Incontriamoci all’Inferno… Ovvero, come scherzare sulle cose serie, di Cinzia Demi
“La Divina Commedia è una gamma completa di altezze e di abissi delle emozioni umane.” Con queste parole il premio Nobel Thomas Stearns Eliot (su cui torneremo) descriveva il capolavoro di Dante Alighieri, capace di ispirare coi suoi versi, scrittori, poeti e artisti di ogni tempo e di ogni luogo. Sono ormai passati 756 anni dalla nascita del sommo poeta (era il 1265, nacque a Firenze in un giorno compreso fra il 14 maggio e il 13 giugno, e 700 dalla morte che celebriamo quest’anno) e la sua opera più conosciuta è stata reinterpretata in svariate forme e situazioni con omaggi e citazioni di ogni genere e oltremodo originali.
Qui, tanto per ricordare solo alcune di queste rivisitazioni, possiamo pensare di intraprendere un viaggio che ci conduce tra fumetti, narrativa, e serie tv. In abito fumettistico ci vengono subito in mente le parodie della Disney sulla Commedia, la prima delle quali venne firmata da Guido Martina con disegni di Angelo Bioletto, pubblicata tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, dove Topolino interpreta Dante, mentre la parte di Virgilio è affidata a Pippo, con Beatrice che ha il volto di Minni. La versificazione efficace dell’opera rappresenta uno dei migliori esempi delle Grandi Parodie Disney. Successivamente, nel 1980 Martina dedicherà il meritevole Paolino Pocatesta e la bella Franceschina a Paolo e Francesca, i due amanti più celebri del poema dantesco, protagonisti del canto V dell’Inferno. Senza contare l’ultima, in ordine di uscita, pubblicata proprio quest’anno, nel bel libro della Giunti PaperDante dove si raccontano gli esordi, in qualità di scrittore, di quel bambino che sarà destinato a diventare il padre della lingua italiana. La storia porta le firme di Augusto Macchetto (sceneggiatore), Giada Perissinotto (disegnatrice), Andrea Cagol (colorista).
In ambito pubblicitario il poeta fiorentino diventa testimonial di diverse campagne di vendita, tanto da spingere Delio De Martino a scriverne il saggio Dante e la pubblicità: la sua figura è stata recentemente prestata a spot televisivi per la TIM con protagonista Neri Marcorè, e per la Foxy con la Divina Commedia scritta su un rotolone di carta igienica.
Ne La Commedia dei cantautori, Guido Michelone accompagna i lettori tra gironi, cerchi e cornici facendogli incontrare i vari Francesco Guccini, Fabrizio De André, Lucio Dalla e Domenico Modugno, una rivisitazione originale dell’opera in chiave musicale che segue Lazslo Kovacs, alter ego dell’autore ispirato alla figura del sommo poeta, accompagnato da Cecco Angiolieri e Francis Nudella, novelli Virgilio e Beatrice.
Pensando agli spettacoli non può mancare la citazione su Roberto Benigni che con il suo spettacolo teatrale itinerante, in seguito trasmesso su Rai Uno, ha analizzato i canti più significativi della Commedia, ridando slancio alla sua lettura, grazie al supporto datogli per il commento da Vittorio Sermonti. Spettacolo riproposto in TV, proprio in questi giorni.
Non mancano neanche le rivisitazioni in chiave romanzesca che, ispirate all’opera, hanno assunto nel tempo fisionomia di veri Best Seller, come Il codice da Vinci e Angeli e Demoni di Dan Brown, divenuti in seguito adattamenti cinematografici.
Tante anche le traduzioni e rivisitazioni, ad esempio nei vari dialetti italiani della Commedia. Una per tutte La Divina Commedia Napoletana: una versione riveduta e scorretta, su definizione dello stesso autore Ulisse Loni che si rende protagonista del viaggio, sostituendosi a Dante. In questo lavoro la scelta dei personaggi e dei luoghi che si sovrappongono, in parte, a quelli della Divina Commedia dantesca è stata fortemente influenzata dall’origine partenopea dell’autore, laddove alcuni personaggi contemporanei a Dante vengono rimpiazzati con personaggi più attuali, protagonisti della vita sociale, culturale, politica e mondana, noti per le cronache degli ultimi decenni, (operazione già fatta da altri, ad esempio da Paolo Maria Veronica a Bologna con l’opera L’orribile commedia, edita da Pendragon)
Naturalmente sono tante le illustrazioni della Commedia, alcune anche in chiave ironica: da Gustav Dorè a Wolfango, da Francesco Scaramuzza ad Amos Nattini, da Sandro Botticelli a William Blake… tanto per citarne qualcuna.
