Note Psicopoetiche di Valeria Bianchi Mian | Anaïs Nin

 

La casa dell’incesto | House of incest | prosa poetica 1932/1958 | Estratto:

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La prima volta che la vidi, la terra era velata dall’acqua. Appartengo a quella razza di uomini e di donne che vedono le cose solo attraverso il velo del mare, i miei occhi hanno il colore dell’acqua.

Guardai con occhi di camaleonte la mutevole faccia del mondo, con sguardo anonimo guardai dentro il mio io incompleto.

Ricordo la mia prima nascita nell’acqua. Intorno a me una trasparenza sulfurea e le mie ossa si flettono come se fossero di gomma. Oscillo e ondeggio su alluci privi di ossa, protesa a cogliere suoni lontani, suoni che orecchie umane non percepiscono, a vedere cose che occhi umani non scorgono. Nata con la memoria delle campane di Atlantide. Sempre in ascolto di suoni perduti e alla ricerca di perduti colori, sempre protesa sulla soglia come chi è angosciato dai ricordi, cammino nuotando. Fendo l’aria con ampie pinne e nuoto attraverso stanze senza pareti. Espulsa da un paradiso di silenzio, cattedrali ondeggiano al passaggio di un corpo, come musica senza suono.

Questa Atlantide si può ritrovarla soltanto di notte, lungo la strada del sogno.

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My first vision of earth was water veiled. I am of the race of men and women who see all things through this curtain of sea, and my eyes are the color of water. 

I look with chameleon eyes upon the changing face of the world, looked with anonymous vision upon my uncompleted self.

I remember my first birth in water. All round me a sulphurous transparency and my bones move as if made of rubber. I sway and float, stand on boneless toes listening for distant sounds, sounds beyond the reach of human ears, see things beyond the reach of human eyes. Born full of memories of the bells of the Atlantide. Always listening for lost sounds and searching for lost colors, standing forever on the threshold like one troubled with memories, and walking with a swimming stride. I cut the air with wideslicing fins, and swim through wall-less rooms. Ejected from a paradise of soundlessness, cathedrals wavering at the passage of a body, like soundless music.

This Atlantide could be found again only at night, by the route of the dream.

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L’avventura letteraria dei Diari è stata per la Nin un viaggio analitico durato oltre trent’anni, dentro il quale La casa dell’incesto si pone come isola misteriosa in prosa visionaria, di poetica surrealista ispirata a Rimbaud e Breton. Un’esperienza che si situa al crocevia tra la scrittura autobiografica e i romanzi che non avevano ancora assunto la maturità produttiva; l’autrice non era ancora entrata nel sogno atlantideo e non era di certo uscita dal paradiso protetto dell’essere altro da sé, del non conoscersi abbastanza bene, così da poter varcare la soglia. Sarebbe arrivato, un giorno, il momento della coscienza capace di accendersi nel mare inconscio e poi nella terra di mezzo, transitando piena di senso dal subacqueo all’aereo. “Procedere dal sogno per entrare nella vita” è un concetto che l’autrice avrebbe preso in prestito da Carl Gustav Jung, citando l’autorevole fonte d’ispirazione analitica proprio nei Diari, pur non essendo stato lo psicologo svizzero uno dei medici dell’anima ai quali Anaïs Nin si rivolse. Nel ’32 la scrittrice abitava con il marito in una bella dimora a Louvenciennes e aveva conosciuto da poco l’erotismo della coppia Henry Miller/June. Proprio quest’ultima, moglie del prolifico autore di romanzi densi di vita sanguigna, come lui figura imagogenica*, è icona e immagine archetipica che nella casa incestuosa compare con il nome di Sabina – “Vieni via con me, Sabina, vieni nella mia isola” – e che poi, nei romanzi, tornerà sotto forma di specchio  attraente ispiratore di parole. 

Il camaleonte mutevole è la stessa autrice che negli anni Trenta apriva finalmente la porta della propria abitazione e delle aspettative sociali per lasciare entrare l’ignoto, il ricordo e le ipotesi di futuro, le memorie di Atlantide e le pulsioni ancora inespresse, votandosi alla poliedricità, andando in esplorazione attraverso la scrittura autobiografica dell’insondabile animo inquieto che la governava.

