L’attesa, racconto di Anna Lombardo
Ho scritto molti anni addietro questo raccontino, durante una pausa dalla Poesia. La lettura di “Nel cortile” scritto da Giorgia Monti (qui pubblicato per Interferenze il 14 luglio 2022) me lo ha richiamato alla memoria. Spesso da adulti dimentichiamo quali sono i modelli o le strutture che ci permettono di spiegarci e di accettare il mondo che ancora non conosciamo e di cui non abbiamo ancora le chiavi per entrare. Quali potevano essere quelle chiavi e su quali modelli relazionali esse poggiavano? Queste erano le domande principali alla base del mio breve racconto, credo. Poi la scrittura, come sempre, ha fatto il suo cammino. Quì non voglio tediare con lo stile ed il resto. Quello è un terreno più specifico, che credo possa, piuttosto che facilitare, ‘inquinare’ ed appesantire, quel libero piacere di leggere ed immaginare il tutto con le proprie ‘chiavi’. Posso aggiungere che mi sono divertita anche molto nello scriverlo e mettermi nelle scarpette della piccola protagonista, così come mi auguro, possa divertire e stimolare altre domande anche in coloro che leggeranno. Ringrazio Giorgia per questo. AL
L’attesa
— Dove vai? chiese la bimba all’anziana signora che se ne stava seduta, fissando i binari, su uno dei tre sedili di ferro che fungevano da panchina nella stazione
“Dove porta il treno,” quella rispose senza guardarla ma non infastidita.
Alla bimba sembrò una risposta stupida da dare; una di quelle che ti danno i grandi quando non vogliono prenderti sul serio; quando ti fanno capire che tu, ai loro occhi, sei solo un piccolo, minuscolo pacchetto di gambe e braccia e bocca. Nient’altro.
Così le era sembrata quella risposta e si rabbuiò. Le voltò le spalle e diede un’ampia occhiata in giro. Gente sconosciuta stava seduta o in piedi, in attesa. Tutto l’affascinava. La stazione era un luogo magico per lei, misterioso. Le persone apparivano e poi sparivano, chissà dove, con le loro valigie, carte o panini tra le mani. Tornò a guardare quella strana anziana donna – una nonna, di certo, nella sua testolina così l’aveva collocata – che l’aveva colpita quasi subito, mentre se ne andava di qua e di là per quella stazione dove suo padre un tempo lavorava. Fece di nuovo un giro e poi tornò a lei guardandola con più attenzione. Ebbe voglia di parlarle ancora, un po’ come fanno quelle giornaliste viste in tv. La sua mente s’accese e s’impegnò nel nuovo gioco.
—Se vai dove ti porta questo treno, quando sai che devi scendere nella tua stazione?
L’anziana signora stette al gioco.
“Il fischio del treno me lo fa capire. Hai ascoltato il fischio che fa il treno quando entra nella stazione? Non è sempre uguale: a volte è più lungo, a volte breve. Ci vuole un buon orecchio per distinguerlo. Io ho scelto quello breve. Così quando lo sento so che quella è la mia stazione. Tu quale scegli?”
La bimba ci pensò seria seria.
—Tutte e due, concluse.
Lei rise. Una risata aperta che la sorprese.
“Brava. Ma così quando arrivi?”, e si voltò a guardarla.
La piccola non capiva bene ma aveva già un suo orgoglio e le rispose scandendo le parole.
—Non importa quando arrivo, tanto mi aspettano.
“Chi ti aspetta?”, incalzò l’anziana donna.
—La mamma. Lei fu lesta e sicura nella risposta.
“La mamma, eh! Sì, la mamma aspetta sempre.”
La bimba era raggiante come se avesse vinto un premio e guardò con più interesse quel volto: stanco e rugoso. Ecco una nonna lei la voleva proprio così! Le ammirò gli occhi: chiari come i suoi; i capelli tirati su – anche lei aveva due codini graziosi, pensò.
Sì, forse quella era sua nonna che si era persa o si era addormentata; così non aveva sentito bene il fischio del treno e non era scesa alla stazione giusta dove lei e la sua mamma andavano sempre ad aspettare il suo papà.
—Quanti figli hai? chiese come per avvallare la sua teoria.
“Solo una ed è andata lontano.”
—Non la vedi a Natale? una certa speranza s’insinuò nella sua vocina di bimba.
“No, non la vedo più da tanto.”
—Perché non vai a trovarla?
“Non so più dove abita; poi viaggio tanto e non ho tempo.”
—Dove sei stata?
