Sogni di Emanuela Rambaldi | Diciassette. Rimini.

     

Un calore opaco, di prima mattina, che ancora richiede abiti.
Quelli di Giselle sembrano buttati alla rinfusa, gli uni sugli altri. Apprezzabile, della terrazza, è anche la mancanza di un’etichetta, di un codice di abbigliamento, oltreché di comportamento.
Arriva sempre per prima, Giselle. Il sorgere del sole è una malìa alla quale non rinuncia.
Oggi è un’alba trasparente. Scivolano gli aerei in silenzio come enormi pesci dalle silhouette dorate. Lasciano scie biancastre che ricordano i filamenti sottili dei girini.
Robert sale le scale senza far rumore, ma lei lo sente, lo sente sempre.
Poi, entrambi di fronte al sole, resta la meccanica del cosmo, i cicli vitali, il silenzio, i respiri.
– Ruth?
– A passeggiare – pausa forzata, per enfatizzare – con Paul.
Giselle si alza dalla sdraio e va verso la balaustra. Li cerca. Non li vede.
– Pensate possa accadere che alla fine Ruth e Paul si ritrovino?
La freschezza di Giselle lo commuove. Robert vorrebbe dirle che può accadere di poter essere, per una volta, semplicemente fortunati. Decide di sorridere.
Al sorriso aggiunge uno sguardo complice, accondiscendente, in contrasto con quello che sta per dire, lievemente sarcastico, comme d’habitude.
– Ritrovino? Credete si fossero già incontrati, in un’altra vita, e che poi si fossero persi?
– Potrebbe essere. Nella vita non facciamo che perderci.
Giselle sorride a sua volta. Torna a sdraiarsi. Continua.
– Guardare il mare crea una specie di dipendenza. E il calore sulla pelle è un piacere così intenso che vorresti non finisse mai. Dicono che il sole sia come una droga, che scateni le endorfine. Uno se ne sta sdraiato sotto il sole e non vorrebbe più fare nient’altro. D’altra parte, la gioia vuole se stessa.
Allunga il collo, imita il gesto della tartaruga che emerge dalla corazza, recita.
– Eppure, Robert, lo sapete che, statisticamente, questo è il periodo dell’anno in cui ci si uccide di più? Il maggior numero di suicidi non accade d’inverno, come ci si potrebbe aspettare. Accade in primavera. Sapete perché? Perché ricominciare spaventa. Perché non tutti hanno il coraggio di buttarsi alle spalle il proprio inverno.

Per un po’ è solo tepore, silenzio, pigrizia, mare, gabbiani, cartoline da un mondo inventato, la macchina per turisti che non si è ancora messa in moto, non ancora.
Robert attende che la voce di Giselle ritorni.

– Che faranno Robert, gli amanti del vostro libro, quando smetteranno di litigare?
– Non so, Giselle, forse tutto il libro è un lungo combattimento – un gettarsi addosso l’incapacità di essere stati abbastanza forti da essere se stessi – e quando sarà finito lo scontro sarà finito il libro. O forse gli amanti si spegneranno in chiacchiere, pettegolezzi sussurrati da bocche deturpate dalla soddisfazione di vedere come muore anche la più solida delle coppie – chi poteva immaginarselo – così uniti – così belli – così tutto – ma niente è eterno e nessun amore è infrangibile. O forse la loro disputa durerà per sempre e continueranno, per inerzia, per pigrizia, per viltà. Perché l’idea della morte prende il sopravvento, ad un certo punto, e non si ha più il coraggio di scegliere di vivere.
– Raccontare proprio la fine di un amore, Robert, è triste.
– Ogni fine ha un suo inizio altrove, Giselle. E poi, la fine delle cose è l’unica che mi sembra di conoscere, e io scrivo solo ciò che conosco.
– Non sarebbe bello, Robert, che ci fosse la possibilità di una deviazione, al posto delle fine vera, una fine diversa, che sorprenda, magari una fine che alla morte di un amore non lasci solo la parte cattiva di noi stessi.
– L’essenziale, Giselle, alla fine, è l’assenza di rimpianti.
Rien. Je ne regrette rien. – Giselle canta e ride, e la sua risata squillante è contagiosa. Robert, la segue, inaspettatamente, e ride con lei. Quando si ferma, la guarda come se la intravedesse attraverso un velo, ma la conoscesse da sempre.
– Nel mio mondo ideale, Robert, io non combatto più. Ho abbandonato la lotta, che nella mia vita non è mai stata una scelta, ma piuttosto una necessità. Me ne sto al largo, remi in barca, a sondare il mare aperto. Fino a che il sole non cala. E io rientro a riva. Il mare è calmo. Nessuna tempesta, mai. Tutto è dato come sovrappiù. E mi permetto di essere felice.

D’improvviso, nessun aereo crepa più il cielo. Una coperta azzurra si poggia su tutti gli sguardi obliqui, gli occhi umidi, le mancanze.

