Osservatorio Poetico di Sonia Caporossi | Giovanni Campi

premessa

per specchî speculando, trovo corde
sottese e tese come precordiali
ricordi di cordoni ombelicali:
il nodo, stretto e costretto, discorde
di vita – dono – di morte diventa;
di morte in vece che di vita il dono
concorde in nodo s’inventa perdono:
l’imaginario, sí, l’imago tenta:
l’es il se vede – irriflesso riflesso
in sé, né di qua né di là, ma proprio
nel punto dello spunto, dove, flesso,
e tocca ed è toccato, espunto improprio
secante in curva la linea esemplare
se vizio in fine ridetto esemplare

*

speculo imaginario primo

virtú m’appare, sí, ma dir lo stesso
no, forse diverso, forse d’inverso
a poco a poco esemplare, fin verso
la copia, se copiosa, di sé stesso,
l’odiosa l’amata, non d’altro ancora
una volta único ma doppio inséme
il bianco gutta a gutta al nero seme
di chi di che se sempre, o mai, s’adora;
insémina com’è chi ne dispare
o che – se in sé, o meno: la mina, mínima
aggetta a ciò miniata qual traspare
la non implosa única mente plúrima
esplosa se frangente e franta come
chi giunto o non, disgiunto allora al nome

*

speculo imaginario terdecimo o ultimo quarto e ultimo

imàgina: lo spèculo la copia
che pàgina su pagina sen muove
di moto immoto, rècita di nuov’e
d’antiquo insème, in esemplare copia
nesciente il nome il nume? nota a nota
scompàgina il dissenno in parte a parte
e lettra a lèttera la dissona arte:
dissemina, dai màrgini men svuota
la voce il suono, corda a corda, l’essere
a niente il niente per esempio, o il tutto,
a niente anch’esso, quasi come un lutto
l’idèntico o la differenza, tèssere
andate perse, in fine, e come dire
daccapo allora? forse da non dire?

Giovanni Campi (Caserta, 1964) ha pubblicato numerosi testi sia in rete (su Anterem, Carte Sensibili, La dimora del tempo sospeso, Nazione Indiana, La poesia e lo spirito, Poetarum Silva, Versante Ripido, Poesia ultracontemporanea etc.), sia in antologie, sotto varî nomi. In volume ha pubblicato l’irragionevole prova del nove, suo libro d’esordio edito dalla Smasher Edizioni nella collana “orme di teatro” (2014, ormai fuori catalogo); Abbecedarj paralleli, ebook edito in collaborazione tra Larecherche.it & Versante Ripido (2016, poi stampato in forma privata & fuori commercio a cura di Silvia Secco per le sue Edizioni Folli); Speculo immaginario, nella collana “Le gemme” di Cinzia Marulli, per Progetto Cultura (2024); infine, Luna Muta Altera, opera finalista al Premio Montano ed edita da Anterem Edizioni (2024). Inoltre, nel 2012 è risultato vincitore della settima edizione del premio Mazzacurati-Russo con le prose di Babbeleoteca minuta, rimaste inedite, tuttavia recitate in estratti con la voce di Marion D’Amburgo nel corso del festival Bologna in Lettere 2015.

Giovanni Campi è poeta, performer, attore di teatro sperimentale; personaggio estremamente defilato che incarna compiutamente la figura dell’outsider. Si tratta di un autore tanto geniale quanto volutamente discosto dall’ambiente letterario e artistico di riferimento (sulla sua pagina facebook, nella sezione bio, si legge “come faccio a descrivermi se non esisto?”). Quest’attitudine gli consente, tuttavia, di dedicarsi interamente allo studio e alla formazione di una forte poetica personale che lo differenza dal panorama contestuale, a partire dallo stile che risulta essere, in definitiva, permeato da un barocco ludico, realizzantesi attraverso uno scoppiettante e spericolato artificio linguistico continuo, glossopoietico e strambo, nell’ordine di quella “meraviglia” mariniana il cui fine, secondo ogni Secentista che si rispetti, è fermamente da perseguire. E tuttavia, l’operazione letteraria e culturale che GiovannI Campi mette in campo (mi si perdoni il bisticcio, che comunque gli sarà sicuramente caro) è avvolta da un alone tradizionale solo all’apparenza, mentre invece la sua verve è puramente, patentemente sperimentale. Si tratta di una ricerca innanzitutto linguistica, come si diceva, ma anche e soprattutto semantica: il tentativo sembra proprio quello di voler prevaricare i significati tradizionalmente attribuiti ad alcune figurazioni normativamente date,  simbolismi secolarmente abituali, ad esempio la Luna, nel caso di Luna Muta Altera, oppure, come accade nei testi qui presentati, lo specchio, oggetto significante e metaforico per eccellenza della poesia barocca più genuina. Lo stravolgimento del riferimento di senso immediato e la conseguente risemantizzazione dell’oggetto nonché, inevitabilmente, del contesto, si attua attraverso una serie di espedienti sklovskijanamente stranianti, come metafonesi ostentate, figure etimologiche e ripetizioni all’ordine del giorno, anastrofi mirabolanti, apocopi antichizzanti e innumerevoli ma mai scontati arcaismi lessicali: praticamente, Campi utilizza tutto il vasto campionario delle figure retoriche di suono, di posizione e di significato esistenti in natura e in cultura, con, in più, una precisa e puntuale ottemperanza della metrica regolare, nella forma precipua del sonetto. L’esito genera la tensione destabilizzante e briosa di quella che, altrove, definivo come una sorta di “archeolingua”, con tutti i punti di riferimento del caso, a cominciare dal Giovanni Testori dell’Ambleto, dalla mentalità subliminale di un Giorgio Manganelli, dalla creatività cosmogonica di un Jorge Luis Borges, il tutto condito da uno strato profondo di umorismo keatoniano, che va a divellere gli strati terrosi più incalliti del reale permettendo l’emersione di un sommerso ricolmo di metafisica del senso. La poesia di Giovanni Campi rappresenta, in definitiva, la prova concreta del fatto che per sperimentare, sul lato formale, non occorre necessariamente operare per sottrazione.