A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Vivo. Indubbiamente vivo, e ascolto questa mattina la radio: note di lettura a La vita, e altre controfigure di Valdo Immovilli (Puntoacapo editrice, 2022)

 

Durante tutti gli anni ’70, e anche nei decenni successivi, a tener vivo il respiro della poesia risultava fondamentale il lavoro delle riviste, un ricco numero di riviste, dai titoli fantasiosi e dalle cadenze larghissime, spesso semestrali, qualcuna addirittura annuale. Faceva eccezione Quinta generazione che giungeva puntuale ogni mese, mentre la Fiera letteraria era in edicola ogni settimana, pronta a sparare a zero su quanto si discostasse anche di un solo centimetro dalla tradizione, e ricordo una stroncatura a un libro di Rodolfo Wilcock così feroce da indurmi a comprarlo di corsa con relativo subitaneo innamoramento.

Nel ’77 o forse ’78 si tenne a Crevalcore un convegno di poesia cui partecipavano gli esponenti di molte delle riviste più battagliere di allora: sicuramente c’erano Salvo imprevisti, Tam Tam e Aperti in squarci, che sarebbe poi diventata Anterem. Fu lì che conobbi Valdo Immovilli, che allora lavorava nella redazione di Tam tam a Mulino di Bazzano a stretto contatto con Adriano Spatola e Giulia Niccolai.

Eravamo giovani e affamati di vita e di poesia, desiderosi di capire dove ci portasse, che strade nuove intendesse percorrere. Io venivo da una poesia che si dibatteva tra un’aspirazione tardo meridionalista, con l’esaltazione della fatica dei contadini, il pane e cipolla e le olive nere, e l’onda lunga della beat generation, insomma tristezza assoluta! Fu una bellissima scoperta, un respiro nuovo, una specie di illuminazione, conobbi così le folgorazioni zen di Franco Beltrametti, la genialità di Giulia Niccolai, e meravigliosi poeti come Julien Blaine e Gerald Bisinger. E conobbi la sfolgorante ironia di Valdo Immovilli, che faceva una poesia di immediato e sicuro impatto, ritagliava frammenti di realtà improntati a una pragmatica grazia, riconoscibili in quanto ascrivibili all’esperienza comune, e al di là del testo  spalancava punti interrogativi enormi dentro i quali ai lettori veniva data la possibilità di allargare a dismisura lo spazio della poesia oppure restringerlo all’interno di quell’impoetico quotidiano di cui parla Marie Louise Lentengre nella prefazione a Parigi e le altre, secondo libro di Valdo. Ecco un esempio della sua produzione giovanile, dove sequenze veloci di immagini si offrono come frammenti di una storia tutta da immaginare e inventare:

 

 

Da tre giorni ormai vivo

a umore costante.

Vista in tram di sfuggita,

non so cos’altro avrei potuto fare.

Non mi piace il mare

e il suo ondeggiare.

Poi di nuovo sul tuo

cavallo e il posto

dove ci fermammo un giorno.

Già ti penso morbosamente

e non so cosa mettermi.

Questo ultimo, nuovo libro, “La vita, e altre controfigure” Puntoacapo editore, si apre con una interessantissima prefazione in cui Elio Grasso ripercorre le tappe del percorso poetico di Valdo, a partire da quel ”Mi faranno santo” del ’77, stampato dalle edizioni Geiger e impreziosito dalla presentazione di Giulia Niccolai.

 Elio parla di “una manciata di poesie che sbucavano sotto la porta di casa come missive senza francobollo ma con sfolgorante ironia, come si atteggiassero a ruolo di prime donne sul palcoscenico della nuova poesia cercata e ricercata in quel di Mulino di Bazzano, sede di una rivista (Tam Tam) dirompente e di un editore che voleva a ogni costo cambiare le carte in tavola”.

A prima vista, alcuni testi, potrebbero sembrare ispirati dalla situazione del momento, un momento storico in cui la guerra mostra, almeno a noi europei, anche i più distratti, tutta la sua follia. Ma sappiamo per certo che questi versi, apparsi in rete, a tratti, nel corso della loro formazione, sono frutto di un lavoro che viene da lontano, e non è difficile percepirlo da una lettura che vada oltre la superficie.

“Sì, io me ne accorgo

adesso, e non so perché proprio

adesso ci penso, che si sgozzavano

atrocemente e devastavano

villaggi e città e si rubavano

le donne e le stupravano…”

 

Sebbene abbia fatto parte di importanti redazioni, prima di Tam Tam, poi di Steve, Valdo non è mai stato un poeta in carriera, di quelli che fanno del presenzialismo una missione e un impegno, da sempre si è interrogato e ha cercato, non solo nella poesia, di capire il senso della vita, la sua direzione.

Questo libro mette in scena le domande di una ricerca ampia, apre spazi di riflessione più che dare barlumi di risposte, schiude alcuni spiragli quando affronta il tema della bellezza che ci circonda e a volte ci sovrasta.

Possiede il ritmo di una meditazione, con quel “vivo” ripetuto in funzione anaforica a ogni inizio di testo, e l’ampiezza del respiro, il suo tranquillo ripetersi che la meditazione possiede, e riporta alla memoria la riflessione di Bifo circa il senso della poesia: “Il ritmo è la vibrazione più intima del cosmo, e la poesia è un tentativo di sintonizzarsi con la vibrazione cosmica, con la vibrazione del tempo che viene e ritorna”.

