A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Cammino con gli occhi sazi, alcune domande ad Antonella Sica su L’ira notturna di Penelope, e cinque poesie
1) L’ira notturna di Penelope è un titolo che intriga parecchio. Come nasce questa raccolta? che cosa ti preme comunicare? e che importanza dai alla scelta di un titolo?
Secondo me, la poesia nasce dalle crepe come la gramigna che cresce nelle fessure dei muri di pietra. Se non mettiamo in discussione l’ordine, il suo senso solo apparentemente stabile, la poesia non può germogliare. “L’ira notturna di Penelope” nasce dalle mie crepe. Ad un certo punto non riuscivo più a capire chi fossi veramente, percepivo dentro di me tante voci e le meno autentiche avevano un volume più alto delle altre. Mi sono resa dolorosamente conto di quanto essere donna avesse giocato un ruolo cruciale nella mia vita e di quanta pelle non mia facesse parte del mio corpo. Ricordo che da adolescente, quando disertavo la scuola, andavo a rifugiarmi al museo di Villa Borghese a contemplare le statue del Bernini. In particolare rimanevo incantata da Apollo e Dafne e dal Ratto di Proserpina. Anni dopo sono tornata e, accanto alla meraviglia che sempre hanno destato in me queste due sculture, ho sentito un profondissimo disagio perché percepivo il dolore delle giunture di Dafne che per sfuggire alla violenza era costretta a trasformarsi in albero e la mano di Ade che stringeva la coscia di Proserpina, la sentivo premere sulla mia stessa coscia. Da questo disagio maturato negli anni nasce “L’ira notturna di Penelope”, un percorso poetico che parte da dentro per estirpare la malerba di un’educazione patriarcale che ha deviato la mia vita come quella di molte altre donne e per far sbocciare una nuova visione delle relazioni, con me stessa e con gli altri, partendo dalla riflessione sulla parola più abusata del nostro vocabolario: amore.
Per quanto riguarda la scelta del titolo, che è quello della poesia che apre la raccolta, lascio la parola a Donatella Bisutti, che ha scritto la prefazione del libro: “Più si procede dunque nella lettura, più ci si rende conto del forte valore ossimorico del titolo di questa silloge, che suona come una sfida. Esso riunisce in una figura del Mito, Penelope, come due lembi di quella tela di continuo tessuta e disfatta per essere rifatta di nuovo, la pazienza e l’ira, la prima retaggio atavico del femminile, la seconda simbolo dell’ardua lotta per coniugare quel femminile in un’accezione nuova”.
Antonella Sica
2) Il tuo approdo alla poesia è avvenuto in maniera inconsueta rispetto a molte altre esperienze. Durante l’adolescenza non ti eri mai cimentata con la poesia? Quando e come ne hai precisamente avvertito il richiamo?
Durante l’adolescenza, come molti credo, mi sono cimentata con la poesia in modo molto naïf; però leggevo molto e con passione, soprattutto la poesia antica greca e latina ma anche Montale, Szymborska, Cvetaeva, Plath, Caproni, Cardarelli, Baudelaire, Rimbaud e tanti altri che mi capitavano davanti in modo disordinato e fertile. Ma il richiamo della poesia è arrivato tardi nella mia vita, circa nove anni fa. Ad un certo punto ho cominciato a scrivere brevi prose poetiche, bozzetti che descrivevano le forti impressioni ricevute da incontri casuali per strada, nei bar, alla fermata dell’autobus, che, in breve, si sono trasformate in poesie, alla ricerca di corrispondenze fra le parole e la loro musica profonda. Queste poesie sono poi confluite nella mia prima raccolta, Fragile al mondo pubblicata da Prospero editore nel 2015.
3) Hai sempre operato in ambito artistico, in che modo pensi che le tue passate esperienze possano giovare al tuo fare poetico?
Ho lavorato per un periodo in teatro come attrice, in una compagnia molto stimolante, Bloko Teatro; di questo trascorso è stata fondamentale l’esperienza della voce, della lettura a voce alta in relazione a un rispetto profondo per il testo scritto.
Dopo questa esperienza teatrale molto formativa ho cominciato a lavorare come filmaker e, in seguito, come organizzatrice di eventi culturali cinematografici; sono stata direttrice artistica del Genova Film Festival e di molte altre manifestazioni cinematografiche. Del mio lavoro di filmaker ho sempre amato la parte del montaggio, quella in cui il film prende forma e le immagini si mettono in relazione fra loro donandosi reciprocamente nuovi sensi.
