A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Mi nasce una poesia al giorno che mi toglie il respiro (alcune domande a Gabriella Sica sul suo ultimo libro Poesie d’aria, edito da Interno libri, 2022, e tre poesie)

 

La sua scrittura è ben radicata nel presente e tuttavia vi si affacciano spesso figure della mitologia greca: Demetra, Dafne, Minerva e Apollo. Segno di una continuità mai interrotta? Invito a non dimenticare la forza del mito?

Fin dall’inizio è stata la poesia a rivelare l’esistenza degli dèi, a spalancare agli uomini il mondo oscuro del sacro. Già durante i primi studi scolastici ho letto di dèi che vivevano nell’Olimpo e poi partecipavano, schierandosi apertamente, alle azioni degli uomini e delle donne sulla terra. E certamente gli dèi vivono tra noi, sono archetipi di donne e uomini e la poesia può parlarne ancora, rivelarci i loro segreti. Demetra e Persefone sono da sempre le due figure centrali, la madre e la figlia, della mia fantasia. Prima le ho personificate in madre e nonna, dopo in madre e figlia. Minerva che nasce dalla testa del padre è solo l’avvio a un destino, è un inizio, ha a che fare con la ragazza che non si è ancora pensata come figlia della madre. Le dee antiche sono fecondatrici di pensieri e moti delle donne, utili in questo tempo in cui ancora una volta si ritrovano calpestate e sminuite dalle regole di una società fondata e organizzata dagli uomini. Tutto questo i greci l’avevano già affrontato.

    

Lei scrive che “esistono poesie / di umane parole / che affabili parlano con tutti / che hanno le mie fattezze piane / oneste come il pane / come me / non riescono a darsi un certo tono”. È questa la sua (bellissima e condivisibile) dichiarazione di poetica?

Amo la semplicità, è qualcosa che si ottiene dopo aver attraversato in vario modo  l’inferno, e poi l’ho conosciuta nell’infanzia. Era la semplicità di un gesto d’amore nella fattura di un piatto, o la preparazione del pane in un forno a legna, o di un contadino che coglie una pianta al culmine della sua crescita. La semplicità a volte è anche spiazzante, neanche lei riesce ad essere davvero semplice. In questa epoca schiacciata su parole inutili e vanesie che vogliono essere insensate e divertenti, che scaccia la poesia dai luoghi pubblici perché fastidiosa o troppo vera, e non la vuole, allora riemerge come la fenice. Sì, la poesia è come la fenice, e quando muore perché muore un poeta o perché pare più che mai misconosciuta, eccola che risorge, magari in un’altra forma. Qualcuno tenta la strada della poesia pop ma non so quanto possa funzionare.

 

Anche dal punto di vista stilistico si avverte a tratti un’atmosfera da racconto mitologico, per esempio nelle poesie Due fiere, all’inizio della raccolta, sebbene il testo proceda con andamento e linguaggio quotidiano, quasi giornalistico, ritorna lo spirito di “questa perpetua Iliade quotidiana”. La classicità è nelle nostre origini e non dobbiamo dimenticarlo?

Queste due fiere, che all’inizio erano poi tre, sono i totem o gli spauracchi animali che fanno da guardia all’ingresso nella selva oscura, in un involontario omaggio a Dante. Ma soprattutto suggerisce una comunanza perduta con tutte le creature, vegetali e animali, ben nota invece al mondo contadino d’un tempo, figure naturali che abitano la madre terra o il cielo immenso con le sue costellazioni. Nella poesia del cervo c’è l’unità simbiotica tra donna e animale, tra donna e natura, o forse uno sdoppiamento in totale empatia, come in uno specchio. Nell’antico c’è una traccia di paradiso distrutto che sopravvive nonostante le nostre città siano diventate scenari infernali, dove l’uomo a fatica respira.

 

Poesie d’aria è un bel titolo che mantiene le promesse, “la poesia d’immacolata aria / imbandita tra le nuvole in cielo”. Nel bellissimo saggio Respirare. Caos e poesia, Bifo scrive: “Il senso di soffocamento predomina ovunque..” 