Per concludere, ma non certo per completare, questa carrellata, mi sembra di poter proprio dire, senza paura di smentita, che la Commedia è l’opera più conosciuta, più rielaborata, più citata, più tradotta al mondo, senza neanche voler pensare al maggior scritto di colui che è considerato il maestro della poesia contemporanea europea, di cui abbiamo parlato in apertura, ovvero Tomas Stearn Eliott che con il suo poemetto La Terra Desolata, ha rivoluzionato il modo di scrivere e pensare la poesia, partendo proprio dall’inserimento di diversi passaggi della Commedia nel suo lavoro…
In questo contesto si muove anche il mio: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon Edizioni 2007, 2010, 2014 – Nuova Edizione 2020) per il quale il vernacolo toscano corrisponde alla modalità linguistica con cui è stato pensato e scritto, intendendolo come una rilettura scanzonata ma serissima dell’opera del Poeta, e come omaggio gradito dal grande pubblico – lo dimostrano le varie ristampe -, presentato attraverso una promozione nelle scuole medie di primo e secondo grado e perfino nelle primarie, o con una rappresentazione drammatizzata e realizzata in diverse situazioni istituzionali o meno, in tutta Italia.
Del resto, in sintonia con quanto sopra espresso, Gianfranco Lauretano, prefatore del libro, dice che: «L’opera di Dante Alighieri, soprattutto la Commedia, ha sempre ispirato (e forse sempre ispirerà) una varietà sorprendente di letture e approcci. Ciò rivela probabilmente l’essenza della poesia e della parola stessa dell’uomo che, quando è vera, si mostra inesauribile e offre una possibilità infinita di rilettura. Il taglio scelto da Cinzia Demi è quello dell’interpretazione demitizzante; la seriosità della Commedia (ma ancor più facilmente di certi miti danteschi creati dalla critica e dalla pedante lettura scolastica del poema) viene via via smantellata dalla lettura ironica e realistica dell’autrice […] A ben guardare, però, i racconti in versi di questa poetessa non tolgono proprio nulla a Dante. Anzi, aggiungono qualcosa. La visione ironica, infatti, è una possibilità in più dell’intelligenza, uno sguardo distaccato ma non distanziato, la ricerca di una visione integrale di un fatto o un’opera che non escluda nulla e che, proprio nel distacco, è pronta a tutte le suggestioni e persino ai suggerimenti di verità che dall’oggetto stesso possono giungere. Tant’è vero che le poesie di Cinzia Demi non vanno contro Dante, ma sembrano ricalcarne la forza, la toscanità e perfino l’ironia da cui non è certo esente la Commedia, iniziando proprio dal suo titolo. L’ironia insomma è parte costitutiva dell’opera di Dante; canzonarla sembra più un omaggio, un mettersi sulla scia ascoltandone gli infiniti magnetismi che un prenderne le distanze o, addirittura (sarebbe una presunzione assolutamente estranea allo spirito dell’autrice e di questo libro), un tentativo di smontaggio. […] Infine un’annotazione sulla lingua in cui queste poesie sono scritte. Si tratta infatti di un toscano moderno, come quello che si sente da quelle parti e probabilmente nella sfumatura della costa, della zona di Piombino, luogo di nascita dell’autrice […]. Questo è insomma un libro scritto in tutto e per tutto in volgare, anzi in neo-volgare, come si suole talvolta definire oggi il dialetto. Il che dà alla lettura un colore divertente e sanguigno, come avviene per effetto della vicinanza con l’oralità, costantemente cercata da Cinzia Demi nonostante l’uso convinto di una metrica sodale con quella dantesca e del buon orecchio musicale, sciolto e ritmico dell’autrice stessa. E, infine, si potrebbe considerare anche questa lingua una citazione dantesca. Così come a noi i testi di questo libro paiono vivi e toscanamente robusti, ironici e simpatici, pungenti e bruschi, la stessa aria dovevano avere i canti di Dante per quel popolo che tanto lo ama e l’ha amato, mandandone a memoria i versi per tanti secoli.»