Che la poesia salverà il mondo è un pensiero suggestivo al quale nessuno può impedire di appigliarsi, sconfessato però dagli avvenimenti in corso: nonostante le sinfonie di Beethoven e di Mahler e tanti altri meravigliosi compositori le guerre non hanno mai smesso di ripetersi e per quanto la poesia ci offra ampi spazi di bellezza e spunti di riflessione, non cambierà l’animo umano e la forza distruttiva che vi si annida, e tuttavia quelli che scrivono in versi non smetteranno di crederci, e di andare in quella direzione, e l’arte continuerà a rendere il mondo più ricco e degno di essere vissuto.

Così la poesia di Valdo continua a crederci, mette in scena lo stupore di chi si interroga sulla stupidità dell’uomo che rinuncia a una vita di realizzazioni e di gioie per inseguire l’illusione del potere, del successo, della ricchezza materiale.

Anche questi versi nella semplicità, nella profondità delle domande che pongono, si aprono come mani in attesa di ricevere luce dal cielo, e propongono gli interrogativi che tutti gli uomini si pongono, e individuano un senso della vita in questa continua ricerca di risposte, in questo aggrapparsi con fiducia al cielo della poesia.

 

C’è una bellezza tale qui, su questa

terra che germoglia e fiorisce

ormai da milioni di anni

e basterebbe a nutrirci tutti

e avremmo il tempo per

dare il cuore a ciò che conta.

Questi versi potrebbero essere l’indizio di una risposta: alla stupidità umana servirebbe un’apertura degli occhi su base mondiale, rendersi conto del carattere miracoloso dell’esistenza e degli infiniti miracoli che ci circondano, e in questo la poesia si fa potente suggeritrice alternando, senza perdere il vizio dell’ironia, la banalità del quotidiano alla profondità irraggiungibile dell’esistenza.

“…Chi genera pensieri, emozioni,

nostalgie e indefinite storie.

Chi nasce oggi e da dove viene.

Io vedo a volte sorgere un’ombra

di luce, un profumo lontano.”

 

 

 

Ma servirebbero orecchie collettive planetarie, dove l’orlo della catastrofe che sempre più si avvicina racconta il contrario.

E la poesia, potrebbe perdere tutto ma non la speranza. Fin dall’inizio ci introduce alla meraviglia delle “piccole gemme che spuntano dai rami che sembravano secchi”. Nel susseguirsi di 32 testi legati tra loro da uno stesso cordone ombelicale, si passa dalla normalità di una colazione mattutina:

 prendo una fetta

 di pane e ci spalmo la marmellata,

 mentre ascolto la radio e sento

 nell’aria odore di caffè.

Alla atrocità lucida di una cronaca criminale:

 

“Invece, guardo la televisione

e tra una pubblicità e l’altra

di gente felice, c’è una violenza

tale, di ladri politici che rubano

e altri mafiosi che ammazzano.

O donne sgozzate in casa

da un marito. Disperati, che

uccidono persino i loro figli.”

 

E ancora:

“…Madri impotenti, gonfie

di paura, che abbracciano

i loro figli, che tutto salta e non

pensano a niente, che non sanno

come salvarsi che avrebbero

voluto preparare la cena

e invece saltano per aria,

massacrati, o restano senza

niente, frastornati nelle strade

piene di macerie e non capiscono

cosa sia successo, e non sanno

per quale motivo.”

 

 

Vanamente confrontata con la pur crudele immagine del Ragno:

 “…tutto questo appariva normale,

 come un ragno che prende una

 mosca nella rete e la divora…”

 

Per approdare a quella via d’uscita, che sgorga direttamente dalla poesia.

 

“                  … È una notte

bellissima, il vento risveglia le

foglie e le riempie di vita. Lontano

fin dove arriva il cielo nulla

c’è di male o desiderio che non

sia pace. Tutto è pace là, da dove

veniamo. Si perde lo sguardo

disteso sull’erba, oltre le stelle.”

 

 

°. °   °. 

 

Vivo.

Ego quindi sono, penso.

Pensare, ma non so cos’è

questo pensiero che penso,

questo essere qui

adesso, in questo mondo.

E provo una sensazione di

smarrimento, ansia.

Ansia di vivere che sorge

come nebbia in autunno.

Ecco, come fa la mente

che scivola nel passato o nel futuro

e non sta qui ferma nemmeno

all’ombra di questo fico, che sta

qui fermo con le foglie grandi

aperte come mani che

abbracciano il cielo.

 

 

°     °     °  

 

 

Vivo quindi sono, apparso

dal nulla in questo mondo.

C’era un cortile e una

minuscola casa, e un orto

di insalata e pomodori rossi,

là dove sono nato. Apparso

così piccolo che non potevo

nemmeno camminare o altro.

Solo succhiare latte da una

madre che mi amava teneramente,

e teneramente mi ha amato

fino all’ultimo respiro, come

fosse apparsa qui, in questo

mondo, per quell’unico motivo.

 

 

°      °      °     

 

Vivo. Indubbiamente vivo.

Respiro, guardo, cammino, provo

emozioni. Ma chi mi muove?

Chi cammina oltre i piedi nudi e

le gambe. Chi guarda verso

il mare, chi vede una vela che taglia

l’infinito azzurro, e nel cielo

un arco sottile di luna.

Chi genera pensieri, emozioni,

nostalgie e indefinite storie.

Chi nasce oggi e da dove viene.

Io vedo a volte sorgere un’ombra

di luce, un profumo lontano.

 

 

 

Valdo Immovilli