Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Crocevia dei cammini di Luca Pizzolitto (peQuod, 2021), nota di lettura

 

La locuzione che Luca Pizzolitto utilizza a titolo dell’opera, come indicato dallo stesso autore nella nota di p. 105, è <<verso tratto da una poesia di Pierre Lepori>>.

Di essa lirica, della quale il Nostro nella precitata nota riporta un capoverso, ci pare utile valorizzare, per meglio comprendere l’intentio del poeta, i versi che seguono: <<C’è un punto in cui il dolore fa male (…) c’è un momento / in cui d’un tratto è un’immagine ripresa dall’alto, il crocevia / dei cammini e un bambino seduto, che piange>> (cfr. p. 105).

Sembra qui opportuno rilevare, anche in ragione di quanto si dirà in seguito, che il sintagma nominale crocevia è voce lessicale composta da croce e via; vi si potrebbe leggere – per l’evocazione che suscita l’alone semantico della parola in oggetto – via della croce; via crucis se vogliamo, ma da intendersi qui non necessariamente o comunque non del tutto nell’accezione invalsa in ambito teologico-cristiano, quanto più quale percorso esistenziale del cd. homo viator, la cui itineranza, poiché storicamente determinata, implica inevitabilmente un continuo confronto dialettico tra il rifiuto della contingenza e l’invocazione dell’assoluto.

Il crocevia dei cammini si fa qui correlativo oggettivo d’uno spazio di confluenza del dolore umano, personale e collettivo, e quindi della comunanza di quell’<<inquieto esistere>> (cfr. p. 103) di cui l’io-lirico si rende portavoce ed umile testimone, sempre in attesa d’un intervento salvifico, della <<grazia>>, di <<una dolce benedizione>> (cfr. ibidem).

Potremmo definire il corpus poetico del Nostro, il breviario d’un pellegrino inquieto, una sorta di Libro d’ore di rilkiana memoria, ove le liriche si atteggiano a idilli (solo nel senso etimologico di eidyllion: piccolo quadro) entro lo spazio dei quali Pizzolitto condensa il suo intimo sentire in relazione agli oggetti tematici indagati.

Il corpo testuale sembra recepire – sia pure in forma personalissima – l’afflato poetico del Salterio, la Vanitas vanitatum dell’Ecclesiaste, nonché il grido giobbico.

 Le liriche, infatti, tendono rispettivamente:

  1. a) alla contemplazione e alla preghiera (cfr. p. 15, <<ciò che nasce è solo / inerme, smisurata / bellezza>>; p. 16, <<Fa che (…) / che tutto riposi / e nasca, la nuda parola / si volga ancora in canto>>);
  2. b) al vulnus conseguente la percezione della vacuità dell’esistere (cfr. p. 45, <<il vuoto / che ingoia e mastica>>; p. 51, <<Guardi il vuoto, / silenziosa presenza>>);
  3. c) all’angoscia dell’<<abisso che divora, / al grido deserto>> (cfr. p. 29) (cfr. altresì p. 103, il <<grido / che non trova pace, ragione>>).

Le oscillazioni emotive cui s’è fatto cenno, l’alternarsi di antagonisti moti dell’animo in colui che dice io, sono indicativi del travaglio esistenziale che segna ogni autentica ricerca di senso, ai cui slanci corrispondono altrettanti ed inevitabili umani cedimenti (cfr. p. 51, <<forte ed eterno / è l’amore>>; cfr. altresì Cantico dei Cantici 8,6 <<forte come la morte è l’amore>> vs <<siamo una cosa di poca importanza, / che fugge, spaurita, non resta>> (cfr. p. 56); cfr. p. 64 <<un inesorabile / muoversi e cadere di ogni cosa / verso il nulla>>).

L’io-lirico, per il quale Mondo e Casa non coincidono e che per tale ragione patisce il disagio del suo <<sconfinato esilio>> (cfr. p. 13), del suo essere <<senza patria>> (cfr. p. 60), si dibatte tra la percezione della <<grazia di un Dio che è / e che diviene>> (cfr. p. 69) e l’avvertimento dell’afasia di quest’ultimo, del suo <<ostinato silenzio>> (cfr. p. 11), del suo farsi Deus absconditus.

È in tale terra di mezzo che si pone Pizzolitto, il quale, nell’indagare il suo essere-nel-mondo, si sente ardere dal desiderio <<di essere / visto, contenuto, amato>> (cfr. p. 81), di essere anche dimenticato, ma pure sempre <<come / un qualcosa di prezioso (…) tra le mani di Dio>> (cfr. p. 76).