“Torno dall’Oriente dove ho visto il cielo che s’incontrava con il mare; gli alberi cantare con il vento e i bimbi come te saltare nei torrenti.”
Alla bimba piaceva il torrente. Si fece interessata.
—E hai visto tanti pesci?
L’anziana donna parlò lentamente come dovesse scegliere le parole più semplici che fossero chiare a quella piccola creatura sbucata dal nulla.
“Ho visto tanti pesci dai mille colori che non ne volevano sapere di salire su nessun treno e li ho dovuti lasciare lì. Ho scattato una foto con la mia mente e ora sono tutti qui dentro; così non scappano più.” E si toccò la fronte con la mano lentamente.
Alla bimba, anche, sarebbe piaciuto avere tutti quei pesci: lei adorava i pesci.
Nella sua cameretta aveva disegnato dappertutto le pinne, le bocche e gli occhietti mobili dei pesciolini come li aveva visti nel libro che suo papà teneva sul tavolo per lei.
Lei adorava i pesci. Le sarebbe piaciuto avere tutti quei pesci attorno. Chissà quante cose avevano visto! Nella sua cameretta aveva trascorso ore disegnandone pinne, bocche e qui loro occhietti mobili proprio come li aveva visti nel libro che suo papà le aveva regalato quell’ultimo Natale che avevano trascorso tutti assieme. Se amava i pesci era proprio la sua nonna – e si fece più vicina con il corpicino che a stento riempiva l’enorme sedile di ferro.
— Alla tua bimba piacciono i pesci?
“No, alla mia bimba non piacevano proprio i pesci; non amava neanche gli animali. Proprio una bimba stupida, vero?”
La piccola era d’accordo ma non disse nulla. Anche sua mamma forse non amava i pesci perché gli unici animali che le permetteva erano di peluche. Ma lei voleva bene alla sua mamma. Era convinta poi che la sua mamma di certo quando era piccola si era spaventata a vedere da vicino i denti di un pesce – (fanno paura, no?) – o forse un gatto l’aveva graffiata forte forte. Lei era stata “toccata” dal gattino della sua amichetta ma non le aveva fatto male, non era uscita neanche una goccia di sangue!
— Forse ha paura la tua bimba.
“Sì, ha paura, paura. Paura di vivere!”
— Cosa vuol dire?
“Non lo so precisamente ma non è una bella cosa. È una malattia che se non la curi poi non ti passa più.”
L’anziana signora ora le parlava guardandola dritta negli occhi spalancati.
— E tu non l’hai chiamato il dottore? La mia mamma lo chiama sempre quando sto male. Non mi fa le punture, però; mi da solo lo sciroppo.
“Eh, la mia piccina non voleva neanche lo sciroppo. Era una bimba un po’ strana.”
La piccola si allarmò: la sua mamma non le sembrava strana anzi era una bella mamma.
— Perché strana?
“Vedi la mia bimba era così gaia, così bella che faceva tutti contenti fuori di casa, poi quando rientrava, voleva stare solo nella sua stanzetta a colorare.”
Cosa c’era di strano? Anche lei colorava.
— Anch’io coloro, disse in fretta.
“Lo immagino, piccola, ma non come lei. Lei colorava la sua faccia, le sue mani, il suo corpo e poi si sedeva sulle lenzuola o sul tappeto o si puliva le mani sulle pareti, sulle porte. La sua stanza era tutta una macchia ed io dopo un po’ ho smesso di pulirla. Poi cominciò a colorare anche le scale e le pareti dei vicini e così ci cacciarono da quella casa e poi anche da quella città.”
La piccola sgranò gli occhi: una bimba così forte non l’aveva mai incontrata. Una che riusciva a farsi scacciare anche da una città! A lei l’avevano allontanata solo una volta dalla recita di Natale perché si era messa a piangere nel bel mezzo dello spettacolo e non la smetteva più. Non sapeva dire il perché di quel pianto ma quella era stata l’unica volta che l’avevano mandata dietro le quinte arrabbiatissimi.
— E tu non le dicevi niente? E il suo papà non la sgridava?
“Cosa potevo dirle: era così felice, si divertiva tanto! Poi quella città non era molto accogliente: sempre pioggia e nebbia. Suo padre la sgridava, certo; era molto severo ma lei era proprio testarda. Sì, mia figlia era molto testarda. Se decideva che non voleva mangiare o non voleva andare a scuola o qualche altra cosa non riuscivi a farle cambiare idea. Era proprio testarda.”
