Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su <<Soglie vietate>> di Massimo Parolini (Arcipelago itaca Edizioni, 2022)

 

Il titolo che Massimo Parolini assegna alla sua silloge, <<Soglie vietate>>, ipotizza una zona liminare, limbicola; una sorta di metaxu all’interno della quale l’io-lirico sosta quasi in attesa d’un attraversamento salvifico, in qualche modo impedito come suggerisce il sintagma aggettivale <<vietate>>.

L’Autore oscilla (sezione 1, <<Oscillazioni>>, pp. 11-39) tra l’hic et nunc e l’altrove del non-più-esserci (cfr. sezione 2, <<Sottrazioni>>, pp. 43-59), consapevole del farsi e disfarsi d’ogni forma (p. 11, <<Forme>>), del mutamento evocativo di quel pánta rheî eracliteo che, proprio perché divenire, è sempre portatore d’un quid novi che <<ci chiama / e ci investe e ci chiede / occhi allo sguardo che dormiva>> (ibidem).

Il dettato del Nostro è piano; esso mira ad un claritas testuale – realizzata per il tramite del linguaggio denotativo – volta ad una maggiore fruibilità dei componimenti; poesia onesta, si direbbe alla Saba, scevra da manierismi e, soprattutto, tratta ab re esse, id est dai fatti, da un quotidiano realmente vissuto, patito ab imo corde e dunque vero (p. 69, <<Cartastraccia la poesia (…) / cartastraccia se poi non riesci, / uscito dal foglio, ad amare il reale>>).

Non a caso, le figure dell’umano che compaiono nell’opera, pertengono agli affetti primigeni; affetti che l’Autore percepisce visceralmente propri o che teneramente invoca, come indicano i possessivi anteposti ai nominali: <<mia madre>> (p. 14, <<Alzheimer>>), <<mia figlia>> (p. 15, <<Spine cadute>>), <<(…) mia moglie>> (nell’epigrafe dedicatoria della lirica <<La vigna>> di p. 24), o il vocativo <<o padre>> (p. 25, Il padre prodigo).

La semantica che connota a guisa di fil rouge il dettato di Parolini, muove dall’intentio di opporsi allo strisciante nichilismo ancora oggi in auge; l’Autore, expressis verbis, esperisce la sua vis polemica nei confronti di certa poesia e filosofia del novecento (Montale, Sbarbaro, pure amati dal Nostro) che ha ridotto l’essere-al-mondo a <<male di vivere>> o, per dirla con Sartre a <<passione inutile>>.

L’esistenza non è solo <<il nulla alle tue spalle>> (p. 15, <<Spine cadute>>); è anche calarsi nella <<vicenda di gioia e di dolore>> (ibidem) rendendosi prossimi a chi è <<ai bordi>> (ibidem, p. 16) del consorzio umano, ai derelitti, a coloro nei cui volti può scorgersi quello del Cristo sofferente; la vita non è <<culla del suo nulla>> (p. 29, <<Del tempo>>); di noi resterà qualcosa, magari <<un pulviscolo fra le stelle>> (p. 17, <<Non chiamare la resa>>) o una <<cellula impazzita (di gioia?)>> (ibidem), un che, dunque, di persistente seppure trasfigurato.

I versi, a livello stilistico, vengono sovente elaborati sul calco di quelli di poeti noti: ad es., Ungaretti, Foscolo; chiamato in causa è anche il Pascoli del <<X agosto>>, della <<Cavalla storna>> (p. 53, <<La scorta>>) nonché di <<Lavandare>> (p. 20, <<Animula, precipite>>).

Così <<Un’intera nottata>> (cfr. <<Veglia>>, Ungaretti) diviene <<L’intera mattinata passata>> (p. 14, <<Alzheimer>>) e la terzina in clausola <<non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita>> (<<Veglia>>, cit.) muta in <<non sono mai stato / tanto / attaccato a mia madre…>> (p. 14, cit.).

Si noti altresì – con riferimento alla figura paterna – la lirica di p. 25, <<Il padre prodigo>> il cui verso incipitario nonché il terzo muovono da stilemi foscoliani (<<Forse perché della fatal pace tu sei la forma>>, p. cit.; <<a me si caro vieni o padre>>, p. cit.) per poi tornare a recuperare echi e immagini ungarettiani tratti da <<Sono una creatura>>: <<vivo e totalmente animato>> (p. cit.), in un vero e proprio pastiche anche di diffusi inserti reboriani (a Valentina Petrini, reporter, p. 32) o di riprese con variazioni da Sereni, Manzoni, Keats, Carducci (p. 44, <<Aylan>>), fino alla lirica <<Risorgive>> (p. 45-48) ove i richiami leopardiani, gli innesti zanzottiani, le voci dialettali, ci danno la conferma che siamo in presenza d’una poesia intenzionalmente concepita in ragione di quel <<plurilinguismo strutturale>> (cfr. Endre Szkárosi, <<Plurilinguismo nella poesia italiana del secondo novecento>>) che sembra richiamare l’esempio paradigmatico elottiano di The Waste Land e che potremmo definire corale, polifonica.

