Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su Feriti dall’acqua di Pietro Romano (peQuod Editrice, 2022)

 

L’opera in commento assume a referente simbolico l’elemento acqua.

Quest’ultimo, che a tutta prima potrebbe essere inteso in termini vivificanti, è qui concepito, al contrario, quale segno di offesa (l’acqua ferisce, dice il titolo della silloge), di stagnazione e morte (p. 12, <<Acqua morta>>; p. 32, <<acqua di flebo>>).

L’io-lirico pare posto in una zona liminare (si noti l’iterazione del sintagma <<soglia>>, cfr. pp. 8, 13, etc.) che in termini psicoanalitici è più fantasmatica che reale, poiché popolata da visioni perlopiù inconsce che sembrano erompere da un’intensa elaborazione psichica di desideri inappagati.

L’appetizione di un oltre-soglia (p. 13, p. 18, etc.) è bene espressa dal poeta mediante il leitmotiv della fame e della sete (p. 55, <<affamati d’amore non si vive>>; p. 23, <<Non si appiana la sete>>) che, nel cammino esistenziale (si noti l’uso quasi ossessivo-anaforico di passo-passi), restano senza ristoro.

Romano pone en relief uno straniante senso d’orfanità, la perdita irrisarcibile degli affetti primigeni (p. 36, <<Madre, oggi ti colgo nella luce dei vetri>>; p. 55, <<Padre dentro di me precipitato / serrato nella pelle delle cose / inabitate>>) che induce a percepirsi alla stregua di un <<senza-casa>> (p. 54) che anela al calore di una dimora (cfr. <<sono qui ad attendere riparo>>, verso di p. 60, nonché titolo della quarta partizione dell’opera).

L’immaginario poetico cui attinge l’Autore può ascriversi alle correnti del crepuscolarismo e del decadentismo.

Le atmosfere dell’opera, peraltro coerenti con gli sviluppi tematici di cui s’è dato conto, sono sempre umbratili, chiaroscurali, livide e plumbee; i verbi utilizzati richiamano il cadere, lo sfiorire, l’estinguersi (p. 15, <<la viola / sfiorita>>; p. 18, <<volto che declina>>).

Anche le ambientazioni climatiche, esclusivamente autunnali o invernali (p. 81, <<Raggelate le stanze. Il tuo volto è l’inverno>>), assurgono a correlativi oggettivi di mesti stati interiori, di scollamento tra il sé ed il mondo (p. 11, <<le panche della tua solitudine>>), di percezione del nihil, della vacuità iconizzata dalla <<parola cava>> (p. 12), dall’<<albero cavo>> (p. 25).

 Pure a livello oggettuale, con riguardo cioè alle res che si rinvengono nel corpus lirico, vi sono continui rimandi ad un senso di lacerazione (p. 16, <<Le stoffe da rammendare>>) e di putrescenza (ibidem, <<l’arancia / a marcire>>); il poeta sembra muovere i passi in uno stato soporifero o sonnolento, in una sorta di dormiveglia che rende il dettato – conformemente allo stato psichico ipnogeno o mesmerico in cui l’io versa – vago ed indefinito.

Del pari, sempre nell’ottica di accostare i versi di Romano a quelli dei crepuscolari e decadenti, occorre evidenziare che la <<luce>> (p. 9, etc.) spesso affievolisce mutandosi in <<lume>> (p. 42, etc.), il quale rimanda ad un’incerta fiammella, ad una sorta di lumino cimiteriale, al lucore di una lampada votiva.

Il linguaggio utilizzato, scevro da ogni forma di imitatio naturae, anzi prettamente connotativo, predilige l’obscuritas testuale, quel trobar clus in cui si trasfigurano le occasioni da cui le liriche traggono origine.

I componimenti, salvo alcune eccezioni, sono spesso a-logici, privi di connettivi o rapporti sintattici (p. 35, <<finestre di un corpo vivo>>), schiettamente evocativi, non parafrasabili.

Lo sforzo ermeneutico, dunque, deve aver riguardo più che alla semantica, alle suggestioni che i versi sollecitano nel lettore per effetto della voluta disseminazione – da parte dell’Autore – di cenni, indizi, immagini che si susseguono repentine, flash, spezzature, enumerazioni per asindeto (p. 7, etc), emistichi a guisa di sentenza (p. 18; 25) che impediscono di individuare la linea diegetica, ma che consentono di entrare in sintonia con gli stati emozionali cui detti versi alludono.

 

 


Pietro Romano (Palermo, 1994) si è laureato in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna con una tesi su Nino De Vita. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche, tra le quali Fra mani rifiutate (I Quaderni del Bardo, 2018) e Case sepolte (I Quaderni del Bardo, 2020, pref. di Gian Ruggero Manzoni, postfazione di Franca Alaimo), quest’ultimo classificatosi tra i libri finalisti del Premio Mauro Prestigiacomo. I suoi versi sono stati tradotti in russo, greco, catalano e spagnolo, e inseriti nell’antologia Le parole a quest’ora (Free Poetry, 2019, a cura di Paolo Galvagni).