Per mio conto mi sono sempre detta che Dante, soprattutto per piacere alle giovani generazioni, dovrebbe diventare meno austero e istituzionale, e che sulla Commedia e sui personaggi che ruotano intorno ad essa e alla vita del Poeta, dovrebbe essere possibile anche scherzare immaginando, ad esempio, le liti, i bisticci, le incomprensioni tra Dante e la moglie Gemma; la rivendicazione del ruolo di donna carnale da parte di Beatrice; la confessione della tendenza vegetariana del Conte Ugolino; il desiderio di andare in pensione del demone Caronte… e così via… il tutto senza sottrarre nulla alla magia dell’opera ma, anzi, rendendola più vicina e più familiare. Ecco allora lanciata una sorta di sfida: Incontriamoci all’Inferno non è solo una semplice parodia ma è una maniera nuova di penetrare nella complessità della materia e della forma poetica, attraverso un linguaggio e una lingua tangibili, applicabili a ogni momento, a ogni realtà che possa presentarsi e che possa essere declinata anche negli incontri che caratterizzano la Commedia, così come negli incroci di persone e di realtà, nella varietà delle situazioni.
Con questo libro, come detto sopra, sono stati realizzati anche degli incontri nelle scuole e dei laboratori. Riguardo a questi ultimi il gradimento è stato determinato, proprio dal far vedere ai ragazzi quanto i protagonisti della Commedia non siano frutto di astratte filosofie o surreali fantasie, di uno scrittore di una lontanissima epoca ma quanto, invece, ci chiedano continuamente, ancora oggi, di sentirli umani, ci dicano di esserci vicini con i loro sentimenti d’amore, di passioni, di lotte per la sopravvivenza, di odio ma anche con i problemi spiccioli, legati alla vita quotidiana di relazione col cibo, di liti per piccinerie, di pettegolezzi e curiosità e soprattutto con il loro linguaggio, ricco di motti e fraseggi, d’ironia sottile e saggezza popolare, di verità raccolte dalla strada oltre che dalle corti di nobili e signori, in specie nella Cantica dell’Inferno, linguaggio che non può che sembrarci familiare.
Nel mio percorso posso raccontare di aver risposto a bambini di 9/10 anni che mi chiedevano perché Dante non avesse mai parlato della moglie Gemma Donati, nelle sue opere e se io sapessi se l’amava davvero o no, e perché l’aveva sposata allora? Qualcuno paragonarli ai propri genitori… E chiedermi quanto Ulisse tenesse alla moglie o al figlio per stare così lontano, per tanti anni da loro?… E quanto il mito di Psiche e Amore c’entrasse con la storia di Paolo e Francesca e di come non fosse bello, comunque, che avesse tradito fratello e marito…; di aver letto e ascoltato poesie di ragazzini di 12/13 anni, rigorosamente in metrica – rime baciate/alternate, endecasillabi – raccontare di contrasti tra i vari personaggi come le donne dell’Inferno gelose l’una dell’altra, o intente a fare gossip, o shopping… Raccontare di partire di calcio tra angeli e diavoli, processi fatti al nasone Dante, cene a casa di Lucifero a base di piatti piccanti…; di aver ascoltato domande e motivazioni di ragazzi di 18/19 anni sul perché fare poesia, sul perché parlare ancora di Dante, sulla sua attualità in relazione a poeti come Eliot o Heaney, sulla necessità del linguaggio, dell’ascolto e dello sguardo poetico sul mondo, anche attraverso l’ironia, forma non ultima di comprensione delle cose, di punto di vista alternativo e reale… E tutto questo lo devo a questo libro Incontriamoci all’Inferno che, con i suoi testi, mi ha dato la possibilità di relazionarmi con varie realtà scolastiche d’Italia e fare esperienze entusiasmanti in questo campo, sempre nuove e diverse, ma tutte comprovanti che l’entusiasmo e la passione, se autentici, sono contagiosi, in special modo coi ragazzi.
Infine, vorrei anche rassicurare che non c’è nessuna velleità sarcastica in questo lavoro, nessuna digressione sull’opera dantesca, nessuna volontà di sminuire il valore e l’imponenza dell’autore: solo un serissimo coinvolgimento, sviluppato negli anni, per tentare di concentrarsi sulla complessità della materia trattata, attraverso l’ironia e il capovolgimento del punto di vista, per entrare meglio nella dimensione strutturale dei personaggi, nella visione dei fatti accaduti, nella poetica che nei versi incontrati ha sempre la possibilità di essere interpretata in forme diverse, come per ogni opera che possa dirsi di grande levatura.
Un impegno di ricerca e di studio che mi ha portato a conoscere, anche attraverso i commentatori e gli autori che si sono concentrati sulla Commedia, con contributi a vario titolo, i percorsi possibili d’interpretazione e gli stadi intermedi d’intersezione con autorevoli voci contemporanee al poeta, o dei nostri giorni.
