Note Psicopoetiche di Valeria Bianchi Mian | Robert Graves

 

Con le sue labbra soltanto

di Robert Graves 

 

Questa signora onesta, provocata al crepuscolo 

Al cancello del giardino, sotto una luna forse, 

Nel profumo del caprifoglio, osò rifiutare l’amore 

Di un amante insistente: con le sue labbra soltanto, 

Non col suo cuore. Non vi fu appuntamento; 

Alla sprovvista, che avrebbe mai potuto dire? 

Per amore dei figli, la menzogna era veniale; 

“Per amore dei figli”, discusse con la sua coscienza.

 

E tuttavia prima dell’alba una menzogna mortale ne 

  segue:

Provocata come di solito nel proprio letto, 

Ella protesta amore a un marito insistente, 

Non col suo cuore, ma con le labbra soltanto; 

“Per amore dei figli”, discute con la sua coscienza, 

“Per amore dei figli” _ e d’improvviso diviene a loro 

  ostile.

*

With Her Lips Only

 

This honest wife, challenged at dusk

At the garden gate, under a moon perhaps,

In scent of honeysuckle, dared to deny

Love to an urgent lover: with her lips only,

not with her heart. It was no assignation;

Taken aback, what could she say else? 

For the children’s sake, the lie was venial;

“For the children’s sake” with her conscience.

 

Yet a mortal lie must follow before dawn:

Challenged as usual in her own bed,

She protests love to an urgent husband,

Not with her heart but with her lips only;

“For the children’s sake”, she argued with her 

  conscience.

“For the children”  _ turning suddenly cold towards them.

*

[Robert Graves, Collected Poems – in Poeti inglesi del ‘900, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, 1991]

*

Eccomi di nuovo, come fosse ieri, nel ruolo della studentessa universitaria affamata di miti. L’immagine è nitida, è memoria lampante. Fu proprio grazie all’Olimpo rinato dalla penna di Robert Graves che approdai al mondo degli archetipi sulla via del politeismo psichico. Aprendo la porta alle gesta delle antiche divinità possiamo arricchire il nostro bagaglio esperienziale per affrontare quella “psicologizzazione archetipica” della quale, già in Re-visione della psicologia (1975), ci indicava la strada James Hillman. “Significa” scriveva lo psicologo analista “guardare alle strutture che racchiudono la nostra coscienza, alle gabbie entro cui siamo seduti e alle sbarre di ferro che formano le grate e le difese della nostra percezione.” Socchiudendo il cancello del giardino, anche la signora onesta potrebbe scoprire nuovi mondi e scorgere magari quella proteiforme danza che è il Sé, fuoco sacro al centro di ogni individualità, fulcro della dinamica vitale, luogo di figure sacre che coabitano in noi sotto la coltre dell’Io cosciente.

Scrive Hillman che “la ricchezza stessa delle idee nell’anima ci dice quanto sia ricca la sua fenomenologia” ed “è come se Psiche fosse naturalmente pagana a causa del naturale politeismo dell’anima.”

La signora onesta invece si attiene a un solo copione, recita il soggetto “per amore dei figli” e non può aprire quella porta, quel cancello, quella bocca-soglia. Tra le sue labbra, Afrodite ed Era sono parole mute o, al massimo, espressioni della medesima menzogna. Tra le sue labbra si spalanca l’orrido delle convenzioni; è l’abisso dal quale non può che fuoriuscire l’astio, ombra ostile dell’amore, odio venefico che inesorabilmente si riverserà sui  figli per i quali ogni rinuncia è dogma. Tu scaccia Afrodite e lei rientrerà dalla finestra per vendicare l’offesa. Sacrifica Atena, Artemide, Demetra oppure Estia e ognuna di queste dee troverà il modo di infiltrarsi nel tuo piccolo mondo perfetto, facendo crollare i castelli di carte: amante, marito, prole, casa, scatole, ruoli, abiti. Trova uno spazio rituale per tutte le immagini archetipiche e vivrai nella pienezza della tua coscienza.  