– Sapete, Giselle, perché prendo un sonnifero prima di dormire? Non è per riuscire ad addormentarmi, no. E’ per non ricordare i sogni, al mattino.
– Come diceva il film di cui parlava Ruth? Il sonno ideale è il sonno senza sogni. Una specie di morte.
– Sì, ma una morte dalla quale ci si sveglia. I sogni mi stancano, Giselle. E’ come vivere due volte, senza diritto all’oblio. Nella mia vita ho sognato tanto e mi sono ricordato troppo. I sogni li ho scritti, li ho spinti a forza nei diari, nei miei libri. Li ho fatti sognare ai miei personaggi. E così pensavo di liberarmene. E invece è stato un modo per incollarmeli addosso definitivamente.
– I sogni si scrivono per ricordarli.
– É che il tempo passa, Giselle, e invecchiando il ricordo non mi interessa più Ho smesso di essere l’uomo che si volta indietro. Tutto il passato, non mi sembra valga la pena. Sapete cosa vorrei davvero, Giselle? Non ricordarmi più niente. Essere nato qui, ora.

Il silenzio è un mantello, soffice, posato sui corpi, quando non si ha bisogno d’altro che di particelle, vive, luminose, sulla pelle, sulle palpebre, sulle labbra. In silenzio si realizzano i capolavori. In silenzio, si distillano gli amori.

– Dunque, Robert, anche voi avete la vostra lacuna, la vostra assenza, come tutti noi. Avete smesso di scrivere e dopo tanto nascondervi, alla fine è arrivata Hélène. E qui avete trovato la vostra Sabaudia.
Robert si volta verso di lei, sorpreso che quel nome spalanchi all’improvviso tutte le porte chiuse dei suoi destini precedenti senza che questo provochi il solito dolore, ma lasciando piuttosto la sensazione che si prova nell’abbandonare se stessi.
– Quale potere hanno i nomi, Giselle. Quale potenza le parole, divinità attraverso le quali passa un vento caldissimo che schiude ogni varco e rende possibile ogni passaggio.
– Robert – dice Giselle – e le sembra di avere la voce roca di chi parla dalla fine del mondo, dalla fine del tempo – regalatemi un sogno, uno di quelli che non avete dimenticato, uno di quelli che non trafiggono, ma che rimangono.
Robert rimane sospeso, indeciso, poi capisce che la vita si perde, comunque, in mille rivoli, tanto vale dare sostanza alle parole.

– Un amico mi aveva dato un passaggio in auto. Guidava nella nebbia, azzardava sorpassi audaci, zizzagava nel traffico, incurante dei rischi, ma io ero stranamente tranquillo, al suo fianco. Poi, all’improvviso, si apriva davanti a noi una giornata limpida e un paesaggio marino di un azzurro accecante. Avrei dovuto indicargli la strada, ma mi distraevo e mancavo la mia destinazione. Lui non sembrava farci caso. Continuava a guidare, tra palazzi altissimi, semafori e passaggi a livello. Finché davanti a noi non è comparso il mare.
Io ho esclamato proprio così, il mare!, come un bambino, pieno di stupore.
E lui ha fermato l’auto proprio sul ciglio della strada e davanti, sotto di noi, sembrava esserci lo strapiombo. Ho temuto che l’auto non fosse ferma del tutto e noi ci saremmo finiti dentro.
É solo un effetto ottico, aveva spiegato lui.
Avevo alzato lo sguardo alla baia, che si stendeva placida tra i grattacieli e le case. Decine di barche a vela la attraversavano silenziose.
C’erano due donne, sdraiate sul sedile posteriore. Si erano svegliate. Una di loro era l’amore della mia vita, un desiderio così potente che sarei morto, se mi avesse chiesto di farlo. Si era alzata a sedere e con tutta la meravigliosa innocente allegria di cui era capace, aveva gridato il mio nome. L’aveva fatto con un’enfasi che solo lei possedeva, con tutto l’amore che solo lei conosceva: Robert, siamo in Australia!
Mi ero voltato. L’avevo desiderata come se sapessi che quel mio sguardo sarebbe stata l’ultimo. L’avevo guardata con la voglia di prenderla, con la voglia di piangere, con la voglia di dimenticarla, l’avevo guardata perché quell’immagine, di quella sua bellezza, fosse mia per sempre, almeno quella.
É Rimini. Avevo detto. É Rimini, amore mio.

 

***continua***

 

Mi è apparso Sogni come la visione di una pozza sul marciapiede sconnesso di una via di periferia, l’acqua inaspettatamente cristallina, forse il riflesso di un cielo azzurro lontano dallo sguardo.
Dal centro si diramavano esili rivoli. Ogni personaggio prendeva vita dalla stessa origine, figlio di un’unica sorgente. Visto dall’alto poteva assomigliare ad un sole blu.
A volte la vita conduce altrove, per questo Sogni si è interrotto.
Ora riprende a scorrere, perché capita che nella vita i sogni ritornino. E anche la scrittura.
(er)