A tentoni nel buio di Paolo Polvani Volevo lasciare fuori da questo libro la mia storia (note di lettura a Di un’altra voce sarà la paura, di Yuleisy Cruz Lezcano, Leonida edizioni 2024)
Leggendo i testi che aprono la raccolta si ha l’impressione che sia la cronaca a creare il campo energetico che costituisce la spina dorsale del libro; già la prima poesia riporta il racconto di un episodio di violenza che riempì le pagine dei giornali, una donna di ottantanove anni stuprata e derubata da un uomo senza fissa dimora; e subito dopo la storia di quell’altra donna che sbagliando strada finì in un parcheggio solitario, e fu abusata da uno sconosciuto, “ho vissuto in parallelo / una vita che non è la mia”, e dichiara: voglio mostrare il mio occhio pesto, parlare della notte più terribile della mia vita, “chiudendo le orecchie per non ascoltare / i respiri ansimanti sul mio corpo”. E più avanti si susseguono le scene di violenza: “È buio, tutti se ne sono andati, / una mano l’afferra e la trascina / giù per un punto buio”.
Ma già dalla seconda sezione del libro, dal titolo Toccare il fondo, emerge un’altra e più profonda verità: volevo lasciare fuori da questo libro la mia storia, ma qui parlo del mio corpo, o forse è il mio corpo che parla e si riconosce in quelle terribili storie che la cronaca ci racconta così sovente:
torno con tutto il mio corpo
profanato per portarti il buio
che appena ho toccato
con la punta delle dita.
Dunque l’urgenza di portare fuori quelle vicende nasce dal desiderio di offrire un luogo a quei ricordi che si ripresentano senza essere chiamati, “arriva / il suono siderale del tuo nome / ed è come la falena della morte”, un luogo dove fare approdare quei ricordi e attendere che possano evaporare, asciugarsi, trasformarsi in versi che hanno il sapore della cura.
Nella ricca e articolata prefazione alla raccolta Ivan Crico scrive: “Sono versi, altalenanti tra un linguaggio molto diretto ed esplicito e momenti di inabissamenti concettuali improvvisi, di un’autrice bilingue, in cui si riverberano nella lingua italiana anche echi provenienti da un sostrato molto diverso, creando un effetto affascinante e straniante come sempre accade quando differenti realtà s’incontrano e si fondono, come in questo caso, armonicamente insieme.”
Yuleisy dimostra, nel maneggiare le parole, a quale livello di perfezione sia giunta nell’assimilare una lingua poetica che non è quella che ha imparato da bambina, e lo dimostra soprattutto nello schivare le insidie, quei tranelli che la poesia continuamente tende; esistono per esempio aggettivi di sicura efficacia e dall’aura dotta e importante, ma che ad uno sguardo attento rivelano tutta l’usura di cui sono vittime, per esempio aggettivi come “ancestrale, arcano, arcaico”, che sono come le siepi di bossi ligustri e acanti della poesia di Montale, cioè luoghi comuni da cui prendere saggiamente le distanze. Ebbene l’uso di alcuni di questi termini risulta così perfettamente incastonato e adeguato al discorso da non mostrare la consunzione di cui soffrono.
La lingua poetica contiene analogie con quei meccanismi detti a frizione, presenti nei giochi per bambini, o a retrocarica, per cui risulta sufficiente passare le ruote su di una superficie adatta per imprimere un movimento repentino, così nelle poesie di questa raccolta la giusta frizione creata dall’autrice tra una parola e l’altra imprime il movimento idoneo perché il testo inizi il suo cammino senza pericolo d’incepparsi, o di risultare inadatto al volo, una concatenazione che dichiara quanta esperienza detenga l’autrice nella chimica delle parole e non soltanto nella chimica delle sostanze, essendo l’autrice laureata in scienze biologiche; citerò un esempio soltanto, nella splendida poesia dedicata alla sorella, in cui la capacità di attrazione e di frizione delle parole risulta perfettamente funzionale al testo:
Sorella, abbiamo vissuto insieme lampi
asciutti, sprofondamenti di tenebra
crepata, pozzi di segreti in spazi
minuti senza corda di risalita;
e, nello sfaldamento di questa intricata
vita, siamo state compagne d’abisso.
E tuttavia l’intera raccolta non risulta appiattita sul clima della denuncia, della recriminazione, si aprono squarci di speranza, di determinazione a credere in un mondo migliore, in cui “lo sguardo può continuare a vedere con gli stessi occhi di un cuore bambino”, e dove sia possibile coltivare una speranza:
Voglio vedere il mondo
attraverso l’amore
tra la rugiada della sera
e la rugiada del mattino.
La mia storia
Volevo lasciare fuori
da questo libro la mia storia
ma parlo del mio corpo e vivo
ancora alla deriva, dai tuoi visceri
fino ai miei, dal tuo sangue
fino al mio, come un pezzo di luna
fra i denti, fra le estatiche cose
senza senso arrivano i ricordi
senza impedimenti, arriva
il suono siderale del tuo nome
ed è come la falena della morte
che strangola al guinzaglio la mia psiche
lamentosa.
Come morta,
cammino, come una borsa
di pesci dal nauseabondo
odore sono marcia con un pallido
viso percorso dai vermi. Appena
si sostiene: il mio scheletro
cerca di dare una forma a sé stesso.
