Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Postille su Stefania Giammillaro – Inediti

 

Stefania Giammillaro (Messina, 1987). Avvocato e Dottoranda in diritto processuale civile all’Università di Pisa. Ha all’attivo due pubblicazioni: Metamorfosi dei Silenzi, Edas, Messina, 2017, e L’Ottava Nota – Sinfonie Poetiche, Ensemble, Roma, 2021. L’unica sua novella “Nuncintedda” è stata pubblicata, con altri suoi componimenti, nell’antologia I Blu Books – Quaderni Collettivi, Vol. II, a cura di Valeria Serofilli, Felici Editore, 2020. Ha conseguito diversi riconoscimenti negli anni, a livello locale e nazionale. Si è esibita in diverse performance poetiche, delle quali si ricorda Ciuri ri puisia, (ottobre 2021 a Torino), nell’ambito del Festival Indipendente di Poesia Trasfusioni, ideato ed organizzato dall’associazione teatrale Lo scatolino – Ars in code. Dal 2022 è curatrice della sezione poesia della Libreria indipendente Civico 14 di marina di Pisa. In tale veste ha ideato e curato diverse Rassegne ed eventi culturali di cui si ricorda Un (A) Mare di Versi – Dialoghi d’autore, patrocinata dal Comune di Pisa e dall’Assessorato al Turismo, conclusasi lo scorso 29 aprile, che ha visto la partecipazione di ben otto poeti del calibro, fra i tanti, di Davide Rondoni e Beatrice Zerbini, oltre che aver conseguito un soddisfacente seguito. Alcuni suoi inediti sono stati di recente pubblicati sul quotidiano di rilievo nazionale La Repubblica, nella rubrica “La Bottega della Poesia”, delle sedi di Bari e di Napoli.

 

Tre poesie inedite di Stefania Giammillaro

 

Questa non appartenenza

ha il passo felpato della malinconia

ricorre biascicante

al “come stai” quotidiano

inalando ceneri di sicuro risparmio

 

Distrugge la centratura

all’equilibrio provvisorio

– un irrisorio Addio

al filo spinato che tocca la punta

 

Tacco, punta

tacco, punta

 

Scivolando negli inferi

dell’inspiegabile

non accorgersi.

 

*

 

Il respiro ha l’affanno verde delle vene

brucia come foglie secche

algido come bruma di vento

che accarezza i capelli

e nelle unghie carne viva

strappata alla ferita

 

*

 

Lasciami spiegare

della morte che non muore

del boccone amaro

che non brilla

alla giustificazione del riscatto

 

Un battito di ciglia

ancora sussurra

un aiuto di speranza

*

Consci dei limiti d’ogni intento definitorio, ci sembra di poter affermare che la poetica della Giammillaro si innesti nel solco delle correnti neo-ermetiche e/o neo-orfiche. I testi della poetessa, infatti, certamente non inclini a forme prosastiche, sono fortemente connotati da una semantica enigmatica ed allusiva, di ascendenza simbolista, dove gli aneddoti da cui principia il dettato si trasfigurano per il tramite di traslati spesso: (1) sinestetici; o (2) ossimorici; o (3) relativi all’uso della similitudine, Nell’ordine predetto si notino a titolo esemplificativo:

 

(1) del boccone amaro

che non brilla (…)

 

Un battito di ciglia

ancora sussurra (…)

 

qui la poetessa unisce, in una concezione olistica del dato ontologico, dove soma e psiche recepiscono simultaneamente i diversi stimoli sensori, i livelli gustativo-visivi e tattilo-uditivi. Peraltro, si noti come <<Un battito di ciglia / ancora sussurra>> sia sostanzialmente quasi identico – per immagine, prosodia e accostamenti sensoriali – ai primi due versi di Lago luna alba notte (del 1927) del più ermetico Ungaretti:

 

Gracili arbusti, ciglia          (settenario)   

Di celato bisbiglio…           (settenario o ottonario con sinalefe)                   

 

Un battito di ciglia                (settenario)

ancora sussurra                   (senario)       

 

 

(2) brucia (…) / algido

 

il conflitto dialettico, il quasi contestuale avvertimento degli opposti, riferito peraltro all’afflato vitale (<<Il respiro>>), è indicativo di quello sregolamento dei sensi, di quella rapidità delle oscillazioni emotive elette dai simbolisti francesi e successivamente dagli ermetici a valori costitutivi della poesia, costanti rinvenibili nella poesia della Nostra

 

(3) brucia come foglie secche

algido come bruma di vento

 

le due similitudini, introdotte dal comparativo di uguaglianza (<<come>>), rimandano anche in tal caso alla foresta di simboli, alle segrete corrispondenze che possono cogliersi tra le diverse entità, che si richiamano, si accostano di continuo, si compenetrano nel sentire di chi sappia sondarne le relazioni.

