Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su Frammenti da zone soggette a videosorveglianza di Mauro Barbetti (Editrice Zona, 2022)

 

L’opera in commento, già vincitrice in forma inedita del premio nazionale Pagliarani 2020, si articola in due sezioni: <<Frammenti da zone soggette a videosorveglianza>> (pp. 9-64) e <<Serie di fermo-immagini>> (pp. 65-76).

L’incipit di ogni lirica della prima sezione (id est <<telecamera (…)>>), ossessivamente iterato, sembra voler porre in dominante la presenza d’un occhio neutro, vòlto a registrare la realtà tel quel, nei frames in cui si manifesta.

Ogni lirica pare elaborata secondo la teoria del rispecchiamento lukacsiano, per la quale l’arte, conformemente alla mimesi aristotelica, è chiamata a riprodurre fedelmente la verità storica, a farsi dunque realistica.

Si vuol dire che, nel corpus lirico in esame, Barbetti predilige la funzione descrittiva; l’io-lirico, pressoché eclissato, assume il ruolo di osservatore che si limita ad accostare le parti del discorso senza lasciar trasparire alcuna partecipazione emotiva.

Non a caso, infatti, la forma linguistica prescelta, è più denotativa che connotativa. Barbetti si affida all’imitatio, procede per flash riproduttivi del reale, così come restituiti dal <<ciclopico occhio>> (p. 42) o dal <<Focus>> (p. 48) della telecamera, per registrare (p. 11, <<- (io) registro>>) in forma icastica un divenire che si assume oggettivo, fisico, esente dal soprannaturale o dal misterico.

Di quanto detto si ha conferma nella lirica di p. 11, ove il <<vento>> (che pure potrebbe simbolicamente richiamare interventi ierofanici) è concepito unicamente quale complesso di <<forze vettoriali>> (ibidem).

Il Nostro antepone ai suoi frammenti una sorta di Prologo (p. 7, <<Mattutino>>) dalle misure versali brevi e dal ritmo incalzante (<<Tragitto casa-lavoro / non lungo – non breve>>, ibidem), tragitto espressivo d’un modus vivendi caotico, in cui si affastellano, repentine, scene urbane.

La lirica incipitaria di cui s’è fatta menzione (<<Mattutino>>, p. 7 cit.) è gremita di figure retoriche volte ad enfatizzare il ritmo impresso al dettato.   

Si notino: a) l’enumerazione per asindeto (p. 7, <<soste ai semafori / filari antropici nei viali / (…) sguardi marginali banali>>); b) il chiasmo, ovvero la disposizione inversa dei termini nel verso che segue rispetto a quella del verso che precede (<<su uomini e cose / su cose e uomini>>, ibidem); c) le antitesi <<comunitario o non / senz’anima o con>> (ibidem).

Tali accorgimenti figurali riflettono lo spasmo in cui versa l’uomo contemporaneo nonché la sua assenza di prospettive, come si legge nell’epanalessi <<l’ansia divenuta anatomia / l’ansia – e cosa c’è dopo e dopo il dopo / il niente che come solito accade>> (p. 7 cit.); un uomo la cui signoria sul mondo Barbetti revoca in dubbio, già per il solo fatto che, tra le entità fisiche, è la prima a passare, a perire, a nullificarsi (p. 42, <<transeunti e mai trasumananti>>).

Il poeta fa largo uso della tmesi, del taglio che divide in due parti i sintagmi, come nel caso, ad es., della lirica di p. 11, ove si legge <<pre- / dire>>, <<pre- / vista>>, <<pre- / senza>>; in questo caso la particella <<pre->>, si distacca dal termine posto nel verso successivo, e poiché detta particella è situata in finale di verso, integra altresì gli estremi dell’epifora (cfr. p. 33, in cui l’Autore utilizza la medesima tecnica con il prefisso <<dis->>).

Il linguaggio della silloge è un ricco articolarsi di calembour, quasi lapsus, bisticci e ritorni fonici che rendono molto musicale la pronuncia.

Si notino anche le omonimie – peraltro allitteranti – (<<volto / vòlto>>, p. 18) che sono anche quasi omografiche (se si elimina il segno accentuale) ma non omofoniche (vo-vò); si osservino l’uso della medesima radice con mera variazione desinenziale (p. 19, <<fino a fine>>) o la parechesi apofonica basata sull’alternanza vocalica (<<sale al sole>>, ibidem) o le rime interne (p. 29, <<figure scure>>) o identiche (p. 42, <<volumi di materia / scarti di materia>>) o ancora l’uso di parole composte ma scisse in prefisso e suffisso mediante l’accorgimento tipografico del trattino (p. 30, <<inter-calare>>/ (…) inter-mittente>>).

Barbetti ci consegna la visione di un’umanità alienata e spersonalizzata (p. 13, <<attori virtuali per strada>>), affetta da quieta disperazione (p. 17, <<Taciuta e tacitata la felicità>>), massificata e omologata (p. 39, <<il traffico seriale/serale / o esseri umani all’uscita / di un Centro Commerciale>>), quasi inesistente o evanescente (p. 45, <<transito apparente>>), in stato di <<quieta desistenza>> (p. 67).

Ci pare di scorgere nell’opera, sia pure implicito o sotteso, un significativo j’accuse al sistema sociale contemporaneo e al suo governo; il poeta, già restituendo in termini naturalistici la reificazione dell’umano, il <<problema di codici / di lettura personale e collettiva / di deriva o scollamento>> (p. 7), denuncia lo stato di passività e di supina accettazione in cui versa l’uomo davanti alle strutture del potere.

Un’opera, dunque, quella del Nostro, connotata da impegno civile, funzionale allo sviluppo di una rinnovata presa di coscienza, da parte di ogni lettore, della non felice condizione esistenziale rappresentata, che, ormai, accomuna gran parte della popolazione mondiale.

 


Mauro Barbetti è nato ad Ancona e vive ad Osimo. Insegna inglese nella scuola primaria. Ha pubblicato le raccolte di versi Primizie ed altro (La scuola di Pitagora, 2011), Inventorio per liberandi sensi (Limina Mentis, 2013), Versi laici (Arcipelago Itaca, 2017) e Retro Schermo (Tempra, 2020). Ha tradotto dall’inglese i poeti John Berryman e Keith Douglas. È redattore del magazine letterario Arcipelago Itaca.