A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Ritorna. Scegli tu l’ora (alcune domande a Raffaela Fazio su Gli spostamenti del desiderio, Moretti & Vitali, 2023, e quattro poesie)
Il primo motivo di fascinazione del tuo libro è il titolo. Come lo hai scelto? Inoltre, qual è il tuo rapporto con i titoli in genere?
Un libro inizia dal titolo. E il titolo è come una stretta di mano. È importante che sia onesto, ovvero aderente al contenuto del libro (non semplicemente “a effetto”), ma anche coraggioso ed evocativo, suggestivo per quanto possibile.
Come ho scelto “Gli spostamenti del desiderio”? Ho attraversato periodi difficili, per motivi diversi, e sempre più mi sono resa conto che senza desiderio non si vive, al massimo si “funziona”. Il desiderio è ciò che dà senso e valore. A differenza di quanto diceva Cartesio, concordo con tutti coloro che affermano: “desidero, dunque sono”. Ma il desiderio è un’arma a doppio taglio. Se punta verso la stella giusta, ci aiuta a mantenere la rotta, a riconciliarci con noi stessi e con gli altri. Se si perde in ciò che non è essenziale, rende il nostro passo più faticoso. Attraverso il desiderio, leggiamo e rileggiamo il reale e, di conseguenza, ci muoviamo nel mondo. Il desiderio non è mai statico: si sposta, e con lui ci spostiamo anche noi. In questa fluidità si iscrive anche (come sotto-tema della raccolta) il confine poroso tra sogno e realtà.
La prima sezione del tuo libro, “Black-out”, è pregna di autobiografismo, ed è forse la sezione, insieme con “Materia oscura”, più emozionante e coinvolgente. Sei d’accordo?
Capisco perché lo dici. Là c’è molto di me. Le due sezioni che menzioni rispecchiano i due momenti più bui che ho vissuto negli ultimi anni. Due strappi inattesi. L’esperienza del lutto e l’esperienza della violenza. In entrambi i casi, sono dovuta scendere in luoghi sconosciuti, ho tentato di preservare ciò che era benefico, allontanando ciò che non lo era, senza compromessi, ho accettato di non comprendere e di non essere compresa, ho fatto i conti con quello che tuttora percepisco come ingiusto, ho ricalibrato molte cose in me. La sfida più difficile è stata mantenere accesa la fiducia. Farlo, però, è un esercizio imprescindibile, perché senza fiducia, come senza desiderio, non si riesce davvero a vivere.
Nella tua poesia spira un’atmosfera che potrei definire di ambizione terapeutica, si tratta di una sensazione soggettiva? o c’è qualcosa di rispondente al vero?
Sì, per me – e sottolineo “per me”, dato che non intendo entrare in definizioni teoriche – la poesia è una terapia. Certo, so che non guarirò mai del tutto, perché dalla vita non si guarisce. Ma la poesia può aiutare ad amare le cose in modo diverso. Anche quando ero bambina, la scrittura mi permetteva di sostare, di mettere a fuoco, di scoprire e di scoprirmi, di inventare di continuo la risposta che volevo dare al mondo. Allora non avrei usato la parola terapia. Adesso sì. Ma è una terapia che, nonostante i vari colpi e contraccolpi, conserva parte di ciò che era: un gioco, un gioco serissimo e, allo stesso tempo, capace di fermarsi. Questo significa: scrivo quando ne sento il bisogno; quando non ne ho bisogno non scrivo. Non ho mai avuto ansie legate al cosiddetto “blocco” dell’ispirazione, perché non credo nell’equazione: identità uguale scrittura. E i canali che ci legano alla vita sono tanti, anche se la poesia può rappresentare il canale privilegiato.
Le sezioni che costituiscono l’intera raccolta appaiono a tratti tra loro eterogenee. Qual è l’elemento che tiene insieme il tutto?
L’eterogeneità delle sezioni corrisponde all’eterogeneità della “materia grezza” che ha dato corpo al libro, in un arco di tempo di circa cinque anni: vicende personali ed input provenienti dall’arte, dal cinema, dalla scienza, dalla letteratura, dal mito. Ma l’elemento che tiene insieme il tutto è naturalmente il desiderio, inteso sia come forza attrattiva che accorcia le distanze, sia come datore di senso e di orientamento. Tutto il libro è in fondo un modo di articolare la “natura del desiderio” e il “nostro stare nel desiderio”. Poiché il desiderio influenza il nostro sguardo sul reale, e da esso è a sua volta influenzato, per i titoli delle varie sezioni ho scelto termini che alludono proprio alla visione: I. Black-out; II. Proiettivo; III. Match Cuts; IV. Materia oscura; V. Retina inversa; VI. Tra occhio e parola. In questo libro, infatti, fa da collante anche la visione, alimentata dal desiderio e alimentatrice del desiderio: la visione che di colpo si ottenebra o che si deforma, la visione che arriva come un’intuizione improvvisa o alla quale si giunge col tempo, ripulendo lo sguardo, la visione che spinge infine a prendere una posizione nel mondo. Giustamente, Alfredo Rienzi scrive nella prefazione: “L’atto della visione… è centrale nella raccolta”; “Il vedere esteriore si completa con l’osservazione interiore”.
