A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Grava sulla poltrona ancora la tua ombra, nota di lettura a Con candide mani, di Anna Lombardo (Proget edizioni 2020)
Un verso del poemetto Con candide mani recita: “per non parlare / di quel buco al posto del cuore”. È da questo buco al posto del cuore che si sprigiona una luce che illumina l’intera raccolta e delinea i contorni dell’oggetto principe dei versi, dell’incontrastata protagonista, che è l’assenza. Il libro consta di trentaquattro poesie, e la parola assenza ricorre sette volte. Ma tutte le poesie risultano illuminate da una stessa luce, che potrebbe prendere nome nostalgia, o desiderio, come se la mancanza fosse un generatore potentissimo, una dinamo in grado di dissipare ogni tipo di ombra e sbattere e chiudere finestre, aprire e chiudere usci, -sfiorare il tavolo, la sedia / quel libro cercato e amato / l’assaggiare curiosi / tutte le nostre ragioni –
L’autrice fin dalla prima poesia intende chiarire le motivazioni alla base della creazione, e mettere le carte in tavola significa per lei dichiarare che ci troviamo nella casa di un morto, che quel tremito del ciglio sul far della sera, le mani che si piegano sul Niente, quell’importante Niente, si muovono in virtù di un’assenza. Di qui tutta una luce chiara che indaga il vuoto, il pieno, la mancanza, l’assenza che imprigiona la corolla del fiore reciso. Siamo qui al cospetto della parola che restituisce, alla sua precipua funzione evocativa di tenere ancora in vita.
È a partire da questo vuoto che la poesia si dispiega come una musica da camera, una piccola sinfonia – che si fa spazio fin negli spazi / più remoti della mente -. Sulla perfetta lunghezza delle opere poetiche la raccolta di Anna Lombardo si pone come paradigmatica per il riascolto che ogni volta regala nuovi sprazzi, si sofferma su accordi appena intravisti prima e degni di essere riascoltati, con raffinate variazioni che sfiorano il tema del rimpianto: – gli amorosi istanti / giacciono là alla tavola imbandita / dei cimiteri eterni -, accennano appena a una perizia manieristica: – Io e te in questa bufera / di tempi ingordi e ingorghi di demenze -, approdano a piccoli acuti che sconfinano in una gioia di infantile esuberanza:
Rimarranno per sempre intrappolate
tra le mie labbra quelle parole
con cui avrei voluto anche sfiorarti
vederti sobbalzare
pudico e felice come un bimbo
davanti ad un budino al cioccolato.
L’assenza è un vuoto che va riempito di parole, ed ecco la funzione del linguaggio, perfettamente chiarito da Roland Barthes nei suoi Frammenti di un discorso amoroso: “L’assenza diventa una pratica attiva, un affaccendamento (che m’impedisce di fare altro)… Questa messa in scena di linguaggio allontana la morte dell’altro…Manipolare l’assenza significa fare durare questo momento, ritardare il più a lungo possibile l’istante in cui l’altro potrebbe, dall’assenza, piombare bruscamente nella morte”.
Se per la scienza il nulla non esiste
e il vuoto è un’invenzione
come chiamare adesso quella sua assenza
dal mio cuscino, braccia
grembo, per non parlare
di quel buco al posto del cuore.
Sono le parole che rimediano all’assenza, in quel gioco di pieni e vuoti colmano la distanza, riempiono quel gorgo doloroso scavato dalla mancanza, diventano un simulacro di presenza, una musica che parla con le parole dell’assente e lo tiene in vita, presente, qui, dentro il bianco della pagina, in tutti quei segni che hanno la funzione di vedere ancora chi ci ha lasciati, in un movimento di voci e di suoni che come variazioni musicali percorrono la vasta gamma delle possibilità, dal semplice battito al sussurro al soffio, dal dispiegarsi della voce all’affondo fino al grido disperato:
Quella particolare inclinazione
l’obliquità della luce sul tavolo
ormai silente, e i fogli rimasti così
grava sulla poltrona ancora la tua ombra
in ogni cosa parla, romanza
echeggia
dispute assurde e tranquille
tiene poi la notte in assedio
l’ultimo bacio che si fece marmo
Scrive in maniera elegante e ineccepibile Alessandro Cabianca nella prefazione: “Il turbamento che discende da quel che non si potrebbe accettare se non con un atto di rimozione viene accettato nel momento della presa d’atto che l’irreparabile si è compiuto e che solo la parola ridà corpo all’esperienza vissuta e in un certo senso la giustifica. Siamo “nella casa di un morto” , un dire così diretto non permette divagazioni anche perché, a rinforzo, sta una parola definitiva, in maiuscolo: il Niente, quell’importante Niente / che la stanza riempie”.
Cosa ne sa una casa dei passi
degli sguardi dolci e temerari
sa solo trattenerli con testarda
gelosia nelle più impensate
pieghe della sua pelle
urla la casa nell’assenza
per chi, mi dice, per cosa
A cosa alludono le candide mani del titolo della raccolta? a quale tipo di candore si riferiscono? all’accettazione con cui l’autrice accoglie il frastuono disorientato del mondo? all’innocenza di fronte alla ineluttabilità della perdita? alla semplicità del sentire, al gesto naturale di riappuntarsi sul petto quel grido rosso di rabbia e di dolore stretto al collo, e le preghiere, e quegli alfabeti ancora oscuri che permetterebbero di ricostruire una comunicazione? – sapessi altro alfabeto, amore / parlerei ancora assieme alla tua sponda –
Quel nome tuo con cui mi provocavi
e godevi nel sostituire al mio
voglio indossarlo adesso
fiore rosso su giacca nera
il tocco della tua immedicabile assenza
*
Con candide mani
e ferme accolgo il frastuono
disorientato del mondo
lo scarnifico, lo peso
come scienziato matto
e me lo riappunto lì, proprio sul petto
tra le nostre emorragie
19/02/2022 alle 14:25
Ti ringrazio Paolo per questa luminosa e lucida lettura.
Come tu dici, la poesia ci aiuta a camminare anche a ‘tentoni nel buio’ che ci circonda.
Un grazie di cuore.
Anna
19/02/2022 alle 16:27
Molto bella la lettura di Paolo Polvani. É vero, l’assenza è protagonista della raccolta. I luoghi, le pause, le parole, si fanno territorio di mancanza, spazio dove la mancanza e il desiderio riecheggiano una dissonanza carica di presenza. “Con candide mani”, più che del dolore, ci parla della potenza generativa dell’amore, di un luogo dove c è posto per tempi diversi della memoria e del presente.
Grazie ad Anna Lombardo per questo libro e grazie a Paolo Polvani per questa lettura.
01/03/2022 alle 16:54
Cara Carla e cara Gabriella,
L’amore è il vero motore del nostro vivere. Dovremmo ricordarlo più spesso.
Un grazie di Cuore.
Anna Lombardo
01/03/2022 alle 07:18
Una recensione molto emozionante e centrata questa di Polvani. Il libro di Anna Lombardo ci fa vivere sì una morte (sempre terribile) ma ci illumina con parole d’amore e soprattutto con pensieri d’amore. Nulla è perduto finchè saremo ricordati con questa intensità. E ogni giorno, ricordando le mani che accarezzano, sfiorano, vestono, spogliano, e asciugano lacrime rivivranno i nostri cari.