Per poter amare al ritmo del politeismo occorre però imparare a danzare, bisogna apprendere i passi, è necessario tener conto delle funzioni psichiche: riconoscere in noi il pensiero e il sentimento, la sensazione e l’intuizione ci permette di valutare al meglio la strada da imboccare nelle decisioni difficili per non cedere al monoteismo, al dogma nelle relazioni. 

Nei versi di Che schifo! (Cry Faugh!), Robert Graves scrive “Socrate e Platone soppressero il fine/(Cioè come dovrebbe essere l’amore fra un uomo e una donna)” ma anche “Gli israeliti apocalittici/Profetizzando La Fine Imminente, richiesero solo una casta amicizia;/Completamente morti dalla vita in giù.” In questa poesia l’amante insistente offre all’amata uno sguardo di versi memento mori e carpe diem – uno scorcio alla Walt Whitman per cogliere la rosa del desiderio vivo, prima che la bellezza dell’innamoramento sfiorisca. “E cammina con me, amore mio, sotto una pioggia d’oro.”

Se la signora onesta, anziché sacrificare Afrodite e schiavizzare Era per amore dei figli, scorgesse nell’inatteso che la coglie alla sprovvista la possibilità di stupirsi ancora, la meraviglia che dà vita alla coscienza, la stessa donna bloccata nell’inazione oserebbe invece non far torto ad alcuna divina presenza. Ampliando il giardino e la casa del Sé, non si troverebbe impreparata, scissa, spezzata ancor prima di comprendere il collegamento tra le labbra e il cuore.

Ginette Paris evoca la libertà di spirito della dea, la sua esenzione dal senso di colpa. La rinascita di Afrodite (1985) suggerisce prospettive di senso: evitando di cedere alle aspettative sociali, seppur legata a Efesto, la dea segue la propria natura desiderante. Noi non siamo dee, potrebbero obiettare il lettore o la lettrice. Nella Psiche umana i miti sono immagini vive che ci indicano il più sentito e creativo problem solving di fronte ai nostri problemi quotidiani, ai micro e macro-cosmi che portiamo riflessi sulle labbra nello specchio delle relazioni. Gli dei e le dee emergono dal tempo più moderni che mai. Peccato che la signora onesta disconosca le narrazioni degli aspetti più profondi della civilizzazione scegliendo la rinuncia a una sessualità unita al sentimento. Sosta immobile lontana dall’anima e non si lascia scuotere dall’imprevisto, non integra gli aspetti del desiderio; frustrata, si piega alla dittatura dello stereotipo. Inevitabile è la caduta nel sentimento di ostilità.

Ho incontrato in psicoterapia donne (anche giovani e professionalmente attive) che proiettano sui figli quel che riconoscono mancante nel proprio matrimonio. Sono tutte vivaci e piene di ironia, eppure riversano sui bambini la paura di aprire la porta del giardino, un amore colpevole e intriso d’odio per il limite che loro stesse si impongono vestendo il ruolo materno.

Tra le icone femminili dei Tarocchi, immagini archetipiche potenti e rappresentative della poliedricità dei ruoli psichici, è come se la Papessa, con la sua eterna possibilità in gestazione o cova, voltasse le spalle alla feconda Imperatrice, la quale a sua volta gira la carta e si oppone a tutte le altre possibilità di poter diventare completa, unita a Temperanza, Forza, Giustizia, alle virtù in grado di mediare tra le opposte tendenze, tra le differenze.

Se Robert Graves lo conobbi dapprima per la sua analisi dei miti greci, ne scoprii più tardi la produzione poetica e lo apprezzai scrittore multiforme, gioioso e pieno di ironia. È lui a dare voce alla signora onesta che evita la crisi tra le opposte fazioni; è lui a disegnare una Afrodite ancora soffocata dal giudizio degli altri. La sessualità costretta e punitiva della protagonista mi ricorda il motto della sottomissione, la frase ricamata sulle camicie da notte delle trisnonne: “Non lo fo’ per piacer mio ma per dare un figlio a Dio.”.

Qual è il prezzo?