Perfino il mio cuore disidratato
mi è di peso, ma torno da quel muro
insanguinato da quel lenzuolo
tutto macchiato con cui ho asciugato
la mia ferita, torno con tutto il mio corpo
profanato per portarti il buio
che appena ho toccato
con la punta delle dita.
E poi nella pena eterna
di questa vita, ti porto la mia aria
d’inverno perché asciughi
il tuo delitto, così che il mio perdono sia
il patto che ti accompagna
fino all’inferno.
° ° ° ° °
Navigare naufragando
Colmare vuoti, naufragare
nei vuoti, nello specchio
che non guardiamo esiste un’isola
desolata dove i passeri muoiono
volando, dove l’intimità del cielo
ha la fronte chiara come una festa
e l’ultima spiaggia è una dea
che fa a pezzi la finzione
del tempo. Colmare
il tempo, contando il tempo,
respirando a fondo al di sopra della carne
che respira. Respirare per non morire.
Morire respirando. Il vuoto
dove stiamo naufragando
su una vecchia stampa racconta
quel che più non siamo.
° ° ° ° °
Innocenza
Necessito di tutta la mia innocenza
per ritornare alla mia terra
anfibia, al rumore del lampo
che decapita una palma,
alla favola di acqua tiepida
che su tutte le spiagge riposa,
al sogno che si estende
oltre il sogno, al verbo
emotivo che innamora
con voce di onde
e musica di pioggia.
Necessito di tutta la mia innocenza
per ritornare al petto addormentato
della mia terra madre
aperto sui ricordi, come
un mazzo di orchidee.
Yuleisy Cruz Lezcano nata nell’isola di Cuba, vive a Marzabotto, Bologna. Lavora nella sanità pubblica, laureata in scienze biologiche e con laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia, titoli ottenuti presso l’Università di Bologna. Ha pubblicato numerosi libri a seguito di riconoscimenti e premi in concorsi. Si occupa di traduzioni in spagnolo, facendo conoscere poeti italiani in diverse riviste della Spagna e del Sudamerica e, in modo reciproco, facendo conoscere poeti sudamericani e spagnoli in Italia. Collabora con blog letterari come redattrice (Circolo Letterario Vento Adriatico, AlessandriaToday) e con il giornale letterario del Premio Nabokov. La sua poesia italiana è stata tradotta in francese, spagnolo, portoghese, inglese, albanese. Pubblicazioni: Doble acento para un naufragio, bilingue spagnolo/portoghese, Edições Fantasma, 2023. L’infanzia dell’erba, Melville Edizioni, 2021. Demamah: il signore del deserto, bilingue italiano/spagnolo, Monetti Editore, 2019. Inventario delle cose perdute, Leonida Edizioni, 2018. Tristano e Isotta. La storia si ripete, SwanBook Edizioni, 2018. Fotogrammi di confine, Casa editrice Laura Capone, 2017. Soffio di anime erranti, Prospettiva Editrice, 2017. Frammenti di sole e nebbia sull’Appennino, Leonida Edizioni, 2016. Credibili incertezze, Leonida Edizioni, 2016. Due amanti noi, FusibiliaLibri, 2015. Piccoli fermioni d’amore, Libreria Editrice Urso, 2015. Sensi da sfogliare, Leonida Edizioni, 2014. Tracce di semi sonori con i colori della vita, Centro Studi Tindari Patti, 2014. Cuori Attorno a una favola, Apollo Edizioni, 2014. Vita su un ponte di legno, Edizioni Montag, 2014. Diario di una ipocrita, Libreria Editrice Urso, 2014. Fra distruzione e rinascita: la vita, Leonida Edizioni, 2014. Pensieri trasognati per un sogno, Centro Studi Tindari Patti, 2013.
07/09/2024 alle 13:57
Cerco di immaginarmi, senza riuscirci, cosa si prova dopo avere subito una violenza, una di quelle vere intendo, anche se qualcuno con eccesso di zelo pretende di equiparare il catcalling allo stupro. Credo che il dolore fisico sia irrilevante rispetto a quello dell’anima, per il senso di umiliazione, di autodisistima, di rabbia muta nei confronti di un mondo indifferente e cinico; a questo proposito mi si evoca una rifessione sulla partecipazione descrittiva del mondo: dai versi qui riportati gli ambienti e gli oggetti risultano parte integrante, odiosa o consolatoria, delle emozioni trasformate in poesia, e credo che questo sia consueto nella nostra cultura; non e` pero` sempre stato cosi`: nell’Iliade, per esempio, l’Aurora “ha le dita rosate” o “arriva sul suo carro d’oro” mentre sulla terra i corpi umani vengono straziati dai colpi ricevuti in battaglia, e anche gli stessi dei dell’Olimpo non e` che siano tanto partecipi dei patimenti dei mortali; cosa volevano comunicarci gli antichi greci? Forse “Cerca di non pensarci tanto non succede niente di cosi` drammatico come pensi”? Se cosi` fosse, cioe` un minimizzare quanto viene invece descritto con intensita` emotiva dal punto di vista umano, non sembrerebbe essere il modo migliore per sollevare dal dolore chi ha ricevuto una violenza.
Grazie Paolo per averci proposto quest autrice con la tua raffinata sensibilita`.