Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su <<Appese a un chiodo ma vive>> di Alessia Bettin (puntoacapo, 2023)
<<Appese a un chiodo ma vive>>. Così Alessia Bettin titola la sua silloge, uscita per i tipi di puntoacapo, nella collana <<controcorrente>> diretta da Alessandra Corbetta, Dario Talarico e Alessia Bronico.
La locuzione, mutuata dall’uso vernacolare veneto – come la stessa Autrice annota in calce a p. 71 – e che parafrasa con <<salvi per miracolo, sopravvissuti>>, è indicativa d’uno stato di sospensione esistenziale, latu sensu limbicolo.
Il <<chiodo>> si atteggia ad appiglio posticcio d’un io-lirico che si avverte pericolante, malcerto. Eppure, il senso di precarietà cui s’è fatto cenno, è temperato dall’avversativa <<ma>>, la quale, in funzione reattiva, sembra introdurre il dasein heideggeriano, il percepirsi comunque vivi, presenti a se stessi e al mondo.
Del resto, l’impulso vitale di Bettin è posto in claris nei versi con non poca veemenza, con tempra vigorosa: <<sentirlo quando il raggio di sole / ti abbaglia su un campo di soffioni / quando gli zigomi sfidano l’oceano>> (cfr. p. 13), e ciò anche – o forse soprattutto – laddove si dovesse stare nel <<non amore>> (cfr. p. 14), in quella condizione umbratile e crepuscolare efficacemente resa con i correlativi delle <<case in fondo a certe vallate / sempre in ombra (…)>> (ib.) e delle <<chiazze di neve gelata>> (ib.).
Dentro questo non amore stai
come la signora china
col sacchetto di plastica sottobraccio
che dà il pane alle nutrie
stai come le case in fondo a certe vallate
sempre in ombra poche ore di sole al giorno
chiazze di neve gelata tu stai
in uno spazio militarizzato
nella panna caduta dal cono gelato
in slow motion cammini
tra la plastica
portata dal mare.
Si notino, nella lirica sopra riportata, le sapienti collocazioni del sintagma <<stai>> (ora impiegato in epifora, ora in anafora, ora di nuovo in epifora), volte a creare – per il tramite del movimento delle iterazioni – un notevole effetto incantatorio, quasi soporifero, in perfetta aderenza con il mood ovattato e silente del paesaggio rappresentato.
Impulso vitale s’è detto sopra. Ma nei versi è pure posta in dominante – costituendo una sorta di leitmotif che percorre il macrotesto – l’emozione primaria della paura (cfr. p. 13, <<per paura del livido>>; p. 15, <<Non avere paura di fallire (…)>>; p. 23, <<la paura dei ladri>>; p. 31, <<la paura del buio>>, etc.), la quale, più che denotare la fisiologica risposta all’imminenza d’un pericolo, sembra espressiva d’un rapporto non pacificato con il reale, condizione, quest’ultima, che appartiene a tutti i poeti e che forse costituisce la ragione prima del facere poetico.
Dasein, esser-ci, essere-nel-mondo, si è anche detto. Ma pure percezione della propria estraneità (cfr. p. 15, <<ovunque estranea>>), di quel senso d’incompiutezza evocato dai tropi o traslati dell’<<architettura inconclusa bordo strada / hotel non finito>> (ib.). È in questa tensione dialettica, tra limite e desiderio del suo superamento, tra solitudine dell’io e apertura al mondo che si articola il dettato di Bettin; l’alterità, il Tu cui si rivolge, è teneramente interpellato mediante il conativo <<innesta una biglia felice tra i miei patimenti>> (cfr. p. 26), formula che lungi dall’esprimere comando, si atteggia ad invocazione, ad esortazione, a richiesta di vicinanza.
Non è dunque, quella di Bettin, mera poesia confessionale o solipsistica; la diegesi poetica non confina mai l’io-lirico nel ripiegamento in se stesso; lo dimostrano le strutture dialogiche, chiastiche si potrebbe dire, adoperate – a titolo esemplificativo – nel componimento di cui alle pp. 26-27 (cfr. <<ti dirò (…) / E tu dirai (…) / Tu dirai (…) / Ti dirò (…)>>; lo rivelano le locuzioni versali declinate in seconda singolare (cfr. p. 47, <<vorresti andare anche tu lassù>>) o in prima plurale (cfr. p. 55, <<Ci siamo abbracciati dietro ai cessi>>), o le indeterminative (cfr. p. 13, <<si va soli si va osservando>>); lo esplicitano le morfologie verbali sovente mantenute nella loro forma base (cfr. p. 63, <<è stare sotto un cielo che minaccia>>; p. 68, <<respirare lo scarico della mercedes>>) che nella loro indefinitività accolgono una potenzialità casistica talmente ampia tale che ogni lettore può sentirsene interpellato. Non è un caso che l’Autrice scriva de <<I miei tempi verbali all’infinito / sono così bold da farti piangere>> (cfr. p. 28).