Dire che non mi sono divertita a far parlare i personaggi, a far loro raccontare le verità diverse e possibili che hanno inventato, a ricostruire caratteri e caratteristiche storiche, sarebbe non dire il vero. Anche l’uso del vernacolo toscano, quello della costa tirrenica vicino a Piombino, a cui accennavo sopra, mi ha dato grande soddisfazione, ricordandomi gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza passati in quei luoghi dove – come un po’ dovunque quando la lingua parlata è un vernacolo – spesso si fa teatro a cielo aperto, e prendono campo, anche senza volerlo, spassosi siparietti da far invidia alla Commedia dell’Arte e dai quali prendere spunto.
Ma, la cosa che più mi ha inorgoglito è stata la reazione del pubblico intervento alle presentazioni, sovente effettuate in forma di lettura scenica dei testi. Che si trattasse di ragazzi o di adulti, di raffinati cultori della Commedia o di semplici conoscitori di qualche passaggio delle cantiche posso garantire che, in massima parte e in ogni occasione il grande apprezzamento ricevuto mi ha fatto capire che la mia intuizione era vincente, e che l’ironia è sempre l’arma migliore per affrontare la vita e ciò che vi s’incontra, senza prendersi troppo sul serio e andando avanti, qualche volta anche senza bisogno di unanimità di consenso.
Da: Incontriamoci all’Inferno.
Beatrice Portinari, ovvero: sono una donna, non sono una santa
Una gran festa c’era a casa mia
nel 1274 al calendimaggio,
ero bambina e come pe’ magia
’ncontrai ’l su’ sguardo con coraggio.
Ornat’a convenienza, di sanguigno vestita,
di certo i’ non pensav’a quel momento
ch’avrebbe segnato tutta la mi’ vita,
che sarebbe stato ’l mi’ eterno tormento!
Eh sì, perché, d’allora ’n poi,
cari signori, ’un ci fu versi di restà sereni
e ’i contai tanti e assai dolori:
che li su’ scritti di me erano pieni.
Chissà cosa ci vide ’n quell’occhiata!
E dopo nov’anni, poi, che lo salutai
allora sì che completai l’oper’iniziata
e con quel cenno lì mi condannai!
Lui mi vedeva come ’na Madonna,
sul piedistallo e fatta di virtù,
ma io sognavo, amavo, ero ’na donna
fatta di cuore, sensi e nulla più.
Addirittura, pe’ no’ levà le maldicenze
s’inventò d’ave’ ’na donna-schermo
che tutte le mi’ amiche, quelle lenze,
ridevano e si facevano di lui scherno.
Già, chi ci credeva alla su’ innocenza?
Che gli scriss’anche quando lei partì
e talmente ligio alla su’ coerenza
con un’altra subito la sostituì.
Ma che bisogno c’era di fingere così?
Da parte mia gli levai ’l saluto!
Lo capirà pensai alla fine, eh sì,
lo capirà che ’un l’ho mai voluto!
Macché! ’Ncurante della mi’ volontà
con Lapo e Guido ’nfin sul vascello,
e con ’un so chi altro, mi volle portà,
“a ragionar contenti d’amore” diceva quello!
E poi, sempre la mi’ morte a presagire
con le visioni del lutto anticipato
e dai e dai mi toccò morire,
pe’ fallo smette a ’sto sconsolato!
Ma neanche ’n Paradiso mi lasciò stare
che si mise ’n testa di scrive la Comedìa
e da cicerone gli dovetti fare,
e ce ne volle pe’ mandallo via!
Insomma se ’un l’avete ancor capito
chi parla è Portinari Beatrice
e finalmente a tutti ho confessato
che ’unn’è vero quello che si dice:
che troppo “gentile e onesta” egli mi fece
e che io a Dante ’un l’ho mai amato
e che le su’ parole mi sarebbero, sì, piaciute
se qualche volta m’avesse almen baciato!
Che te ne fai d’uno che sviene a ogni piè sospinto,
che cade sempre “come corpo morto cade”
che ’un sta mai dalla parte di chi ha vinto
e che diavoli, dappertutto, sempre vede!
Il su’ esser platonico m’ha così sfinita!
Sarà stato anche un poeta, un sognatore
ma se l’omo voleva esse’ della mi’ vita
doveva fa’ più fatti e men parole!
Lascia un commento