Certo all’inizio, quando scrivevo queste poesie e all’improvviso mi è piombata addosso, come capita, la malattia, c’era la mia voglia di respirare, respirare e basta, insomma vivere. Perché l’aria è una sineddoche per indicare la vita stessa: senza aria non si vive. Nel libro ci sono altre sineddoche, per esempio i capelli al posto della malattia. E l’aria è dunque corpo. In un mio continuo desiderio di trovare un’alternativa a questo titolo che c’è sempre stato, il massimo che avevo trovato era: Questo è il mio corpo. Ma non mi piaceva, perentorio e senza un tono. Poi ho pensato che poteva essere: Questo, vi prego, è il mio corpo. Ma è sempre tornato Poesie d’aria, in cui aria figura come urgenza del corpo e della poesia, una ricerca di levità, di ritmo, di uso parsimonioso delle parole. Questa urgenza d’aria si è estesa a tutti, è stata fisica con il Covid e con l’inquinamento generale, e poi psicologica ed etica con la guerra e in una violenza che si è estesa ovunque, a cominciare dall’interno delle famiglie dove le vittime sono drammaticamente le donne e i bambini.

 

Dunque i versi: “altro non posso che coltivare aria / ariosa per respirare luce luce luce” sono una risposta al senso di soffocamento?.

Sì, soffochiamo a volte, soprattutto nella città che tanto ho amato. Mi vedo come ariaiola, che però invoca la luce, forse al passaggio della soglia, verso quell’al di là immerso nel buio. Dopo l’aria e la vita, c’è l’assenza d’aria e la morte.

 

La sua è una poesia con vocazione narrativa che racconta anche i luoghi: Milano, Venezia, Porto Ercole, New York e altro ancora; ma è sempre Roma nel cuore: “solo l’aria vola leggera vola qui a Roma”. Che rapporto ha con la città in cui vive da tanto tempo?

Per me lo spazio è il tempo, il momento in cui il tempo, con cui combattiamo quotidianamente, prende vita e colore dai luoghi, dalle città vissute. Milano è stata sempre una meta, per ragioni diverse, letterarie-editoriali e anche familiari, e qui si distende più che in altri libri. L’ho immaginata in una recente poesia, da lontano, fronteggiare la peste-Covid, qui immagino Montale (poeta che non ho troppo amato, se non per Satura, ma che continua a bussare alla mia fantasia) che si ferma davanti a un negozio di coltelli. Chissà che non raccolga un giorno le poesie milanesi. Ma in questo libro ci sono anche viaggi immaginari, viaggi fatti con la mente seguendo le orme di altre persone o mie d’un tempo passato. Roma è la mia città, il mio corpo si muove e palpita nella città da sempre. C’è nel libro una poesia che comincia così: “Roma è una città complessa di strati / e sotto tanti altri strati”. Ecco, mi è venuto in mente che questi due versi spiegano la mia stessa esistenza, fatta a più strati proprio come Roma. Spiegano me e questo libro in particolare che è fatto a più livelli. Stratificato delle diverse vite vissute, delle persone incontrate e amate in un preciso arco di tempo.

 

Ricordo un poeta austriaco, Gerald Bisinger, che ad ogni suo compleanno si regalava una poesia. La poesia del 24 ottobre 2007 (che offre bellissimi versi e si conclude così: “alla fine non c’è proprio niente che sia un vero disastro”) è un caso isolato?

C’è sottinteso nel libro il tema della ciclicità della vita, dei mesi che ritornano come delle stagioni. Una parola che viene dal latino stationes ci porta due parole in contrasto: il viaggio e la sosta. Ecco le stagioni come stazioni per prendere un altro treno. Il compleanno è una scansione rituale del tempo, ma anche i capodanni lo sono, e da questo particolare giorno, di fine o inizio anno nuovo, ho scritto due “poesie augurali” in cui nei panni di un augure antico, magari un’etrusca aruspice, mi chiedo cosa ci porterà l’anno nuovo e soprattutto se ci porterà la salute che è stata minacciata. Perché il filo sotterraneo del libro è la vita interrotta dalla malattia, un ciclo naturale spezzato e davvero la scoperta di non essere in salute mi ha portata a interrompere il racconto dei dodici mesi dell’anno in Corona interrotta dei mesi, a deviare istantaneamente un dialogo familiare tra madre e figlio diciottenne, ma non la vita che continua nonostante tutto. La malattia non è facilmente comunicabile, segna un trauma personale ma anche generale. Esporsi trasforma il corpo (malato) in un magnete sacrificale di bene o di male. La poesia la può raccontare, perché la malattia va raccontata, ma al passato, può diventare dunque argomento di poesia, e questo è già importante.

