Anna Maria Curci: Opera incerta (da Il giardino dei poeti).

     

Per qualche motivo ignoto, le condivisioni dal sito Il giardino dei poeti di Cristina Bove sono state impedite in Facebook. Quindi riproponiamo qui l’ultimo articolo lì pubblicato affinchè sia consentito all’autrice di farlo circolare. Con l’augurio di Versante ripido a Cristina che il problema venga risolto quanto prima.

     

Opera incerta è il titolo della mia raccolta inedita che raccoglie testi scritti nell’arco di diversi anni, fino a quello in corso, il 2019. Il nome, come già accadde per la prima raccolta da me pubblicata, Inciampi e marcapiano(LietoColle 2011), coincide con un termine usato nell’architettura. Qui si fa riferimento all’opus incertum, di cui Vitruvio scrisse: «Le pietre dell’opus incertum, invece, poggiano l’una sopra l’altra ad embrice, formano muri non altrettanto belli, ma più solidi del reticolatum» (Vitruvio, De architectura, Trad. di G. Florian, 1978). L’ opus incertum si caratterizza per il suo mettere insieme elementi diseguali. Le pietre dell’opera incerta non sono pre-tagliate e predisposte per l’assemblaggio.

Mettere insieme le diversità in vista di un’opera comune: una sfida quanto mai attuale e mai come oggi condannata all’inattualità, messa nell’angolo e sfiancata dalla brutalità, dall’oblio e dalla menzogna, triade elevata a esercizio del potere.

Sull’oggi brutale e dimentico si affaccia l’aggettivo “incerto” con l’interrogazione permanente posta dalla poesia. Esemplare guida è in tal senso il componimento di Marie Luise Kaschnitz È ancora incerto: «Se, in più, non ci toccherà imparare il linguaggio di chi bussa da cella a cella,/ spiare il prossimo, essere spiati dal prossimo, e dover piangere alla parola/ libertà. Se ce ne andremo di soppiatto in tempo su un letto bianco o/ periremo per l’attacco nucleare centuplicato, se ce la faremo a/ morire con una speranza, è ancora incerto, è ancora incerto.»

Poesia come veglia, quesito costante, costruzione di senso, coesistenza delle diversità: opus incertum?

Anna Maria Curci, 30 maggio 2019

    

       

Barcaiola

Siedi sull’altra riva e getti l’amo.
Io traghetto.

Nella scalmiera remo
bisbiglia con cadenza.

Lei, la tua mobile sostanza, smesse
le vesti torbide, mi accoglie.

Quando riprende il volo la speranza,
cocciutamente sai che non è fuga.

     

Avvistamenti

In bilico su toni e fenditure,
cerca il prodigio il varco quotidiano
senza i sipari i tuoni e le tribune.

Tu prova a decifrare
linee forme colori.
Della sciarada resta
l’anelito, l’attesa.

    

Jeanne, Johanna, Giovanna

“Par mon Martin!” soffiava
– era fuoco o bivacco? –
sugli altri copricapo la pulzella.

Dal pascolo al patibolo è un salto,
dietro le tende cifra la menzogna
e batte i denti.

“Ne avessimo da noi!”»
mormorava il nemico.

Di sante folli,
di candide sgobbone da incendiare?

C’è via di scampo dal fumo perenne
o resta il bivio di falso autorizzato
e prosa da scudieri?

     
8 settembre 1943

Mi hai raccontato tante volte, madre,
del giorno e delle corse
dalla casa al rifugio,
al tuo paese, tra i monti,
era già freddo.
Non avevi prescienza e nel tuo cuore
di ragazza, che serbi,
chissà cosa balzava col terrore.
Per questo oggi ti chiedo
e risposta m’è dono
il cuore del pensiero

e nel secondo idioma
che ho imparato da te
lo chiamo donna, “pensée”.

    

2 agosto 2015

E oggi e sempre ero lì, nello spazio abolito
di fronte all’orologio, all’ora fissa,
domenica d’agosto, ma era sabato
allora, nel millenovecentottanta.
La sera, gola polvere macerie,
non ho detto a mio zio, sì, il ferroviere:
ricordo la paura e gli anni, trentacinque.
Viaggiavi al tempo lungo quel percorso
e mi portavi i rotocalchi sparsi
dai turisti tedeschi sui sedili.
Non gli ho detto: l’angoscia
per te, per gli altri, mi è compagna
(“tu non conosci il sud” mi nutrì
e il dannato ritegno all’espansione).

      

Traducendo Rose Ausländer

Una chiusa che sbarra
e i cordiali saluti
lanciati come sfida
all’offerta di aiuto

Keine Delikatessen
si diceva in poesia

E se il ghiaccio ci morde
tu Rose io straniera
ricerco la tua strada
tendo l’orecchio al canto

    

Iris indaco

Tenue e tenace sogno solitario
iris indaco aroma della cerca
ombroso nella prole variopinta
bivio tra sensi desti e l’oltremare.

Ti invoco ancora e già torna la sera.
Distendo le narici rattrappite
da frenesie di smerci afrori spicci.
Aspiro e al fondo guidi l’immersione.

Tu rannicchiati dentro l’anagramma,
cerca lo schermo, cerca il nascondiglio.
Pure ti scoveranno, non badare
alla torma dei cani, avido strazio.

    
Il canto di Ischitella

Nella sera che lenta
scendeva i gradini
netta di note
carica di sorte
modulò la voce.

E fu canto
e fu romanza.

Prodigio capovolta tatto udito.
Pareti bianche incavate di grigio.
Liscio di luce si inchinò agli scuri.

Riso d’amore non è mai peccato.

    

  

altro qui

il suo blog http://muttercourage.blog.espresso.repubblica.it/

     

 

Qui il link all’articolo originale: https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2019/06/01/anna-maria-curci-8/