Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su Si resta sempre altrove di Stefano Vitale (puntoacapo Editrice, 2022)

 

Con l’opera in commento, Stefano Vitale, pone in dominante i topics dell’aliter ubi (l’altrove di cui al titolo della silloge) nonché quello dell’assenza d’un ubi consistam, d’un punto d’appoggio che sottragga alla condizione pericolante dello stare <<in bilico>> (p. 20) o del percepirsi quale io <<Sospeso tra la carne e il cielo>> (ibidem).

Si potrebbe parlare d’una poetica che dirige il suo focus sullo stato limbicolo dell’essere al mondo (p. 46, <<la piuma a mezz’aria sospesa>>; p. 64, <<Sospesi sul desiderio>>; p. 65, <<Sospeso tra la forma e la luce>>).

L’io-lirico, infatti, è situato in una sorta di metaxu, di terra mediana o liminare (peraltro <<devastata>>, cfr. p. 20 cit., con evidente richiamo eliottiano); partecipa di quella <<morte plurale>> (p. 21) che il Nostro eleva a correlativo della perdita del noi (p. 21 cit., <<Soli, nella morte plurale / si resta sempre soli / (…) / scompaiono le storie singolari>>).

Allo stato di sospensione fa da contraltare la catabasi, la dimensione sotterranea e oscura dell’essere, efficacemente iconizzata nella metafora delle <<talpe pazienti / nel buio a scavare travasi di luce>> (ibidem).

La desolazione eliottiana si sostanzia nelle atmosfere piovose ed umbratili (p. 22, <<le gocce di pioggia / che cadono>>) che fanno da sfondo ai versi – tra gli altri – di Sospensione di senso, nei quali appunto Vitale evidenzia un incedere del tempo la cui prospettiva è turbata dalla consapevolezza di non potersi sottrarre al fatto naturale della morte (p. 22 cit., <<poco o niente s’intravede / oltre la linea degli eventi>>; <<si muore un’altra ora>>, ibidem).

Ma quella del Nostro non è poesia disperante.

Invero, nello scenario da spinoziana epoca delle passioni tristi, la vita ancora <<urla>> (p. 27, <<è la vita che urla>>), l’esistenza è ancora possibilità di contemplazione e di stupore (p. 28, si notino le domande da Canto notturno leopardiano <<Cosa risuona / (…)>>; <<Cosa risveglia / (…)>>; <<Cosa vuol dire / stare qui ad ascoltare (…)>>).

L’esser-ci (che <<pesa>>, p. 34) è coscienza del dinamismo di ciò che ancora è, del mutamento (p. 30, <<La natura non sta ferma>>), del movimento degli opposti bene esemplificato nella doppia epanadiplosi <<ombra che si disfa in altra ombra / luce che s’innerva in nuova luce>> (ibidem).

 L’<<infinito movimento che ci sfugge e ci appartiene>> (ibidem), che simul è ossimorica percezione tanto del <<torvo>> (ibidem) quanto del <<sublime>> (ibidem), è presa d’atto d’una libertà umana che non può concepirsi quale absolutus, poiché sempre storicamente condizionata, contingente, relativa, di compromesso (p. 30 cit., <<liberi soggiacere>>).

V’è, in Vitale, l’esigenza di affrancarsi – per quanto possibile – da ogni forma di determinismo; l’autore pone in claris il suo viscerale desiderio di trans-ire, di muoversi dal <<dove devo essere>> (p. 34) a quell’aliter ubi di cui s’è detto, a quell’altro-dove, se non edenico almeno consolante, in cui si vorrebbe allocare sé stessi.

Il <<passare oltre>> (p. 35), indefettibile alla vita, vuole essere anche una forma di smemoramento, di abbandono fiducioso al fluire eracliteo, per entrare in una dimensione di trasognata ebrietudine, di leggerezza della mente, che induca a <<imparare il senso / della grazia ricevuta / senza merito d’esserci>> (ibidem), a schiudersi al <<Miracolo della vita>> (p. 36), a morire per – in senso laico e traslato – <<rinascere altrove>> (p. 41).

Non può certo negarsi che l’homo viator di Vitale sia anche entità su cui grava <<il flusso arrogante del tempo>> (p. 36), <<oscuro viaggiatore>> (p. 37) o <<nera figura>> (p. 37) che patisce lo smarrimento di coloro che, come vagoni sul binario, <<nulla sanno del loro viaggio>> (p. 41), che avanzano in uno stato di crisi dialogica (p. 45, <<quel che abbiamo è / un alfabeto muto>>), ignari del telos giustificativo dell’andare (<<passo senza cognizione>>, ibidem).

Non a caso l’Autore opera nel corpus lirico una mise en relief della vacuità esistenziale (p. 40, <<Il vuoto (…) / (…) è l’unica certezza>>), del vanire (p. 48, <<mondo svaporato>>), del dover in qualche modo fare i conti con il <<buio che verrà>> (p. 47), del dover dire un giorno addio, del comprensibile disorientamento esplicitato nell’ontologia dell’essere o del percepirsi <<senza più senso / e direzione>> (p. 50).

L’Autore richiama nella sua opera temi esplorati da Mark Strand nella sua poetica. Si confronti, a mero titolo esemplificativo, tra le tante, <<È vero, come ha detto qualcuno, che / in un mondo senza paradiso tutto è addio>> (in L’inizio di una sedia, Donzelli Poesia, 1999).