Quando scrivo penso sempre per immagini e uso le parole come gli spezzoni al montaggio; le metto in relazione e ascolto il loro ritmo. Uso spesso parole molto semplici, anche abusate, cercando di restituire loro una nuova dignità attraverso l’incontro con altre parole.
Istintivamente tengo a distanza le parole troppo precise, che abbracciano strettamente un significato e attirano l’attenzione togliendo aria alla struttura complessiva della poesia. Sono alla ricerca di una semplicità che è frutto di un lavoro di sottrazione e non di semplificazione.
4) Sei autrice di Ballata trash, un documentario con il poeta Edoardo Sanguineti. Ci racconti di questa tua esperienza?
Ballata Trash è un video molto breve; dura solo quattro minuti ed è il frutto di una bella collaborazione. Io mi sono occupata della co-regia e del montaggio. Lo spunto del video è una storia vera; in quegli anni a Genova c’era un tassista, Piero Corti, che andava in giro per la città a salvare i libri gettati nella spazzatura. Un’amica, Luciana Del Giudice, che organizzava una manifestazione chiamata “Un porto di libri” coinvolse me e Cristiano Palozzi per realizzare un video su questa storia. Grande valore aggiunto, la presenza del compositore Andrea Liberovici che realizzò la colonna sonora del video e coinvolse Edoardo Sanguineti, che con lui aveva già progettato alcuni spettacoli teatrali. Non volevo realizzare un documentario con questa storia, ma un video più sperimentale, metaforico, usando immagini sporche, raccordi veloci; utilizzando, insomma, un linguaggio più simile a quello della poesia.
Nel video il tassista e il poeta entrano in relazione attraverso l’amore per i libri; il tassista li salva e il poeta sale sul taxi per condividere con lui quest’avventura. Nel finale i due si scambiano di posto; il poeta guida e il tassista può finalmente leggere i libri salvati. Sanguineti compose una poesia per questo video, musicata e cantata da Andrea Liberovici.
Il cortometraggio fu molto apprezzato nei festival di cinema e vinse anche un premio al Torino Film Festival.
5) La Liguria è una terra che ha dato molto alla poesia. Quanta Liguria c’è nei tuoi versi? quanto pensi che incida l’ambiente sulla creatività?
L’ambiente incide sulla creatività come ogni esperienza che ci rende ciò che siamo. La mia ligusticità ha due radici: una culturale e l’altra esperienziale. Indubbiamente la poesia di Montale, che amo molto, ha influenzato la mia visione della Liguria. Ho cominciato a leggerlo da giovanissima e da allora non c’è stata agave, ciottolo o muretto trafitto da cocci aguzzi di bottiglia che non mi abbia fatto tornare alla mente i suoi versi, condizionando il mio sguardo. La mia Liguria interiore è diversa; è fatta di luce che non arriva in fondo ai vicoli del centro storico di Genova, di vecchi soli che cercano il sole sulle panchine, del mare che si nasconde quando scendi dalle alture per raggiungerlo e di creuxe invase dalle erbacce.
In molti dei miei versi c’è la fuga verso il mare, l’amaro del sale e uno sguardo sulle cose un po’ selvatico e disincantato. C’è un’unica finestra in casa mia da dove si vede il mare, ed è di fronte a questa finestra che scrivo.
foto di Lisetta Carmi
*
Eppure i momenti migliori sono quelli
in cui annuso il mondo come un cane
cammino e sono nelle gambe
in attesa di una gioia conosciuta
quella svolta che improvvisa s’apre al mare
col ferro del porto che sale
in rette e poligoni brillanti.
Cammino con gli occhi sazi
come chi non cerca niente
solo l’occasione di un altro passo avanti.
La notte bambina
La notte bambina corre scalza per casa
ruba biscotti e lascia
briciole e tracce di pianto sul cuscino;
stringe il sole nel petto che brucia,
lascia orme di luce sui vetri
mentre libera gli uccelli dal canto
e il silenzio dal vento. Poi
mi scivola al braccio, tenera ombra,
mi chiede di tenerle la mano
perché, dice,
ha paura del buio.
foto di Lisetta Carmi
*
Ti porterò in periferia
in una di quelle strade
di capannoni e case
malate di ferrovia.