La necessità di appartenenza che si rinviene nei versi del Nostro, l’esigenza di appagare il suo <<mai sazio / spasmo d’amore>> (cfr. p. 77) o la sua fame di contatto e integrazione con l’alterità, sono effetti della constatazione – anche luziana – dell’incompiutezza umana e, quindi, dell’insufficienza delle relazioni a soddisfare l’urgenza di pienezza che alberga nell’animo di ognuno (cfr. Mario Luzi, in Sotto specie umana <<Di che è mancanza questa mancanza, / cuore, / che a un tratto ne sei pieno? di che? Rotta la diga / t’inonda e ti sommerge / la piena della tua indigenza>> con i versi dell’autore <<Tra me e voi giace un’assenza>> (cfr. p. 26); <<Nessuno verrà a dirti / ciò che manca>> (cfr. p. 40); <<tra me e te c’è sempre un inverno>> (cfr. p. 97); <<il livido candore dell’assenza>> di p. 99).

Pizzolitto cerca di colmare la lacuna esistenziale, di operare una sorta di <<compensazione>> (cfr. p. 78) relazionale, appellandosi alla sua <<fede immatura>> (cfr. p. 29), o <<fragile fede>> (cfr. p. 36) che spesso si scontra con la ragione <<che si arrende al nulla>> (cfr. p. 59), in quella disputa tra fides e ratio che connota ogni autentico cammino spirituale.

È poesia, quella del Nostro, che fa teo-logia (lat. theologia, gr. ϑεολογία, comp. di ϑεός«dio» e λόγος «discorso»), che, detto diversamente, parla di Dio e con Dio, specie, in quest’ultimo caso, per chiedere perdono: <<Perdona, mio Dio, / perdona la fuga, / il dolore e il pianto>> (cfr. p. 59).

Il compendio lirico dell’autore è caratterizzato da coesione tematica ed uniformità stilistica, tanto da potersi parlare di opera poetica e non di mera raccolta di versi.

Degli argomenti, di cui si è dato conto sopra, si vuole solo evidenziare la loro dispositiocircolare all’interno del macrotesto; temi quali l’assenza, la lontananza, l’esilio, etc., più che essere trattati ad hoc, sono diffusi o atomizzati nell’intero corpo testuale; di guisa che le liriche comunicano tra loro, i versi si richiamano, in un “gioco” di echi e riverberi che legano il dettato.

Indagando il livello morfologico ci si accorge che i sintagmi verbali sono declinati quasi esclusivamente all’indicativo presente, quasi l’autore volesse porre in dominante l’hic et nunc della pronuncia, il suo essersi verificata nel presente dell’atto dello scrivere e il suo verificarsi nell’attualità di ogni lettura; le azioni veicolate dalla predetta forma verbale si sostanziano in movimenti discendenti (cede, cade, scende, etc.) che evocano, appunto, suggestioni decadenti e larvatamente crepuscolari (cfr. p. 48, <<Qui soltanto piove, adesso, / e fa freddo>>; p. 49 <<Nell’ora del vespro, / per un istante, / anche il mio cuore si cheta>>.

Il registro linguistico utilizzato è di tipo medio. Pizzolitto, pur mantenendo lo scarto linguistico di cui parla Jakobson, e quindi pur essendo lontano dalla scrittura di grado zero, tende ad avvicinare significante e significato; il linguaggio (salve le inevitabili eccezioni) è infatti più denotativo che connotativo e ciò in funzione di una maggiore fruibilità dei testi, caratterizzati da brevitas e claritas, tesi dunque a volersi comunicare, a creare un ponte, un trait d’union tra poeta e mondo, proprio allo scopo di recuperare un più significativo rapporto dialettico tra gli uomini.

 


Luca Pizzolitto nasce a Torino il 12 febbraio 1980, città dove attualmente vive e lavora come educatore professionale. Da quasi vent’anni si interessa ed occupa di poesia.
Nel 2008 vince il Premio Arezzo Poesia; nel 2014 si classifica primo al Concorso Letterario Internazionale Città di Moncalieri (“Una disperata tenerezza”, Ladolfi).
Nel 2019 vince il Premio Internazionale Città di Latina (“Il tempo fertile della solitudine”, Campanotto).
Nel 2021 è finalista al Premio di Poesia Onesta e Premio Prato Poesia (“La ragione della polvere”, peQuod)
I suoi ultimi libri pubblicati sono: L’allontanarsi delle cose (Ladolfi), Il silenzio necessario (Transeuropa), Dove non sono mai stato (Campanotto), Il tempo fertile della solitudine (Campanotto), Tornando a casa (Puntoacapo).
Con la casa editrice peQuod ha pubblicato, nella collana Rive: La ragione della polvere (2020) e Crocevia dei cammini (2022).
Da fine 2021 dirige la collana di poesia portosepolto, sempre per conto della casa editrice peQuod.
Sito: www.lucapizzolitto.it