Osservatorio Poetico di Sonia Caporossi | Nazim Comunale
L’autonauta della cosmopista
I.
Sangue diverso irrora i canali
Qualto Bruscoli Allocco Fangacci
l’acqua piovana dei nomi di ieri
L’Apparita Le Maschere
a destra della nostra disattenzione
SIT Società Italiana Tecnospazzole
dispositivi, nuova nebbia
zona degobbizzata Compiobbi Ellera
impero edilizio chiesa
è già tutto scritto sui muri
sete di secoli buio di chiostri
Sieci Doccia Loppiano
la tua polvere insiste nei miei margini
Olivole Ficulle
immagina la penombra
di un’altra canzone
Tre Berte Bretella Neruda 51
l’Italia è un campo di girasoli
a fine di luglio
II.
Pietrasecca, Carsoli, Pescorocchiano
disabitudini, attitudini
Petrella Liri, Cappadocia
i battiti dispari della solitudine
Oriente, Sfratati
sarai ancora chi ascolta voci?
Broccostella, Capacqua, Acquafondata
dovevamo essere nitidi
San Pietro infine, Campo Zillone
scintillare sugli stipiti
Benvenuti a Provenzano
rapido bagliore di resa
Tora e Piccilli
guida per non riconoscere i tuoi santi
Raviscanina, Sant’Angelo d’Alife
la santa estasi dei nomi
ristorante tipico uscita Dragoni
una contrada sacra e derelitta
Fiume Titerno
non ci sono carezze
in questo inferno pallido
Limatola Amorosi
e non ti salveranno
queste inutili prodezze
Castelvenere, Guardia Sanframondi
il suono di altri universi
Cusano Mutri, Solopaca Scalo
il ritmo in sparsi versi
Camposauro, Paupisi, Malevento
prendere il mare nel 1897
Scandriglia, Toffia, Pozzaglia
l’acqua negli occhi agli emigranti
Santa Restituta, Le Rosce
le lucertole domesticano gli ulivi
Santa Luce, Valle Falsa
l’Italia è una domenica di vento.
III.
L’Italia è strada sterrata
mare visto dall’alto
oro fuso nella campana, anonimato
soldati crocifissi in altra luce
vento cattolico, meridiano
lenta l’eclissi di un padre
e non saremo orfani ancora
se in questi chicchi di rabbia
la risacca delle madri
io non appartengo a nessuno,
a nessun luogo
la mia luce è un alibi
sabbia di lento rosario
se poi sarà altra grandine, grandine
figli, figli, figlie settimine
ti chiamo diaspora.
IV.
Ora di mettere sfortuna
in una nuova poesia
Caprafica Carunchio Montemitro
darò le spalle un’altra volta al sole
e il sangue di battaglie perse farà sacro il vento,
disseterà il mio furore
Capizzo paese della fede, Club 7000 caffé
Paupisi, il paese è un nome
lo chiudi sulle labbra
Schiavi d’Abruzzo, Pietracuba, Pietrabbondante
oceani, oceani, decadi di anonimato
nessuno scafo sonda i miei fondali
dinastie storte all’ombra dei vicoli
Contrada Corpodicristo
le poche rime rimaste, ciò che resta delle mie ali
quanto latita
il sonno colpevole dei padri
Gorgoglione: ambra, insetti, nazione dei ventricoli
Viggiano, Teggiano, Caggiano
“A chi sì figl’ tu?”
viso di volpe rosso malpelo
a Galdi degli Alburni
la tua età indicibile, il muto tuo rancore d’inferno
non reclamano nemmeno un briciolo di attenzione
mi dici con gli occhi “Da dove vieni? Non ti ho mai visto”
Contrada Scannacapre
Contrada Femminamorta
nella foschia del mio cuore
la terra di un vecchio rimorso
si apre come fiore d’altrove
Colle D’Odio, Atri, Manzitti
Alessandro canta “Non c’è margine d’amore”
ottimo kebab Marotta
Pizzeria Lavori in corso
L’Italia è uno specchio appannato,
una curva a gomito, un ansia d’inverno.
Nazim Comunale è nato a Guastalla (Reggio Emilia) nel 1975. Docente di scuola secondaria, giornalista musicale per Il Manifesto, Blow Up, Il Giornale della Musica. Sue poesie sono apparse sulle riviste Dea Cagna, Versante Ripido e on line su Interno Poesia, Diario di passo, Ipoet, Poetarum Silva. Suoi testi sono stati tradotti in Venezuela e negli Usa. Ha pubblicato Aguaplano (autoproduzione, 2015), Lei Oceano (Terra d’Ulivi, Lecce, 2017), Chiamala febbre (Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia, 2020) e Tu, ira (Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, 2021), opera vincitrice del Premio Pietro Carrera 2021. Presente nella collettive Non ancora silenzio (NMZ edizioni, Ravenna, 2019) ed in Emilia Romagna (Bertoni Editore, Perugia, 2020). Ha avuto la menzione speciale nel 2019 al premio Raffaele Crovi.
Un viaggio in autostrada, nella sferzante freschezza del vento che scompiglia i capelli e colpisce il gomito affacciato fuori dal finestrino. Un percorso che attraversa l’Italia meno nota, la sequenza quasi amorfa di paesi e frazioni immersi nel sole e nell’ombra, tra l’avvicendarsi repentino e cinematografico di cartelloni, insegne pubblicitarie, autogrill, mentre scorrono strade provinciali, statali, autostrade e sentieri ininterrotti come il fluire indefinito dei pensieri. Un nostos di autoriconoscimento che in parallelo si affaccia, si manifesta, prende piede e alla fine possiede il viaggiatore o, meglio, l’autonauta di quella cosmopista che è il mondo, e che, per giungere al riconoscimento di una sensatezza nell’archetipo del viaggio in quanto tale, deve percorrere dapprima l’inferno microcosmico del proprio paese natale, tornarci, riconoscerlo come luogo d’origine. Questo quadrittico inedito di Nazim Comunale tocca nel profondo il cuore del nostro tramonto mediterraneo, del nostro amore/odio nei confronti del Bel Paese e, quindi, di noi stessi. La questione dell’appartenenza e delle radici emerge dal fondale melmoso di una strada sterrata, la più accidentata di tutte: quella che conduce alla tensione identitaria pur nella diaspora della migrazione, pur nel disamore, pur nello smarrimento; come quando ci si guarda dallo specchietto retrovisore e non si vede altro che la nebbia o l’ammasso informe dei moscerini incollati sul vetro, metafora del formicaio occidentale, poco prima di imboccare la “curva a gomito” definitoria e definitiva dell’esistenza.
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