Sogni di Emanuela Rambaldi | Venti. Settembre. Ruth

         

 

Prima della terrazza, c’erano state stagioni cupe, di orli accarezzati, di precipizi sfiorati.
Ciò che salva, a volte, non è che una coincidenza, un evento fortuito, un caso.
E non è detto che salvi per sempre.

Da qui in poi si torna al passato.
Prima della terrazza, c’era stato un settembre, uno qualunque, tra i tanti.

*

42 anni, sposata, madre di due figlie adolescenti. Insegnante al liceo Jean Renoir, corso sperimentale “Storia e linguaggi del cinema”. Amata dagli alunni, stimata dai colleghi.

“Molto in gamba. Intelligente. Sensibile, Molto presente. Puntuale. Ai consigli di classe difendeva gli indifendibili. Nessuno avrebbe potuto immaginare.”

“Non è che le scintille siano eventi epocali. Non sono un disintegrarsi di pianeti. Il più delle volte sono banalità. Insignificanti. Però poi il fuoco attecchisce e si impossessa di tutta la casa, inarrestabile. Tende, giocattoli, tappeti. Puoi chiamare soccorsi, se ti fa stare meglio, ma non servirà. Tutto è perduto. Non ci saranno oggetti da salvare dopo l’incendio”.

“Nel mondo, credo non riuscisse a starci più.”

“E’ indubbio che i nostri cambiamenti – le nostre piccole o grandi rivoluzioni – provengano dall’esterno, abbiano bisogno di eventi scatenanti, schock addizionali, incontri con persone straordinarie, libri che ci capita di leggere, canzoni. Ma in noi, già abitano milioni di strade. Dobbiamo solo decidere di percorrerle”.

“E’ stata una sorta di scandalo. Siamo finiti sui giornali. Non che fosse successo poi gran chè, ma c’è stata una denuncia e non abbiamo potuto far finta di niente. Lei, era così cara a tutti noi. Nessuno si spiegava come fosse potuto succedere. Ma non creda che abbiamo smesso di amarla, di sostenerla. Anche dopo. E il dopo è stato davvero complicato.”

“Aveva lo sguardo perso nel vuoto. Era chiaro fosse andata fuori di testa. Ho pensato per prima cosa di alzarmi, chiamare qualcuno. Ma ero impietrita.”

– Dottore, ora mi aspetto che lei sappia spiegarmi cosa mi è accaduto.

“Non stava bene. Lo so. Con me parlava, si confidava, a volte, nella sala insegnanti. Mi confondo, diceva. Il mio corpo sbatte dappertutto. E restano lividi di cui non ho memoria. In auto, di ritorno dal lavoro, basta un niente e la tristezza mi aggredisce. Incontrava sul ciglio della strada le badanti che rientravano a casa, la sera. Magliette zebrate attillate che fasciavano i loro corpi sformati di donne affaticate, borse sotto gli occhi, giovani, ma già troppo vecchie. La vita come dovrebbe essere, loro non hanno mai saputo neppure immaginarla. Ma si accontentano, di questa vita che neppure assomiglia a come dovrebbe essere vissuta.

– Lo sa dottore, di cosa ho veramente orrore? Dei cliché. Perché sono i luoghi dove i ruoli vengono presi prigionieri per sempre. Prigionieri delle categorie. Non sono abbastanza. Non sei abbastanza. Sono così stanca, dottore.

“Alla fine, aveva compiuto il peccato più grande, quello della verità, quella che nel momento in cui viene pronunciata diventa affilata, diventa coltello. Le parole, una volta uscite dalla testa, suonano false. Non valgono più, inservibili. E invece. Una volta fuori dal corpo, le parole diventano vive. Diventano vere. Chissà se in quel momento, si è resa conto di aver abbandonato il mondo. Ma era troppo tardi. Da quella colpa, dal tradimento delle parole, quello che ancora non sapeva era che non sarebbe tornata mai più. Da quel momento in poi, avrebbe attraversato la vita muta”.

– Ruth, provi a prendere in considerazione l’idea di smettere di vivere nel dolore. Di punto in bianco, potrebbe decidere di cambiare,. Non le chiedo di cessare di soffrire, solo di cambiare. Smettere di tormentarsi. La vita, questo oscillare di emozioni e di passioni, non ha bisogno di speculazioni. Ha bisogno di essere vissuta. Lo so, le sembra banale. Le faccio una proposta. Le andrebbe di partire, Ruth, ora le andrebbe di partire?

“Sembrava davvero pazza. Aveva cominciato a declamare il sermone della montagna. Io non facevo che pensare che, se fossi uscita indenne da quella stanza, sarei corsa a denunciarla.”

Un giorno, durante un colloquio con la madre di una delle sue allieve, Ruth pronuncia il monologo che la porterà altrove. Ad un certo punto le parole, quelle pensate mille volte, quelle abusate, appaiono trasparenti e dietro il segno si rivela il senso. Forse illusorio, ma ormai è tardi.

“Mi dica, signora, le capita mai di avere giornate in cui non vorrebbe più avere memoria di niente e di nessuno, ma soprattutto non vorrebbe più avere memoria di se stessa? In cui pensa che il punto di non ritorno sia ancora da raggiungere poi si accorge di averlo oltrepassato da tempo?
Vuole che mi definisca? Sono la bestia, l’innominata. La traditrice.
Ma non voglio morire sola.
Sono sempre inquieta, tranne, poi, quando la tempesta è in arrivo. Allora sono incoscientemente calma. Le è mai capitato? E’ assurdo. Ma più il mondo mi stringe, più mi divincolo.
Non so perché le dico tutto questo. Lei non mi è particolarmente simpatica e sua figlia è una che scalda letteralmente la sedia. Una specie di parassita. Nessun entusiasmo in classe, una morta. E’ come se avesse scelto di risparmiarsi la fatica di un futuro.
Dove sta scritto che dobbiamo crescere, che dobbiamo invecchiare. Lei, me lo lasci dire, sembra giovane, ma indovino già le prime rughe che le segnano le estremità degli occhi. Pensa di non aver niente a che fare con me? Arriva un momento in cui il tempo prende il sopravvento. Il sogno muore. E noi con lui. Però ci tengo a dirle questo. A lei e a tutte le madri. Non mitizzate i vostri bambini. I bambini nascono dall’inizio del tempo. La maternità è una casualità, non un miracolo, un fattore biologico, non soprannaturale. I vostri bambini non sono dei, sono il prodotto di una catena fattuale, come i girini. Voi non siete che contenitori. Malgrado questo, è vostro dovere rivendicare il diritto alla rivolta. Non fate dei vostri bambini dei soldati. Gridate questo, agli uomini di tutti i tempi, di tutte le razze. Questo. Nient’altro”.

– Dunque, Ruth?
– Partire per dove, dottore?

 

        

***continua***