Nell’ultima sezione, presti la voce a personaggi storici che hanno svolto ruoli fondamentali nel loro tempo. Qual è la caratteristica che più li accomuna? Forse il verso in cui Lizzie Velasquez afferma: “Cosa ci definisce? / la luce in cui la lotta / pian piano ricomincia. / Non quella in cui finisce.”
Ti rispondo con un termine: parresia. Il desiderio che ispira ciascuno di questi personaggi è la parresia, ovvero il desiderio di rendere conto del “vero”, per quanto scomodo (e in alcuni casi fatale) possa risultare. “Tra occhio e parola”: la visione qua vuole diventare parola, ma non una parola qualsiasi, una parola che tenta di fare luce, in mezzo a tutto ciò che svia e confonde e tende all’inganno, persino all’auto-inganno. D’altronde, la poesia con cui ho iniziato la raccolta esprime proprio la ricerca di una “materna chiarezza”. E terminare il libro con questa sezione è un po’ il mio modo di ricordare (anche a me stessa) che la cura della parola (ovvero l’esercizio praticato dalla Poesia stessa) dovrebbe essere sempre legata al “vero”, inteso non solo come oggetto di conoscenza, ma anche e soprattutto come principio benefico e creativo. La testimonianza di vita più forte riesce a offrirla chi rimane fedele a questo “vero” con il proprio agire e con il proprio interagire. Una simile testimonianza comporta però una lotta costante, un esercizio di vigilanza e di perseveranza, di limpidezza e di generosità, in cui ciò che è essenziale non è vincere, ma sapersi rialzare.
“Rimanere al posto di guardia” è il titolo che Alfredo Rienzi ha scelto per la sua acuta prefazione, un titolo ispirato ad alcuni versi finali della sezione “Tra occhio e parola”, nella parte dedicata a Etty Hillesum. I versi per la precisione sono: “Mi raccomando, amici: / rimanete / al posto di guardia…” Che significato hanno per te questi versi?
A questi versi ne aggiungo altri, per completare la frase: “… rimanete/ al posto di guardia/ se in voi, nel profondo,/ ne avete già uno.” E mi riaggancio a una parola già menzionata: vigilanza. La visione come vigilanza. Etty Hillesum risponde alla disumanità della guerra con un invito a tenere sveglia in noi la parte più umana. È un incoraggiamento allo scavo introspettivo, alla pulizia della mente e del cuore: per cambiare qualcosa nel mondo, bisogna iniziare a cambiare qualcosa in noi stessi, senza cedere alla tentazione dei sentimenti più facili, come il desiderio di vendetta o, al contrario, di autopunizione. Credo che l’esortazione di Etty possa valere in ogni tempo, in ogni circostanza: rimanere al posto di guardia, non con diffidenza e sospetto, ma con lucidità e fiducia, sapendo che niente potrà cancellare quello spazio di libertà interiore dove matura il desiderio più forte, il desiderio che non è solo aspirazione, ma è trasformazione già in corso.
due poesie da Black-out:
Quante volte ci siamo lasciati
mille volte di cui una
prima che morissi
un’altra – la più dura – alla notizia che eri morto
adesso che vorrei
lasciarti in altro modo
vedi, non mi è concesso
dire addio al tuo corpo
allora
ti lascerò lo stesso
farò da sola il mio rito privato
sarà il punto messo dopo il verso
per te non scrivo più, sarà finita
(ma la punteggiatura
come il cuore
segue un altro corso)
° ° ° ° °
Ritorna.
Scegli tu l’ora.
Nulla occorre che tu mi prometta
o che accada.
Ma aspetta
che ti riconosca.
Sii vero. Ritorna
perché riesca a lasciare
che vada
° ° ° ° °
due poesie da Tra occhio e parola
(Etty Hillesum)
(19 febbraio 1942)
Questa guerra ci offre
una sola lezione.
Non vendetta
non altrove il riscatto:
in noi stessi
estirpare quel buio
di cui soffre la terra
quel male
che si vede nell’altro.
° ° ° ° °
(3 luglio 1943)
Mi raccomando, amici:
rimanete
al posto di guardia
se in voi, nel profondo,
ne averte già uno.
Per me non siate infelici.
Raffaela Fazio è nata ad Arezzo nel 1971. Dopo aver vissuto all’estero per dieci anni, si è stabilita a Roma, dove lavora come traduttrice. È autrice di pubblicazioni nel campo dell’iconografia cristiana e di varie raccolte poetiche. Si è occupata della traduzione di Rainer Maria Rilke, di Edgar Allan Poe e di Renée Vivien.
14/11/2023 alle 16:21
bravo Paolo, ho ordinato il libro, spero di saper dire anch’io qualcosa, per ora le risposte e le poesie mii hanno molto attratto. ciao