La pronuncia è essenziale, asciutta, resa in misure versali che a volte sfiorano il verso-parola di matrice ungarettiana, con un grado di resistenza alla parafrasi che induce il lettore a sostare sul testo, a coglierne le corrispondenze interne. Il tono dell’eloquio è dimesso, espressivo d’un io-lirico più monologante che dialogante, introflesso, separato dall’immediatezza del reale. Non a caso la Giammillaro pone in dominante <<Questa non appartenenza>>, una sorta di scollamento io-mondo, dove la deissi incipitaria (Questa) sembra palesarsi quale esito d’un pensiero rimuginante, esausto, che l’autrice finalmente esterna – o forse si direbbe meglio espelle – in funzione catartica.

 

Questa non appartenenza

ha il passo felpato della malinconia

ricorre biascicante

al “come stai” quotidiano

inalando ceneri di sicuro risparmio

 

Lo iato io-mondo, di cui si diceva, o finanche dell’io con se stesso (che appare duale, scisso in sé) o altro da sé (Je est un autre, scriveva Rimbaud) apre la breccia alla bile nera della malinconia, che quasi felina, subdola (<<(…) il passo felpato (…)>> si insinua nella sfera percettiva della poetessa, originando uno stato emotivo deflesso che il ricorsivo quanto intercalare <<(…) ”come stai” quotidiano>> non può risollevare.

 

Distrugge la centratura

all’equilibrio provvisorio

– un irrisorio Addio

al filo spinato che tocca la punta

La distruzione della <<centratura>>, ad opera della non appartenenza, <<l’equilibrio provvisorio>>, tornano a rimarcare un io-decentrato, quasi extra-testuale, comunque periferico, de-personalizzato, pericolante. È evidente come dietro la terza singolare che regge l’intero componimento, vi sia anche, in termini di scelta grammaticale, l’intenzione di rendere impersonale il dettato; quest’ultimo non assume mai i toni dell’autobiografismo confessionale, ma più quelli di un lirismo puro che si universalizza nella fanopea, nei correlativi adoperati, nel nitore d’un immaginismo crudo (<<filo spinato che tocca la punta>>) che si sostanzia in ipotiposi, in rappresentazioni essenziali e al tempo stesso vigorose ed immediate. Si noti, sul punto, che la tendenza a rendere materico il dolore, sperimentabile alla lettura, è dato costante della Giammillaro, come si legge nella seconda lirica: <<e nelle unghie carne viva / strappata alla ferita>> dove sembra non essere sufficiente la <<ferita>> (che già, ex se, denota lacerazione dei tessuti) occorrendo – quale sovrappiù di dolore – che la medesima sia ulteriormente straziata dall’atto di strapparvi <<carne viva>>. Ma v’è di più. L’allitterazione (carne-strappata-ferita) realizzata tramite l’iterazione del vibrante, alveolare e sonoro fonema <<r>>, amplifica in termini fonosimbolici, e dunque uditivi, la percezione dolorifica, inducendo il lettore, anche per il tramite dell’espediente retorico predetto, quasi ad accusare su di sé lo strappo.

 

Tacco, punta

tacco, punta

 

Scivolando negli inferi

dell’inspiegabile

non accorgersi.

 

V’è, in questa poesia, un procedere. Lo dicono le locuzioni di moto a luogo (<<al “come stai”(…)>> ; <<all’equilibrio (…)>>; <<al filo (…)>>). Lo dicono i lemmi utilizzati: passo felpato, Addio, nonché l’avanzare del passo stesso dell’io-lirico, in quel movimento articolatorio <<Tacco, punta>> iterato in un gioco di anafore ed epifore che bene iconizzano il dinamismo della scena. Ma la destinazione – in aderenza al mood umbratile e crepuscolare del dettato – non si schiude a nulla di redentivo o salvifico; la verticalità del testo, che progressivamente (anche in termini prosodici, di sedi ritmiche sempre più brevi) si sfina, pare iconizzare a livello tipografico la dichiarata descentio ad inferos, quell’ignaro – non compreso né comprensibile – scivolare nelle regioni ctonie della propria condizione esistenziale, che è di <<morte che non muore>>, di agognato <<riscatto>>, di <<un aiuto di speranza>>.