Sarà un giorno di sole
smarrito nel gelo
pochi alberi intrisi di nero
e gramigna tutt’intorno.
Ti porterò, quel giorno,
a cercare tutto il bello
dimenticato nel doppio fondo
del nostro sguardo.
*
Una nuvola, una madre
dai grandi seni sconfitti
la ritaglio sul foglio,
per averla accanto. Non ha
occhi, né bocca e io
ho la stessa bocca e occhi
del bianco della madre
perduta; ma tu, piccolo,
sai disegnare l’iride
del calore delle castagne
una bocca di fragola
che sorride sghemba
e due gote rosse di mela
ché se non posso dire addio
a chi mai ho conosciuto
posso dare il benvenuto
a chi entra nella mia casa.
foto di Lisetta Carmi
Le finestre
Quand’ero bambina il mio sguardo
era spezzato da un grande pino
davanti alla finestra. Sulla destra,
lontano, un grattacielo rosso
che faceva un po’ Niuiorc
e cinema americano in bianco e nero
e di quinta, più lontano ancora,
l’ospedale psichiatrico di Quarto
con i suoi alti alberi a proteggere
il dolore e la follia.
La finestra della mia adolescenza
affacciava su un muro ricoperto
d’edera e glicine e lo sguardo
rimaneva nella stanza, sulle pagine
dei libri: gli Einaudi bianco latte
e l’economica Garzanti sugli scaffali
come un arcobaleno; rossi i francesi,
verdi i russi e gli italiani, azzurri di lama
i tedeschi, grigi i classici latini e greci.
La finestra dei vent’anni non aveva tende,
solo il muro del palazzo di fronte, le finestre
degli altri; luci fioche di cucine, sguardi
chini sulla sera, gomitoli pieni di nodi.
La finestra dei trent’anni si apriva
su una strada in salita affiancata
da lunghi platani scuri, nessun segno
di vita; solo qualche cinghiale
e automobili di fretta verso casa.
Un mistero in cima alla salita.
La finestra dei quaranta era alta sulla collina;
geometria di tetti sotto lo sguardo irregolare.
Pece nera sulle vecchie grondaie
dove gialli fiori casuali spuntavano
nelle crepe dove il vento
aveva portato la terra.
Fiori che aprivano ferite nei tetti
dove entrava la pioggia
creando ombre di fiori sui muri.
La finestra di oggi ha un palazzo verde acido
di fronte, attaccato alla collina.
Dalle finestre vecchi operosi e lenti
che appena esce il sole stendono i panni
come a far prendere aria alla vita.
E a destra si apre la fuga del mare
con cui sono solita parlare
e che increspa il mio sguardo di sole.
Antonella Sica, genovese, è laureata in Lettere Moderne. È regista e manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico. Ha fondato e co-diretto il Genova Film Festival dal 1998 al 2015. Ha diretto e realizzato cortometraggi di fiction e documentari selezionati e premiati in diversi Festival. Tra lavori realizzati Ballata Trash , cortometraggio con il poeta Edoardo Sanguineti. Ha curato il libro‐intervista Claudio G. Fava – Clandestino in galleria (Le Mani 2003) e collaborato alla realizzazione dei volumi Le Immagini del G8 – Le strade perdute di Genova (Falsopiano 2002), L’immagine plurale – Documentazione filmica, comunicazione e movimenti di massa (AAMOD 2003), Le forme del corto. Rapporto sui corti italiani (Falsopiano 2007). Ha ideato e organizzato festival e rassegne cinematografiche, tra cui X_Science: Cinema tra Scienza e Fantascienza e FIDRA (Festival Internazionale del Reportage Ambientale). Nel 2014 vince il premio per la miglior silloge del concorso indetto dalla casa editrice Prospero Editore (pubblicata dal medesimo editore nel 2015 col titolo Fragile al mondo). Nel 2017 vince il Premio Internazionale di Poesia Città di Milano con la silloge La memoria nel corpo, pubblicata l’anno seguente da Rayuela Edizioni. Nel 2019 vince il Premio come Miglior Silloge al XX° Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne” con la silloge L’ira notturna di Penelope, in uscita Il 13 gennaio 2022 per i tipi di Prospero Editore con la prefazione di Donatella Bisutti.
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