Miliaria di Maria Laura Valente | Un «retroagire che si inabissa». Mappature dell’indecifrabile nella poesia di Dorinda Di Prossimo

 

Nota critica sugli inediti presentati da Dorinda Di Prossimo a Bologna in Lettere – Colpi di Voce il 28/05/2022

La parola poetica di Dorinda Di Prossimo si dispone ad abitare uno spazio-tempo retroattivamente proteso, imperniato su quello che, con Benjamin, potremmo definire Erinnerung, il «caso esemplare del ricordare». La dimensione privilegiata della sua indagine, infatti, è quella della memoria benjaminiamente intesa, un «retroagire che si inabissa, esperienza che si ripete, formalizzata a un livello superiore». Al suo interno, incasellati negli alvei di precise geometrie mnestiche, trova esatta collocazione una brulicante varietà di tasselli esperienziali:  i luoghi amniotici di un’infanzia fantasmizzata da ombre genitoriali e ritualità mistico-affettive; un hic et nunc altamente volatile che, per quanto strenuamente fibrillato da scariche ritmiche di enunciati conativi, sublima istantaneamente nell’intangibilità dell’istante già trascorso; la trasfigurazione onirica del vissuto, che assomma in sé, mediante introiezione, ogni possibile dimensione temporale. Ne scaturisce una mappatura esistenziale che prende atto dell’indescrivibilità del reale, della sua indecifrabilità di fondo, definendo in tal modo i contorni di una rarefatta un-comfort zone che la Di Prossimo non rinuncia tuttavia ad indagare e di cui restituisce l’immagine cianotipica attraverso la coesistenza sinergica, di per sé disorientante, di un lessico improntato all’immediatezza comunicativa, di un’interpunzione mitragliante e a tratti risemantizzata, di frequenti dislocazioni sintattiche e di un polimorfismo metrico in grado di spaziare dalla frammentazione minimale al verso debordante che tracima nella prosa poetica.

Alcuni inediti

Apriamoci come noci,
senza farci male, senza,
in punta di piedi, morire,
ché la pelle del silenzio mi duole,
i feti a venire
i chiodi nelle costole.
Apriamoci come grappolo che lava di miele
sparge, alla paura toglie peso, le ferite medica,
il ghigno spoglia d’ogni minaccia.
E
nel cortile dei glicini e viole,
solo l’abbraccio del sole,
la beatitudine del pudore.
Il presentabile oriente.

*

Un ricordo di sughero mi galleggia,
piccolo fiore d’agonia,
la tua casa, orfana di rose,
padre,
le tue ginocchia sotto la rossa coperta.
Le sere maturano ancora stelle su stelle,
le notti succhiano sogni come imbuto,
quando, a volte bussi e io ti faccio entrare.
T’offro ore confuse, qualche affresco di sorriso,
spaesamento come altalena che s’allontana.
Così, allungo le vocali delle litanie,
come, quando, mani giunte, mi chiamavi dalla stanza:
vieni Dorì, scambiamoci il segno della pace, e,
io posavo il respiro nel filo di voce.
Per dondolar nella quiete, per la messa domenicale.

*

Di sicuro c’è un mondo che si scrive da sé. Inafferrabile.
Come le foglie che trovi già morte al mattino. Non t’hanno
chiamato per la leggera agonia. Si sono staccate e basta.
Si sono chinate verso l’erba, senza quell’infinita vanità
che ogni addio regge. E, pure il fiore si spoglia. Si sparge
sulle lumachine e non t’avverte. Senza latrare svia dai suoi
colori. E così fa il verde del grano, l’ugola del cardellino.
L’occhio del clandestino. Il passo dei tuoi baci. Al mattino.

*

M’incontro nei sogni. Là, m’esisto. L’occhio
è, di notte, perla luccicante. In un fondale
luccicante. Stanotte, ad esempio, ero grembo
di fiume. Tempestata di pietruzze vetrose,
smeriglianti. Malgrado il buio. Malgrado il
largo braccio di corrente, s’assentava ogni
paura. E. Ho sbirciato una stella riflessa,
gli occhi delle finestre. E. Tutto era
passionevolmente liquido. Un amniotico tuono.
Forse anche tu, madre. Forse anche tu.

*

Certamente
più tornerai. Come
più torna quello stretto cerchietto tra i capelli
/ danzantini, ricci i miei capelli /
, o ,
il capogiro dei passi a nascondino
/ dietro le canne, il silenzio delle lumache /
Certamente
un fiore s’annuda, la nuca il bianco scrive.
L’occhio a sé. Chiude.

 


Dorinda Di Prossimo è nata a Teramo nel 1950 e vive a Porto Recanati.
Ha pubblicato le raccolte: Nel sottocuore (Edizioni Akkuaria, 2006), Leggere sull’unghia (Edizioni Tempo al Libro, 2011), Quaderno millimetrato (Incerti Editori, 2012), La notte la casa l’assenza (Edizioni Forme Libere, 2015).