Se un desiderio chiama, abbiamo due strade: seguirlo, rimescolare tutte le carte e trovare attivamente nuove strade, osando, rischiando, oppure, in alternativa, mantenerci salde nella tempesta emotiva e osservare la folle brama superando il terrore e il tremore, rimescolando nel calderone psichico ogni sfumatura, ogni voce, al fine di estrarre il significato nascosto dietro l’attrazione e scoprire magari, pur senza agire, nuove voci del nostro complesso essere. Soddisfare la bocca e il cuore o riconoscere la nostra realtà psichica. Questa seconda via è decisamente una strada più difficile rispetto all’azione immediata; è un sentiero alchemico certamente arricchente e spesso portatore di una caduta. Cadono le proiezioni, si rompe l’illusione, crolla la Torre dei Tarocchi e noi usciamo ‘a riveder le stelle’, rinnovando matrimoni e relazioni o sancendone la fine una volta per tutte.

Le labbra della onesta signora mantengono le parole in superficie, senza scegliere una delle due possibilità. 

Dove scorre e come si incanala l’intensità dell’essere per queste donne? Scrive Ginette Paris che “la casa, i figli catalizzano l’attenzione e gli affetti; il maschio che si ritrova a orbitare in questo universo viene trattato spesso come un bambino che ha bisogno di cure o come un incompetente” ma quando si fa spazio ad Afrodite, anche se la dea non è la protettrice del matrimonio, non vi è necessariamente conflitto con Era. Proprio la prima “assicura il piacere che gli sposi si donano reciprocamente, e senza il quale un matrimonio è freddo e sterile”. Afrodite si vendica sempre della donna relegata nei ruoli, divoratrice dei figli, generatrice di odio.

“Far coesistere nel rapporto (che sia matrimonio o relazione importante) la passione libera e volubile, e la stabilità che l’istituzione richiede non è mai stata un’impresa facile” sottolinea la Paris ma il politeismo psichico significa che possiamo imparare a “vivere molti miti”. Relegarci in uno soltanto ci rende inevitabilmente ostili. Il desiderio si blocca sulle labbra, labbra che potrebbero baciare e non baciano, labbra che non dicono, labbra rosse come quelle della demonica Vita-in-morte, terribile apparizione nella ballata marinaresca di Samuel Taylor Coleridge, labbra senza piacere, labbra che fanno gelare il sangue. Le labbra della donna che rinuncia ad Afrodite sono, potremmo dire, pornografiche: non c’è vitalità connessa al sentimento e nemmeno sviluppo erotico nell’attaccamento nutrito di sensi di colpa. Tutto tace: sono labbra mute.

L’atteggiamento sacrificale del rimanere imperturbabili, distaccati nei confronti della sessualità, è quasi sempre un modo di negare la paura, come se si trattasse in ultima analisi di una faccenda senza rischi ma Ares e Afrodite insieme generano una figlia di nome Armonia: il dio della guerra e la dea dell’amore hanno in comune il coraggio di esporsi ed entrambi possiedono quella generosità dell’abbandono senza la quale non esiste incontro.

 


Poeta, saggista, romanziere, scrittore di racconti, Robert Graves fu uomo di lettere dalla mente capace di intrecciare il sentimento all’ironia, la cultura alla comunicazione di senso. Se ci addentriamo nelle trame di Afrodite e Ares scopriamo con piacere che la lettura di un mito può essere davvero evocazione fiabesca, memoria che si risveglia e ci offre scenari di meraviglia collettiva, panorama condiviso.

Nato a Wimbledon nel 1895, lo scrittore proteiforme e fecondo insegnò al Trinity College di Cambridge e a Oxford. Morì a Maiorca nel 1985. Se i suoi romanzi storici sono stati tradotti in molte lingue, le poesie ottennero premi e riconoscimenti, tra  i quali per esempio la National Poetry Society off America Gold Metal, i versi di Graves toccano e fanno vibrare le corde dell’inconscio, del quale l’autore fu portavoce non addetto al mestiere di analista ma sensibile osservatore, esploratore.