A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Dove depone il suo bene la parola esatta (note di lettura a Memorie fluviali, di Isabella Bignozzi, MC ediz., 2022)

 

 

L’amore degli umani

 

Essere toccati

in quel punto indifeso e segreto

dove depone il suo bene la parola esatta

che ci fa immobili in un battito da dentro

nella nostalgia profonda della cura.

ph Diane Arbus

La poesia è un oggetto misterioso. Possiamo girarci intorno, scrutarla da varie angolazioni, confrontarci su ipotesi disparate, ma sarà impossibile che non ci sgusci tra le dita. Se vogliamo essere precisi non è soltanto la poesia a sfuggirci, siamo circondati da misteri. Silvia Bre ha dedicato un intero librettino alla parola Mistero. A pagina 21 scrive: ”Il vero, il principale mistero a cui siamo tutti esposti è il più semplice fatto di essere vivi. Questa sensazione brutale ci accompagna mentre mangiamo, quando ci svegliamo, mentre ci addormentiamo, ma resta per lo più impercepita. I misteri greci avevano, invece, la funzione di far percepire questa sensazione”.

Per quanto mi riguarda ho sempre trovato affascinante ripetermi i versi famosi della Szymborska: “La poesia – ma cos’è mai la poesia? / Più di una risposta incerta / è stata già data in proposito. / Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come all’àncora di un corrimano”. Mi sono anche cimentato nel lasciare la presa di quel corrimano e una volta ho scritto che la poesia è un’effervescenza di parole che certifica la gioia di stare al mondo. Ma mi è subito sembrato fallimentare come tentativo, le effervescenze di parole sono davvero infinite, anche la requisitoria di un pubblico ministero è un’effervescenza di parole, come il cazziatone che la moglie gelosa fa al marito, o l’appassionata lezione di un appassionato insegnante, ma persino l’effervescenza verbale del piazzista che tesse le pubbliche lodi di una scopa magica, e tutte queste effervescenze certificano qualcosa che sia riconducibile alla gioia di stare al mondo. E inoltre rimane uno sguardo che si ferma all’involucro esterno della poesia, alla sua buccia.

Ma poi nel bel libro di Isabella Bignozzi, Memorie fluviali, incontro i versi della poesia L’amore degli umani, e ho la sensazione che la poesia, l’essenza della poesia, venga illuminata dall’interno, e che valga per entrambi i versanti, quello di chi scrive ma anche quello di chi legge: la grazia di essere toccati riguarda infatti in primo luogo l’autore ma non esclude il miracolo di chi ne fruisce, di chi lascia che quel punto indifeso e segreto accolga il bene che deriva dalla parola esatta.

Una piccola illuminazione ci regala anche il verso che allude alla nostalgia profonda della cura, che rimanda a un tempo non definito in maniera cronologica ma qualitativa, quel tempo che ci fa immobili, quel tempo in cui dentro risuona un battito che accende la luce sulla nostalgia profonda della cura. La parola cura ritorna spesso in questo libro, e non credo si tratti di deformazione professionale essendo Isabella una persona che della cura ha fatto la sua professione, credo al contrario che la vocazione alla cura abbia influito sulla scelta della professione.

Ci suggerisce in un certo modo la direzione che la cura prende quando nella poesia “Il nido” distilla queste parole come fossero un rimedio farmaceutico: tocco / parola / le dita / curve / le mani / appello / concavo / nido / porgere / piccola / bianca / salvezza / ora / qui.

Le parole cadono come gocce di una medicina, e nominano la salvezza, qui e ora, e nel rimedio “lì c’è la mia voce vera, il mio perdono per te”.

La voce vera è quando la nuda parola sperimenta il massimo grado dell’estensione vocale, canta un nudo canto, gorgheggia seppur trattenuta nel perimetro di una naturale sobrietà, di una compostezza che è scelta morale prima ancora che estetica.

Qui le parole sono utilizzate come pietre focaie che appena strofinate tra loro sprizzano le scintille della poesia, toccano quel punto indifeso e segreto. Ogni parola possiede al suo interno una carica di allusività e insieme di illusorietà, ogni parola nasce da un’esigenza metaforica, ed è un piccolo sogno che vuole ancorarci alla realtà. Sappiamo che il sogno possiede una sua sintassi ed esprime una sua verità, eppure niente è più sfuggente e misterioso di un sogno.