Poesia, quella del Nostro, che predilige il trobar leu, s’è detto; che mira a rendersi accessibile al lettore senza gravarlo di particolari fatiche esegetiche.

Tuttavia non può tacersi il fatto che Parolini, in alcune prove, coniuga l’istanza comunicativa con quella – certamente più oscura ed immaginifica – tipica della poesia surrealista (p. 23, <<Rimasta>>; p. 27, <<Meduse dell’ansia verde>>); nel corpo testuale – in dette prove articolato con il cd. verso a gradino – il nostro fa uso di tecniche mutuate dallo sperimentalismo con, ad esempio, introduzione di tmêsis, taglio improvviso (p. 27 cit., <<dire / zioni>>) o di neologismi formati per composizione sintagmatica (p. 27 cit., <<balloscossa>>).

Tale sperimentalismo – anche da poesia visiva, potremmo dire approssimando – è presente nelle sezioni <<Sottrazioni>> (cit.), <<Medicando la luce>> (pp. 63-72), <<Come immagine accolta>> (pp. 75-86), ove l’evento sottrattivo della morte o la vaghezza di certe percezioni indefinibili, vengono resi dal Nostro, a livello iconico, mediante l’uso d’uno sfumato colore tipografico che dal nero degrada al grigio, fino quasi ad evocare <<lo scolorar del sembiante>> leopardiano, fino a quasi a confondersi e vanificarsi negli alba pratalia delle pagine (p. 43, <<ce ne andiamo>>; p. 55, <<scomparendo>>; p. 58, <<l’altra all’Invisibile>>, p. 86, <<mai vista>>).

Si noti altresì, in relazione a quanto appena sopra detto: – la riduzione dei costituenti ad unico sintagma (p. 63, <<sièristretta>>), volta ad un grafismo che esemplifica il senso della locuzione (id est, l’atto del restringersi della vita); – l’estensione del sintagma (p. 65, <<f r a m m e n t a n d o c i>>) mediante spaziatura dei singoli fonemi, per enfatizzare, anche in tal caso visivamente, l’atomizzazione insita nel verbo utilizzato.

Il dire poetico di Parolini si sviluppa altresì in liriche di denuncia politico-sociale; occorre richiamare alla coscienza quanto non si vorrebbe vedere e che pure è necessario vedere se si vuole che la poesia non perda il contatto con la vita reale;  così il <<tossico in transito>> (p. 18, <<Notturno, calce>>) o le <<esistenze in fuga / da una vita insicura>> (p. 32) o il bimbo-naufrago Aylan (p. 44, <<Aylan>>) non sono accidenti della Storia, ma conseguenze dirette d’un sistema di pensiero che ritiene di poter fare a meno di ogni referente morale, sistema incarnato da quell’<<occidente baumaniano nelle sue liquidità>> (p. 44, cit.) richiamato dal Nostro.

Eppure, nonostante la presenza del dolore nella vicenda umana, Parolini sembra dirci che <<la meta / – non [è] nel buio – anche se ignota>> (p. 15, <<Spine cadute>>), che solo <<talora>> (p. 16), e dunque non sempre, <<la (…) speranza / resta delusa>> (ibidem); e ciò nell’ottica d’una fides che aderisce alla dimensione escatologica dell’esistenza, che interpreta la realtà come mysterium riconducibile a <<Dio [che] creò il bello>> (p. 83, <<La prima gioia>>); un Dio che, Parolini, affronta face to face, levando il grido del proprio perché sull’incomprensibilità della morte, specie quando nega il futuro alle giovani vite: <<È questa, la tua ragione, Dio? / Serviva proprio lei, Ora?>> (p. 48, <<”Si è spento il suo sorriso”>> – ad Asja, mia studentessa, già in cavità>>).

 


Massimo Parolini è nato a Castelfranco Veneto (TV) nel 1967. Si è laureato in antropologia filosofica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Docente di materie letterarie a Trento dal 1995. Pubblicazioni: Non più martire in assenza d’ali (Editoria Universitaria – Venezia 1994) poesie sulla guerra nella ex Jugoslavia; La via cava (LietoColle 2015), #(non)piove (LietoColle 2018), poemetto dedicato ad una giornata di rinascita di D’Annunzio e Duse ai giorni nostri; L’ora di Pascoli (Fara Editore 2020), poemetto dedicato alla riunione del nido della famiglia Pascoli a Barga; Cerette (Fara Editore 2020), raccolta di racconti (con cornice veneziana). Nel 2019 ha collaborato con l’artista Giuliano Orsingher nella mostra di arte ambientale E-VENTO (sull’uragano Vaia) con il poemetto Lamento per lo schianto (Publistampa edizioni – Fondazione Castel Pergine Onlus). Collabora con alcuni blog letterari.