June Miller fu per Anaïs una sorta di Doppio, l’aspetto mancante dal quale avrebbe attinto per vedere i colori che “si sciolgono senza delimitazioni“, in un abbraccio amniotico durato il tempo necessario per afferrarne il senso e farlo proprio, per trasmutare il sulfureo in scrittura curativa. “Suono dentro suono, scena dentro scena, donna dentro donna – come un acido che riveli una scrittura invisibile. Una donna dentro l’altra, alla fine, in una processione che spinge lontano“. Lasciarsi decomporre per trovare se stesse: non è forse questo il primo incontro con le figure dell’Ombra? In questo caso però, l’Ombra è piuttosto un Doppelgänger che apre alla Nin una mitopoietica onirica. Nel volumetto in questione si spalanca la possibilità di utilizzo dei sogni in scrittura, l’intreccio tra la corporeità animale e la spiritualità allucinatoria, il coraggioso approccio all’ansia attraverso la parola poetica. Il tema dell’incesto sarà un argomento chiave nella vita concreta della Nin, nella relazione erotica reale con il proprio padre, e verrà approfondito a più livelli nel periplo segreto dei Diari, mentre nelle pagine de La casa resta ancora informe, avvolto nel proprio travestimento surrealista. Tra i primi lettori, Lawrence Durrell; il futuro autore di Justine (romanzo del cabalistico Quartetto di Alessandria) apprezzò particolarmente le  forme “malleabili” e “improvvise” del libro.

Un magma poetico, un mondo marino inconscio, dal quale emergono “pesci di velluto, di organza, con denti di merletto, pesci di taffetà luccicanti, di seta e piume e lanugine, fianchi di lacca e occhi cristallo di rocca, pesci dalle squame inaridite e occhi di uvaspina, occhi di albume. Fiori che palpitano sullo stelo come cuori marini. Non avvertono il proprio peso, il cavalluccio marino si muove come una piuma…

No, non è possibile entrare in questo mondo atlantideo se non ci si tuffa nel sogno.

Quando, da ragazza, incontrai la potenza di questa donna, fu proprio attraverso le stanze di quella che lei stessa definì “la mia stagione all’inferno” che me ne innamorai.

Ricordo la prima volta che mi parlarono di lei: “Devi conoscerla, ti piacerebbe molto” disse M., amica di letture e di esplorazioni identitarie. Io ero una ragazzina affamata di ‘parole guida’, una ricercatrice di libri indimenticabili. Volevo ascoltare voci che mi penetrassero l’anima.

Ne ho parlato qui *

e qui *

Tutto quello che so è contenuto in questo libro” confessa l’autrice.

*Imago-genico: un mio neologismo, rispetto al quale è attualmente in atto un confronto sulla possibilità o meno di accostare termini greci a latini; in ogni caso il termine è a mio avviso sufficientemente d’impatto per dire quei soggetti che offrono in se stessi, come propria qualità, la mediaticità sufficiente per attrarre pubblico, e la buona forma per attirare – rispetto all’individuo – una “maggiorazione” delle proiezioni di altri individui, diventando schermi perfetti per la rappresentazione degli dei perduti. Per l’utilizzo del termine “imago” vedi Jung, Vol. 5 Opere. – Già in: *

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A. Nin con un’opera di Jan Hugo, copertina di “Sotto la campana di vetro”

Anaïs Nin nasce nel 1903 da un pianista e da una cantante cubani. Lui ha origini catalane e spagnole, lei francesi e danesi. Il padre abbandona la famiglia quando Anaïs ha 11 anni; la bambina segue la madre a New York. Abbandona la scuola, comincia a lavorare come modella. Sposa il banchiere e pittore Hugo Guiler (Jan Hugo). Per tutta la vita cerca di riconquistare un rapporto con il padre, sia come coscienza di sé e del ruolo paterno in sé stessa, sia come relazione affettiva (che per un certo periodo è davvero incestuosa). 

[The diary of Anaïs Nin, 7 voll., 1966-80; trad. it., 6 voll., 1977-81; Linotte, the early diary of Anaïs Nin, 4 voll., 1978-85. Nel 1992 − col titolo The unex-purgated diary of A. Nin 1932-34; trad. it., Incesto, 1993 − è stata inoltre pubblicata una lunga sezione che ragioni di autocensura e di opportunità avevano indotto la N. a stralciare dal primo volume del Diary. – Enciclopedia Treccani].

L’eroe di questo viaggio” scrive a proposito dei Diaripotrebbe essere l’anima, ma è un’odissea dal mondo interno al mondo esterno” mentre nella prosa poetica de La casa, il movimento è duplice, un nuotare dentro-fuori, opera alchemica dalla quale prenderà avvio tutta la produzione letteraria successiva.

[Punto di avvio della sua analisi è il mondo dell’inconscio e del desiderio, realtà che N. era andata scoprendo con l’aiuto di diversi psicanalisti, fra cui O. Rank, che ne incoraggiò l’elaborazione mitologica. Divenuta amica e sostenitrice di H. Miller, con lui, L. Durrell e altri formò il gruppo di Villa Seurat, avviando quella riflessione comune su genere e creatività che attraverserà i suoi diari e gli scritti narrativi e critici (in particolare A woman speaks, 1975, e In favor of the sensitive man and other essays, 1976). (…) La sua prima, e forse migliore, opera, il poema in prosa The house of incest (1936; trad. it., 1979 e 1986), rappresenta infatti, in sette frammenti surrealisti, “la stagione all’inferno di una donna” alle prese con la proiezione di sé negli altri e con la lacerazione interiore che precede la nascita dell’artista. – Enciclopedia Treccani]