 

“Cosa altro faccio se non il lavoro dei contadini / piantare nel campo-pagina semi aspettare i frutti”. Questi versi mi riportano all’indovinello “Se pareba boves, alba pratalia araba…”.

L’atto del coltivare e quello dello scrivere hanno molte analogie e sono quasi implicite, almeno nel mio sentire. Il rettangolo dell’orto o del giardino e della pagina bianca sono simili alla pergamena conservata a Verona dove fu trascritto quell’indovinello che mi ha sempre ispirato, quasi un timone dritto della mia scrittura.

 

Lingua scialle è una poesia in cui lei dice a proposito della sua scrittura: “ho il bene mio più entusiasmante / crescente prodigioso…”. Per lei la poesia, oltre a “ricreare l’unità del mondo”, ha la funzione di celebrare la lingua?

Intanto c’è implicito il sentimento della poesia salvatrice in tanti difficili momenti della mia vita. E poi ci sono nel libro poesie che riflettono su sé stesse, che sono meta poesie. E la poesia non è che la proiezione del corpo dell’autore sulla pagina. C’è una poesia intitolata Il corpo che scrive. I poeti tengono in piedi con il proprio corpo (quando c’è, e quando non ci sarà più con il corpo delle proprie parole) non solo la poesia che non pare più necessaria, o così si vuol fare credere, ma anche e soprattutto la lingua. La poesia è una prova o un esercizio dello stato attuale della lingua. Ogni singola poesia è una specie di magico misurino della lingua.

 

immagine dal film di Federico Fellini, La dolce vita

 

Lingua scialle

 

Quando mi avvolgo nel mio scialle

e mi stringo e mi riscaldo

e lavoro nella casa – corpo

in quel minimo punto di vita

come fosse l’intero cosmo

quando raccolgo le cose nella mente

fatti e figure care

che si affollano e premono in me

per farsi vive

e silenziosamente le allargo

perché la mente è grande come il cielo

a vocali e consonanti

come petali di immensa corolla

intrecciando sillabe e rime a pelle

sradicando dalle vene la parola

non mi sento povera e diminuita

con il cilicio dell’io

rinasco di nuovo come una foglia

affioro come un pesce dal mare

ricreo l’unità del mondo

in quel vasto punto di vita

ho il calore e la forza e la luce

nel tremore incessante

ho il bene mio più entusiasmante

crescente prodigioso

come la luce lunare nel cielo nero

è il ruotare di te lingua scialle

calda come un caldo luogo materno

è il felice cosmico turbinare

a trarre da gravità gioia

è il mio ballo sfiancante

con le intessute le luminose

variabili lettere scintillanti

che cantano cantano

che attingono luce dalle stelle.

*

 

 

Mi nasce una poesia al giorno

che mi toglie il respiro

certo non so da chi sono istruita

da quale sconosciuta musa

mi viene una febbre un furore

quello che non avrei mai pensato

che si dice capiti ai poeti

certo è un infinito stupore

quando scopro

che ne è nata un’altra

una dopo un’altra

che piano piano esistono poesie

di umane parole

che affabili parlano con tutti

che hanno le mie fattezze piane

oneste come il pane

come me

non riescono a darsi un certo tono.

*

 

 

Ariaiola

 

Scrivere avrei voluto belle ariette

leggere e briose

per un amore sempre più crescente

come cresce la luna

ma accumulo aria

vango e annaffio aria

dipingo pensieri in aria

non si mostra non ha luogo è infinita

la poesia d’immacolata aria

imbandita tra le nuvole in cielo

dove danzano le ninfe del vento

ho in mente ossigeno sole e luce

per nutrire parole e corpi

come una pianta che assorbe la luce

altro non posso che coltivare aria

ariosa per respirare luce luce luce.

*