“Io non so fare inventario / del bene e del male / so del fragore di questa ferrovia”.

ph Diane Arbus

Memorie fluviali è un libro di beatitudini sentimentali che rivelano a ogni successiva lettura un ulteriore dettaglio, lasciano scorgere squarci di bellezza, “un’infanzia del mondo che s’impenna”. Ho sempre molto amato le sinfonie di Mahler, che per un ascoltatore in definitiva rozzo e durevolmente inesperto come sono, hanno rappresentato una sfida, e hanno richiesto una serie di ascolti successivi prima di rivelare la profonda, indicibile bellezza di cui sono pervase. In questo libro sto seguendo un identico metodo, e a ogni successiva lettura mi si schiude un nuovo particolare del paesaggio, mi si apre una nuova meraviglia.

Il libro è ripartito in tre distinte sezioni, il cui titolo rappresenta un felice indizio per il lettore: Il dovere della cura, Passo d’addio, L’amore degli umani,  titoli che lasciano scorgere l’attraversamento di vari territori letterari, e danno conto dello spessore culturale e umano di cui si sostanzia la raccolta.

“C’è un fiorire di glicine, gatti che dormono al sole / ma bisogna arrotare il canto ora / a nuove discipline”.

Nel corso dei versi il linguaggio si apre appunto a nuove discipline e attinge al gergo specialistico della scienza, a una lingua di settore, con esiti sicuramente felici e molto interessanti: “nel centro del vortice / l’isotopo radioattivo / emette / particelle di immagini / lento l’atomo svuota orbitali / e mentre rilascia tossine / lentamente decàde”. Si tratta di innesti che donano nuova linfa, una vampata di luccicante energia.

Teatro familiare è il titolo di una delle poesie che per prime regalano un affascinante affaccio sulla fluvialità di queste memorie, uno scorcio di situazioni in cui affetto e ironia bilanciandosi e rincorrendosi tengono al riparo da ogni tentazione del sentimentalismo e offrono una visuale originale e insieme profonda: i personaggi del teatrino, Padre, Madre, Sorella, Fratello, ci vengono raccontati nella loro umanità e nella loro universalità, assurgendo al ruolo di archetipi. Ma in realtà è tutta la raccolta che disvela una fonte amorosa illimitata seppure contenuta in forme di grande eleganza e sobrietà. E mi piace in chiusura rubare ancora un brano al libro di Silvia Bre, Mistero: “La pittura mostra il mistero, la musica esprime il mistero, la poesia dice il mistero. Il mistero è il prendere forma – visiva, sonora, verbale -. Dunque non esiste un mistero informe, ma ogni forma è misteriosa, almeno nel suo nascere”.

 

ph Diane Arbus

 

Teatro familiare

 

Rientrerò con il distacco del sidha

la dignità polare della bambina

tra quei parati da quirinale

sotto quei soffitti dipinti

pieni d’occhi:

icone buie, cobalti, mappe siderali

 

riecheggeranno tra i legni

di librerie come cattedrali

gli anatemi della nonna

che grida al gatto in dialetto

le ciabatte di panno

 

les mots francais di Padre

gli strilli da profetessa di Sorella

tuniche di fuoco e capricci di trine

la maglietta, il sugo, i maccheroni.

 

Rivedrò lo sguardo da leopardo fragile

di Fratello

i suoi terrori virali

la berlina delle bionde replicanti

le sue fisse nietzschiane (riverberare)

ai fuochi fatui dei fornelli

 

e mia madre, mia madre

in finestra che fuma

che dice ve ne accorgerete

quando morirò, dice,

allora sì che davvero vedrete.

 

Chiare le note di un pianoforte,

iva zanicchi e la ruota della fortuna

le carte scritte a mano – la grazia dello scriba –

di Padre:

occhi gialli, affetti indecifrabili,

carezze ieratiche, siglate in stele

 

Madre disegna arabeschi

con la brace della sigaretta

– dalla bocca al fianco, dal fianco alla bocca –

il suo credito inesigibile

dal gioco del mondo

ribelle in doppia iride.

 

nei silenzi precipiti

una combustione sotterranea

perpendicolare.

 

ma può dirsi Domenica:

alla fonte lustrale

del rubinetto

la nonna riempie la brocca

butta acqua nella farina.

il suo gesto liturgico:

cuocere il pane.

 

 


Isabella Bignozzi è odontoiatra, autrice di numerosi articoli medico-scientifici di rilevanza internazionale. La sua prima silloge poetica, Le stelle sopra Rabbah, è uscita per Transeuropa nel 2021, con postfazione di Elio Grasso. Ha pubblicato il romanzo storico Il segreto di Ippocrate (La Lepre, 2020). Suoi racconti, prose e contributi critici sono apparsi in varie riviste letterarie.