Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Postilla minima su Not bad (2019-2020) di Claudia Zironi (Arcipelago Itaca, 2020)
Ciò che ictu oculi si rinviene nella poesia della Zironi è – per utilizzare un’aggettivazione cara a Bauman – la liquidità della forma che assume la versificazione.
La stessa, infatti, è caratterizzata da una versura quasi diegetica, prosastica, che si sviluppa lungo il rigo tipografico fino quasi ad esaurirlo, mediante un dire corposo e fluente, dalla voluta verbosità.
All’interno delle estese misure versali, va ampliandosi il dettato, quasi a voler liberare, nel flumen della narratio lirica, la tensione di un pathos non governabile, impetuoso, non suscettibile di disciplinarsi in paradigmi formali predeterminati e dunque riottoso alla misura.
L’esito di cui sopra è ottenuto mediante un melange di accorgimenti formali, quali l’uso di figure polisindetiche, di inserti anaforici, nonché per il tramite di tecniche di accumulazione e/o enumerazione, spesso scevre da connettivi, tale che i versi – seppure non privi di ritorni fonici – sono essenzialmente ab-soluti, sciolti, atonali, nel senso che le cadenze ritmiche sono così diluite da rendersi a volte impercettibili all’orecchio.
Quanto ai topics testuali, la Zironi, solo a titolo esemplificativo, pone in dominante il timore d’una perdita di vitalità; cerca di disporsi al mutamento, ad un quid novi che le consenta di scampare alla “fossilizzazione degli ammoniti”; vuole essere presa per ciò che è, con le “insicurezze / dell’eterna adolescente”, animata da un dinamismo che non si risolva nello spreco di vita d’un lavoro spesso alienante.
Per quanto l’autrice sia conscia delle lacune di senso, dell’absentia che percepisce, non intravede orizzonti salvifici, poiché “non ci sarà giudizio né rinascita”.
La morte sarà dunque l’ultima parola. Ma l’inquietudine sta soprattutto nell’ “inesistenza provata” in vita, nell’esser-ci che sperimenta il nihil, la distanza tra i vivi e i morti e, anche, tra i vivi e i vivi.
Alla risposta attesa (p. 43), all’ultima parola che la Zironi vorrebbe atta a contenere “il senso di tutto questo struggimento” (p. 45) si contrappone un silenzio “diacronico” (tanto nel presente quanto nel passato e nel futuro).
Si vorrebbe e si dovrebbe dire più e meglio.
Ma questa è una mera postilla, un piccolo omaggio, un appunto scritto di getto…
se tu fossi il vento io
starei ferma
tra le lavande di giugno, immobile
con abiti ampi, bianchi di bucati antichi
ti lascerei passare, aperta e sorridente
come scampata
alla storia, agli anni, alla fossilizzazione
degli ammoniti, ti lascerei entrare
sotto i cotoni nascosti, tra le pieghe della gonna
ti lascerei rubare ogni profumo – terra della terra
fiore di ogni fiore – vento mio, mio sole – ti donerei
questo nostro nuovo tempo passato.
*
mi si prenda così, senza esimermi
dal compiere atti avventati e sciocchi
nella mia impulsività, con le vive debolezze
e le frustrazioni, con tutte le insicurezze
dell’eterna adolescente, mi si prenda
per come vi vedono belli i miei occhi e
si commuovono leggendo i vostri versi
per la gratitudine del giorno, per la pace
negata dei sogni, per la morbidezza della pelle.
per ogni capello bianco e ogni nuovo segno
mi si prenda, cura e palliativo del dolore
come scampata all’estinzione, come predestinata
alla morte. mi si prenda e basta, senza incertezze
dandomi temporaneo, incondizionato Amore.
*
mangeremo allegramente i crisantemi delle nostre tombe
come fossero pop-corn, assistendo al grande spettacolo
delle lotte sterilizzate, delle impiccagioni senza volto, dei pesci
stretti e muti perché non sanno cosa chiedere agli squali, poi beati
ci decomporremo contribuendo all’innalzamento ulteriore
della temperatura globale. i pochi ghiacci rimasti si scioglieranno
gli incendi divamperanno e il colore del pianeta visto dallo spazio
sarà bellissimo. tu forse sarai ancora apatico quel giorno
e neppure il solletico dei vermi ti farà sorridere. io invece, pure da morta
mentre un vento umido batterà la terra desolata, penserò all’amore e
scenderà una lacrima. non ci sarà giudizio né rinascita, le pietre
non ricorderanno una parola di albanese né un solo verso di Dante
di Montale, di De Angelis o di Arminio Franco, chi ha abitato
la laguna e l’Amazzonia, chi ha comprato l’ultimo esemplare di Ferrari.
poi anche i vermi si estingueranno e tutto tornerà alla perfezione.
*
cosa direte tra trent’anni di quest’onda
che avanza e si ritrae, di quanto vi emoziona
attendere l’acqua, gelida sul petto
di quanto è deludente che mai vi raggiunga.
cosa direte di questa pietra così lucida
che non assorbe lacrima, di tanti sprechi di sogni
di alberi, di vini, di imballaggi colorati, di sorrisi
di parole, di respiri: veloci, profondi, audaci
nel nulla sperduti. cosa direte? dell’inesistenza
provata, colma e spietata dell’amico, vero
del morto, del vivo, della luce di dio.
*
ci vorrebbe una parola per aggiustare
per trasformare, per realizzare
una perfetta creazione, che fosse
rotonda e accesa, di giusta lunghezza
che assomigliasse un poco al nome
del mondo conosciuto e lasciasse intravedere
l’inimmaginato. ci vorrebbe una parola puro suono
un battito, una eco, un sentimento, un’ultima parola
che contenesse il senso
di tutto questo struggimento.
*
06/01/2022 alle 07:05
Ringrazio sentitamente Carlo Giacobbi per questa attenta e densa lettura del mio Not bad