Ma – come si diceva sopra – l’indagine su ciò che il poeta definisce Lo stato dell’arte (p. 55 e ss.), apre anche scenari che ambiscono a superare il senso del limite ed invitano, ad es., a <<Cercare la mano felice>> (p. 60), ad intravedere la <<gioia che da lontano sorride>> (ibidem).

Alla finitudine, Vitale, giustappone l’avversativa eppure (p. 70, <<…Eppure il pensare è ancora stupirsi / con l’ebbrezza d’un guizzo, soffio di luce / al di là del destino assegnato>>).

C’è sempre un ma, un tuttavia, un però che seguono alla constatazione della fugacità della gioia (p. 76, <<(…) la gioia ci sfugge>>), c’è sempre una via di fuga storicamente salvifica – che conduce a quietare la mente, a chiudere gli occhi e restare muti (p. 51, <<non vedere e tacere>>), a privilegiare l’aspetto auditivo dell’ascolto (<<Essere orecchio vivere di suono>>, ibidem) al fine di ritrarsi, di fare spazio all’alterità (p. 53, <<mon coeur s’ouvre à ta voix>>).

La poetica di Vitale è dunque una forma di resistenza a quanto si palesa mortifero, una forma di serena – per quanto possibile – accettazione del fatto che la <<grazia ricevuta / senza merito d’esserci>> (p. 35), id est la vita – come si legge nei versi della Szymborska di cui all’epigrafe di p. 56 – è <<in prestito>> ed in quanto tale da restituire.

Quanto appena affermato non si pone in antitesi con le pur legittime rivendicazioni di senso di Vitale. Il fatto di doversi rendere, la certezza di dover giungere un giorno all’omega del viaggio, non può lasciare indifferente chi è – come scriveva Ungaretti – <<tanto / attaccato alla vita>>.

Se il <<compenso del (…) viaggio>> (p. 62) è solo <<crepuscolo (…) ombra>> (ibidem), se stare al mondo è spersonalizzante <<recitare una parte / dell’ignoto copione>> (p. 64), allora la giustezza o giustizia della vita non può che revocarsi in dubbio.

Ciononostante, l’horror vacui, il sentimento del farsi assenza, è temperato dall’ipotesi d’essere <<di più / di quello che perdiamo>> (p. 76), da una sparizione che si atteggia a <<misteriosa eclisse>> (p. 62), dunque quaestio aperta, che, comunque la si guardi, è definibile solo in termini suppositivi, mai certi.

Proprio l’impossibilità di fare cognitio definitiva dell’umana sorte sembra induca l’Autore a ritenere vano il tentativo di ordinare il mondo (p. 73, <<Ogni giorno tocca fare / un po’ di ordine nel mondo>>; p. 64, <<Sospesi sul desiderio / di disporre le cose / al posto giusto>> e p. 65 <<Sospeso (…) / desiderio di disporre le cose / al posto giusto>>), poiché la realtà è così liquida e sfuggente che ogni forma di riduzione a sistema, ad ordine, risulterebbe insuscettibile di coglierne la complessità.

L’altrove di Vitale vuol essere anche avvertimento o recherche d’un locus amoenus all’interno della terra desolata di elottiana memoria, un ambito di bellezza da ritrovare, per vivere di quegli Stati di grazia (p. 83) che pure esistono ma che spesso, per eccessivo attivismo o difetto di ascolto o distrazione di sguardo, ci paiono circostanziali, accidentali, capricciosi nel loro affiorare e dissolversi.

 


Stefano Vitale

Stefano Vitale (1958), nato a Palermo, vive e lavora a Torino. Nel 2003 ha pubblicato (con Bertrand Chavaroche e Andy Kraft) Double Face (Ed. Palais d’Hiver, Gradingnan, Francia), nel 2005 Viaggio in Sicilia (Libro Italiano, Ragusa) e Semplici Esseri (Manni). Seguono Le stagioni dell’istante (Prefazione di Mauro Ferrari, Joker 2005); La traversata della notte (ivi, Prefazione di Giorgio Luzzi, 2007); Il retro delle cose puntoacapo 2012, Prefazione di Gabriella Sica); Angeli (illustrazioni di Albertina Bollati, PaolaGribaudoEditore 2013). Nel 2015 ha curato (con Maria Antonietta Maccioccu) la raccolta Mal’amore no (SeNonOraQuando). Del 2017 è La saggezza degli ubriachi (La Vita felice) e del 2019 Incerto confine (illustrazioni di Albertina Bollati, prefazione di Vittorio Bo) per PaolaGribaudo Editore, Torino. Del 2021 è Il colore dei gatti per Ventura Edizioni, 12 filastrocche per bambini con illustrazioni di Albertina Bollati. Poesie da La saggezza degli ubriachi e da Incerto confine sono tradotte in inglese sul Journal of Italian Translation (2019 e 2020) e sul sito Italian Poetry (2018). È presente in Ossigeno Nascente. Atlante dei poeti contemporanei sul portale griseldaonline dell’Università di Bologna, oltre che sul sito internazionale Italian Poetry diretto da Paolo Ruffilli. Direttore Artistico dell’Associazione Amici dell’Orchestra Sinfonica della Rai, giornalista pubblicista, scrive su www.ilgiornalaccio.net, occupandosi delle rubriche letterarie e curando la rubrica “Oggetti smarriti” dedicata alla poesia.