sembra che essa esprima profondamente la sensazione che si prova leggendo questo lavoro.
La poesia di Gluck non concede nulla al sentimento, vuole essere spigolosa, e forse anche la sua vita privata è tale, specie quella di coppia.
Troviamo a pag.56 questi versi: 

Sono in un letto. Quest’uomo e io/ siamo sospesi nella  strana calma/ spesso indotta dal sesso. Quasi sempre indotta dal sesso./ Anelito, cos’è? Desiderio cos’è?

L’analisi che la poetessa compie è spesso crudele, quasi si compiacesse nel rievocare  gli avvenimenti per arrecare del male a se stessa.
Leggiamo quanto scrive a pag.66:

L’uomo nel letto era uno dei diversi uomini/ a cui diedi il cuore. Il dono del sé/ che è senza limiti/ Senza limiti, sebbene ricorrente

la riflessione continua nella stessa poesia:

Siamo, ciascuno di noi, quello che si sveglia prima/ che si scuote prima e vede, là nel primo albore/ lo sconosciuto/

Evidentemente il rapporto a due non la soddisfa infatti dice a pag.23:

Dimmi che sto vivendo/ non ti crederò

e si affaccia questa riflessione nella poesia di pag.71 intitolata “Echi”, che riporto per intero in quando a me sembra che apra un largo spiraglio interpretativo  sull’autrice  e al tempo stesso ci conduce alla seconda parte del libro, l’analisi compiuta durante le numerose sedute dallo psicoanalista:

Louise Glück

(1) Una volta che potei immaginare la mia anima/ potei immaginare la mia morte. Quando immaginavo la mia morte/ la mia anima moriva. Questo/ lo ricordo distintamente //
Il mio corpo persisteva./ Non prosperava, ma persisteva./ perché non so//

(2) Quando ero molto giovane/ i miei genitori traslocarono in una piccola valle/ circondata dai monti/ nella cosidetta regione dei laghi./ Dal nostro orto/ potevi vedere i monti/ innevati, persino d’estate//
Ricordo una pace di un tipo / che non ho più conosciuto/ Un po’ più tardi, mi sono prefissa/ di diventare un’artista,/ per dare voci a questa impressioni//

(3) Il resto l’ho già detto./ alcuni anni di scioltezza, e poi/ il lungo silenzio, come il silenzio nella valle/ prima che le montagne ti rimandino/ la sua voce trasformata nella voce della natura.//

Ora questo silenzio è il mio compagno./ Chiedo: di cosa è morta la mia anima?
E il silenzio risponde

se la tua anima è morta, di chi è la vita/ che stai vivendo e/ quand’è che sei diventata quella persona ?//

(i versi sottolineati figurano in corsivo nel testo originale)

L’analisi del terapeuta è descritta assai bene con frasi riportate, spezzoni di conversazioni, domande senza riposte, il tutto per cercare di spiegare a se stessa il significato della parola “anima“.
Troviamo a pag.83 punto 17:

Poi apparve la mia anima. Disse/ proprio come nessuno può vedermi, nessuno può vedere il sangue

e al punto 19 aggiunge:

come un uccellino tenuto lontano dalla luce del giorno/ quella fu la mia infanzia

La seconda parte della raccolta non è altro che la descrizione quasi ipnotica delle sedute d’analisi. Lo stile si fa più narrativo, domande e risposte si susseguono e a pag.101 leggiamo:

Tutta la vita, aspetti il tempo propizio./ Poi il tempo propizio/ si rivela come un’azione compiuta.

Per pagine e pagine si sviluppa con maggior chiarezza il rapporto tra madre e figlia (Demetra e Persefone), il loro conflitto, il desiderio di libertà della ragazza, la voglia di tornare da Ade e la repulsa per l’oscurità del talamo,  e alla fine tutto approda alla poesia “Averno” dalla quale stralcio solo pochi versi:

Muori quando il tuo spirito muore/ altrimenti vivi / Puoi non farcela al meglio, ma tiri avanti/ non hai altra scelta

e l’addio che Persefone/Glück ci dà è sinteticamente  riassunto con una tragicità che lascia bloccati nella lettura:

È terribile essere soli./ Non intendo vivere soli / essere soli, dove nessuno ti sente

(il verso sottolineatO è in corsivo nel testo originale)

Quanto ho cercato di esporre al lettore è un quadro di sofferenza dipinto senza alcuna autoindulgenza. Glück è alla ricerca della sua anima con questi versi all’apparenza semplici; il suo inglese è comprensibilissimo anche ai poco esperti quale io sono, e la traduzione di Bacigalupo rende loro onore con la massima fedeltà.
L’autrice , come sarà parso chiaro nella lettura, non concede nulla al falso sentimentalismo, cosi’ frequente nella poesia dei tanti poeti domenicali, sa essere quasi feroce e, visto che non lascia spazio altro che alla ricerca interiore non resta che applaudire questa artista che nella carriera ha scritto dodici libri di versi e conseguito il premio Nobel per la letteratura nel 2020.

 

Luigi Paraboschi