Non ho mai finto di Monia Gaita, anticipazione di testi da un libro in uscita
Ho conosciuto Monia Gaita in una occasione molto speciale e fuori dai rispettivi circuiti abituali: la poetessa fiumicinese Elisabetta Destasio nel settembre 2019 ha organizzato la prima edizione del festival di poesia “Poeti in itinere” all’interno della necropoli del Porto e lì si sono coniugati la declamazione dei versi di ottimi poeti provenienti da varie regioni d’Italia e il girovagare, sapientemente accompagnato da una guida turistica del luogo, tra le antiche tombe romane. Monia è stata la poeta che ha chiuso il pomeriggio, quando il sole stava tramontando e lei lo aveva diritto dietro le spalle minute. Il sole, gli antichi resti, i pini, la sera incombente, la voce forte e caratterizzata di Monia che declamava i propri versi sono rimaste ferme nella mia fallace memoria.
È stato con grande piacere che pochi giorni fa ho appreso della sua prossima uscita editoriale Non ho mai finto con le edizioni La Vita Felice e è con affetto e orgoglio che desidero proporvene un’anteprima.
Nella scheda del libro si legge: “Già il titolo Non ho mai finto stabilisce il contesto di verità in cui si muove la parola poetica di Monia Gaita, adibita a percepire, cogliere e analizzare realtà materiale e trama interiore. Uno scavo che diventa fede e obbedienza consapevole all’irrisolto mistero sul quale il dire, inesauribilmente, lievita e s’interroga. Un linguaggio lirico alto che crea con accostamenti ibridi, anche attinti a un lessico tecnicistico e comune, una genealogia solida di originalità e di forza. Se la poesia deve sollecitare il pensiero e spalancarne i varchi, questi versi non affacciano alcuna prossimità all’ovvio e al futile. Il discorso si fa detentore di una potente agibilità comunicativa, incorporata in un bagaglio di significanza che il lettore potrà facilmente riconoscere.”
Nessuna titubanza
Guardare schiudersi la porta del mattino,
le nuvole e le loro succursali
confondersi alla ruggine dei rami,
il vaso del basilico
infilato nella giacca dell’autunno.
Avverto un lieve capogiro
a estrarre come un foglio dalla tasca
questi anni:
non ho nessuna voglia di indossarli,
mi stringono sui fianchi
stupiti di trovarmi ancora in piedi.
Ignoro a quanto ammontino le perdite.
Vorrei cospargerle di nafta, farne fuoco.
Ma a regolare i conti con gli sbagli
declina la ragione e il vuoto sbocca
dove i perché affondano in un solco.
E intanto vivere
nella coscienza mezzo fradicia dei giorni,
le gambe sciolte del non più sperare
e al punto in cui la scelta si biforca
—nessuna titubanza—
percorrere una strada.
*
Sono partita
Sono partita,
ho fatto scorta di verde e sono andata.
Ora m’immergo nell’emicrania dei montaggi,
dei contafili azionati dai pulsanti.
Quando ho riavvolto la storia dei miei anni,
gli esami, lo studio, le rinunce,
avevo l’amarezza di un cratere dentro il petto.
Non è servita la mia laurea.
Ha traslocato di ripostiglio in ripostiglio,
in molti vuoti navigabili,
nella peluria del soffione quando vola
e si disperde.
Sono partita, ma non dimentico l’Irpinia.
Resto ancorata all’utero dei campi,
covo la prole delle spighe, la proteggo
fino al millimetro finale della schiusa.
L’Irpinia mastica i suoi figli e li sospinge
dove si ingrossano gli ovari della nebbia
e il traffico del centro
s’attacca con l’uncino dei rumori
sulla pelle.
Sono partita, ma non dimentico l’Irpinia.
E mi strofinano gli omeri delle vigne,
la cartilagine del vento e delle piante.
E quando il forno pone a bollore
l’acqua dei ricordi,
estraggo dall’archivio gli annegati,
corazzo le mie gambe col tronco dei castagni.
Sono partita, ma non dimentico l’Irpinia.
L’Irpinia delle chiese e delle volpi,
l’Irpinia delle pale, dei carpini, dei faggi,
l’Irpinia con le tempie corrotte dal moderno.
Io non dimentico l’Irpinia,
l’Irpinia di mio nonno con gli occhi da brigante.
Irpinia madre, Irpinia del mio sangue.
*
Quella me di prima
Stasera il vento mi sbarra gli occhi in faccia.
Vuol mettermi paura
e io rimango attonita e incerta
alla finestra.
Il vuoto è troppo largo
perché si possa scavalcarlo con un salto;
estrae col becco dai cunicoli del cielo
quattro lampi.
Avrei bisogno di qualche puntaspilli
e un paio di grosse forbici taglienti
per gli sbagli.
E rovistare tra le carte del pensiero
dà uno spasmodico singhiozzo
sopra al cuore,
è traslocare nella vecchia casa
del perduto,
guardare quella me di prima
che sibila, indelebile, tra i rami
e scruta da uno sbuffo della porta
quel che sono.
*
Monia Gaita è nata a Imola (BO) il 7-11-1971 ma vive da sempre a Montefredane, paese d’origine in provincia di Avellino. Giornalista e critico letterario, ha all’attivo le seguenti pubblicazioni: Rimandi (Montedit, 2000), Ferroluna (Montedit, 2002), Chiave di volta (Montedit, 2003), Puntasecca (Istituto Italiano Cultura Napoli, 2006), Falsomagro (Editore Guida,2008), Moniaspina (L’Arca Felice, 2010), Madre terra (Passigli, 2015 – Premio di Letteratura allo Spoleto Art Festival 2016), Non ho mai finto (La Vita Felice, 2021). Diverse le antologie che si sono occupate della sua poesia. Collabora a “Il Quotidiano del Sud” e a importanti riviste web e cartacee. La sua scrittura si connota per un uso libero della lingua che punta a coniugare lessemi ricercati e parole attinte al discorsivo in originale mescidanza. È direttore della Delta3 Edizioni. Porta avanti nella sua Montefredane, con la Proloco che presiede, il Premio di Cultura “Oreste Giordano”, volto a valorizzare eminenti personalità del mondo giornalistico, della poesia, della scrittura, dell’arte e della scienza.
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