— Anche la mia mamma è testarda! Non fa mai quello che dico: io volevo prendere il treno e lei non voleva così oggi che è uscita presto sono venuta in stazione ma ancora non so su quale treno mi piacerebbe salire. Tu quale treno prendi?
La donna la fissò. Poi fece una smorfia divertita.
“Sei scappata da casa per un treno?”
— Non sono scappata. Dopo torno quando si fa buio.
“Anche mia figlia disse così quando i carabinieri la trovarono sul treno senza biglietto e affamata.”
— I carabinieri? E cosa le fecero?
La piccola spalancò gli occhi attendendo. La sua mente si era improvvisamente liberata di ogni cosa per far spazio agli eventi di quella storia. La vecchia signora le dette uno sguardo tra il divertito ed il pensieroso. Si curvò verso una borsa tutta colorata che aveva accanto. L’aprì con calma e tirò fuori una barretta di cioccolato. Gli occhi della bimba la seguivano. Lei le offrì un pezzetto di cioccolato mentre riprendeva il suo racconto.
“Me la riportarono a casa. Poi se n’andò ancora e per tre volte sempre me la riportarono.”
Tacque d’improvviso nuovamente.
— E poi? Poi? E poi? incalzò la piccola, mordendo il cioccolato.
“Poi non me la riportarono più.”
La bimba rimase un po’ scossa. Non si aspettava quello di sicuro.
— Più? Neanche quando era buio? nella sua voce una traccia di spavento.
“No.”
— Hai pianto?
“Certo molto.”
La piccola sembrava più nervosa; si agitò un po’ in quella sedia troppo grande per lei.
— Ma se lei aveva incontrato un’altra mamma o nonna, cioè un’altra mamma, tu eri contenta?
L’anziana donna la guardò con interesse, ora, e le rivolse uno sguardo sereno.
“Certo sarei stata molto contenta perché a me non piaceva viaggiare molto a quel tempo.”
— E ora?
“Adesso sì, mi piace tanto e sono contenta che mia figlia mi abbia insegnato a viaggiare.”
Al sentire ciò, la piccola si sentì orgogliosa come se avesse lei contribuito a quell’esito. Cominciava, però, a sentirsi stanca, sopraffatta, come, da tutto quello scambio di informazioni. Le parole della vecchia signora le avevano scatenato, infatti, una serie di immagini che fitte fitte si srotolavano nella sua testolina che piegò poi docile sul grembo dell’anziana donna e stette così.
Da sotto sopra osservava la gente che passandole davanti le faceva apparire e scomparire i vagoni dei treni che arrivavano e ripartivano. Chissà dove. Chissà se dentro c’era anche suo padre che aveva sbagliato stazione e anche la figlia di quella che ormai aveva battezzato nella sua testolina come ‘nonna’. Lei non aveva una nonna, come le sue amichette a scuola. Nessuno le aveva spiegato mai bene il perché. Si lasciò poi prendere dall’ondeggiare di quelle strambe scatolette con tante finestrelle; a volte marciavano sicure e dritte e poi si allontanavano veloci lungo i neri binari. Non si curò di sapere chi fosse quella sconosciuta che aveva preso ad accarezzarle la testolina chiara, come di sicuro avrebbe fatto la sua nonna. Poteva davvero essere una sua nonna!
Stava quasi per chiudere gli occhi sotto quelle carezze quando riconobbe un vestito turchese. Si sollevò di scatto. La sua mamma era lì davanti a lei con gli occhi lucidi. La guardava con rabbia e sollievo assieme. Fissava anche l’altra donna. Tra di loro passò un lungo scambio di un sorriso. Senza dire nulla, la giovane donna si sedette sospirando, la piccola in mezzo. Poi le prese la manina e la baciò. La bimba allungò l’altra mano verso l’anziana signora, la guardò e le sorrise a sua volta, come per rassicurarla. Rimasero per un po’ così, tutte e tre a guardare ed ascoltare gli ultimi treni passare.
03/08/2022 alle 10:56
Molto bello questo racconto, denso di suggestioni e di interrogativi per quelle situazioni che nella vita sembrano nate a caso, prive di un nesso logico ma frutto di ansie improvvise o inaspettate per le quali non c’è risposta se non nel ristabilimento dei legami fondamentali, riequilibranti, come tra persona e persona, tra giovane e vecchio, tra figlia e madre. Brava Anna.
04/08/2022 alle 15:22
Caro Alessandro,
Grazie per queste tue precise istantanee che condivo abbastanza.
Abbracci
Anna
06/08/2022 alle 22:51
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