Sogni di Emanuela Rambaldi | Dodici. Imitazione di un libro

 

 

Perché è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore.
Agota Kristof – Hier

 

Come al solito la primavera ci coglie di sorpresa.
Ha sempre un che di misterioso essere sopravvissuti all’inverno.
Il tunnel buio che ci ha inghiottito, ci ha rilasciato ancora una volta.
Fuori dal ventre della balena, tornati alla luce. Non incolumi – che ogni inverno imprime segni indelebili – ma insolitamente vivi.
Increduli, verifichiamo la decadenza, i danni irreparabili. Ci facciamo carico di quelli riparabili.

Giselle e Ruth arrivano per prime sulla terrazza.
Guardano le scie degli aerei che aderiscono all’azzurro del cielo e sembrano trasformarsi in nuvole. Per un attimo attraversano l’alone del sole e ne sospendono il riflesso sul mare.
Sussurrano, una dopo l’altra, dando l’impressione di farlo all’unisono. Un tono lieve, da cospiratrici, incredule, divertite, la fresca sonorità di due adolescenti.
– Ruth, tra di noi si cela un talento.
Silenzio.
– Scrittore. Sotto pseudonimo.
Scandito, sillabato.
Pausa.
Silenzio.
– Ruth, è Robert!
– Robert?
– Sono venuti ad intervistarlo.
– E chi?
– Hélène, la ragazza arrivata ieri.
– Sapremo finalmente qualcosa di lui. Siamo insieme da più di sei mesi e non conosciamo quasi nulla.
– Comunque, Helene non è qui per par parlare di lui, ma della sua arte. Dei suoi libri.
– Dei suoi libri?
– Solo di questo sì. E noi…
– Noi?
– Robert ha un progetto.
Ruth si volta verso il mare. Olio in un tripudio di blu.

Marcel e Julie, per caso, salgono insieme.
Robert ed Helene arrivano per ultimi. Lui pare insolitamente impacciato.
– Vi starete chiedendo cosa stia succedendo. E’ ovvio. Vi devo delle spiegazioni. No, non è esatto, ci tengo a fornirvi delle spiegazioni.
Un alito di vento, un sospiro, l’atto fisiologico della deglutizione.
– Sono uno scrittore.
Potrebbero gridare gabbiani. Potrebbero volare aquiloni. Potrebbero partire mongolfiere. Potrebbe morire il mondo. Ormai è detto.

Uno scrittore.

Per un attimo gli sembra di averlo pronunciato con enfasi eccessiva. Come fosse un crimine, un segreto inconfessabile. Come se si trovasse davanti ad una giuria, durante l’arringa finale di un processo per omicidio. Come se dalle sue parole, dal tono della sua voce, dai gesti, dai suoi sguardi, dipendesse la salvezza dell’assassino. E lui, con quell’inizio, l’avesse già compromessa.

Uno fra milioni.

– Conoscete il mio volto, la forma esteriore del mio corpo, la mia voce, la mia inflessione, alcune delle mie idiosincrasie. Qualcun altro, altrove, conosce le parole che ho scritto. Nel mio caso, ho deliberatamente scelto che non ci fosse relazione tra le due percezioni. Ho deciso che esistessero due mondi separati. Perché la libertà di scrivere mi è sempre sembrato qualcosa che si avvicina alla creazione assoluta, e per questo era necessario che io non esistessi.

Marcel sente crescere l’urgenza di muoversi. Lui, che è convinto tutto nasca dal caso o dal caos, ha la sensazione che il suo corpo ora ne sia la prova, un fascio di nervi ed emozioni che fatica darsi un controllo, a concentrarsi sul senso di ciò che Robert sta dicendo, qualunque esso sia.
Giselle e Ruth si lanciano occhiate complici.
Julie osserva con il suo solito languore, una lontananza costante nello sguardo.

– Hélène – che avete già conosciuto ieri – è arrivata qui in seguito ad un accordo preso con me alcuni mesi fa e con un proposito, quello di una lunga conversazione – chiamiamola così – sui miei libri. Ma durante l’inverno, la mia prospettiva è cambiata. E ora le ho fatto una proposta diversa. Dedicarsi al prossimo libro. Quello che non ho ancora scritto. Quello che è certo non scriverò.

Il libri non scritti non valgono nulla.

Marcel sente i muscoli tendersi. Coup de theatre. Decisamente nel suo stile. Vorrebbe scendere in spiaggia, correre, saltare, raggiungere il molo, spingersi più in là. Scrutare gli scogli in cerca di granchi neri. Ma le parole di Robert lo immobilizzano. E noi? – chiede.
– Mi piacerebbe partecipaste, se volete. Come ai giochi che ci propone Giselle. Sarà come raccontarci i sogni, ma ci inventeremo storie. Un esperimento. Helene ha già in mente un soggetto e un paio di personaggi, di cui ancora sa poco. Ma i personaggi sono così, nascono come grovigli che crescendo si dipanano e prendono strade inaspettate. Come i figli.

Un libro sognato.

Conosce ogni conchiglia a memoria, Marcel, ogni guizzo di pesci, ogni schiuma d’onda. Si alza. Ha voglia andarsene e vorrebbe prepararsi a pronunciare la sua ultima battuta.
Guarda Robert con una sorta si inquieta empatia. Poi si siede di nuovo. Si arrende, con un inatteso sorriso di sollievo.
– Come tutto, Robert, anche la scrittura è una questione di ego.
– Concordo, Marcel. Proviamo a mescolare i nostri. D’altra parte, è mesi che sono abituati a frequentarsi.
E’ Julie a sancire l’accordo, nel suo consueto modo di aderire a tutto quello che accade, con la determinazione degli oracoli, unita alla leggerezza dei folletti.
– Sarò io il vostro pubblico. Fatemi commuovere, tremare, battere il cuore. Staccatemi da terra. Non cercate di strafare però. Sarò comprensiva, ma non ingenua. Applaudirò solo se necessario.
E voi, nell’ultima pagina, vi ricorderete di me.

Ogni scrittura ha bisogno di dediche, anche quella che non esiste ancora.
E’ ineluttabile. Si scrive sempre per qualcuno.

         

***continua***