Il dettato, che potrebbe definirsi bilinguista, data la commistione tra lingua madre e anglosassone, con inserti idiomatici certo ormai d’uso comune (bold, slow motion, loop, plexi, etc.) dice d’una ibridazione del linguaggio – i cd. prestiti – che la Nostra assume non per vezzo, ma per rendere un parlato che riflette i mutamenti linguistici e, con essi, il modo di pensare il mondo, di intenderlo, se vogliamo.
Una poetica, quindi, quella di Bettin, sicuramente contemporanea, che fa del trobar leu la sua cifra stilistica. Si vuol dire che la pronuncia è sovente intellegibile, parafrasabile senza dover ricorrere a particolari sforzi ermeneutici. Si badi bene: la chiarezza testuale dei componimenti – che si oppone a tanta poesia spesso inutilmente indecifrabile – non postula l’uso da parte della poetessa del linguaggio di grado zero; gli scarti linguistici sono presenti, come pure i molteplici apparati figurali, ma mai forzati o eccessivamente trasfigurati, sempre resi per il tramite di una fanopea (ossia, stando a Pound, la parola capace di <<proiettare un’immagine visiva sulla mente>>) e di una allusività che procedono per epifanie improvvise, spesso emergenti – così ci pare – dalle regioni inconsce o da visioni oniriche anche inquietanti (cfr. p. 36, <<i sogni / pisciavo nel tuo salotto / ero un bambino / l’urina usciva / non la controllavo>>; p. 46, <<ci sono scorpioni che risalgono / le tubature a notte fonda>>; p. 31, <<Ai bambini morti / piacciono le filastrocche>>).
La tecnica compositiva impiegata dalla Nostra – sia detto in via tendenziale – assume spesso a referente la figura dell’enumerazione per asindeto che a volte sfocia in accumulazione caotica secondo l’accezione fornitane da Leo Spitzer. L’accostamento oggettuale, infatti, ora si presenta nel medesimo contesto tematico (cfr. p. 65 <<il piano alimentare / due ore di allenamento a giorni alterni / il climbmill per cominciare / i carbo, le prote, la giornata veg / lavoro in multifrequenza / i glutei contratti nei leggings / i tacchi di plexy>> dove è evidente che i sostantivi utilizzati pertengano al medesimo topic di fondo) ora in modo che il legame tra gli elementi sia di semplice associazione d’idee, come nella lirica di p. 39
Ci sono mucose licantrope che si trasformeranno
denti d’oro cicatrici antidolorifici budelli
cornamuse che prendono il volo paure
occhi verdi attraversati da un raggio di luce
c’è gente che litiga e non può più vedersi torte vomitate
(…)
C’è, nei versi di Alessia Bettin, un’esortazione ad uscire da sé, a sbozzolarsi (cfr. p. 71, <<sbòzzolati fuori da quella vestaglia>>). Il termine – e non importa se l’Autrice ne fosse o meno consapevole – non può non rimandare all’idea zanzottiana del mondo quale <<io male sbozzolato>> (cfr. Al mondo, Andrea Zanzotto), mondo – e si potrebbe dire soggetto – che è tuttavia chiamato ed invitato – come nel caso della Nostra – ad ex-sistere, a venire finalmente fuori, a vivere accettando anche il <<passo falso>> (cfr. p. 13), ad es-porsi senza tema di giudizio altrui (cfr. p. 15, <<Non avere paura di fallire pubblicamente>>). Invito e monito, si potrebbe dire, per sentire <<una rinascita>> (cfr. p. 72) ma appunto muovendosi verso un orizzonte di senso, <<attraversando un viale>> (ib.), con una rinnovata fiducia <<come a diciott’anni>> (cfr. p. 75).
Sono parole universali quelle di questa Nostra talentuosa poetessa. Anche noi come lei dovremmo dirci, e dircelo spesso, a mo’ di preghiera o mantra:
(…)
allora io dico
sbòzzolati fuori da quella vestaglia
lavati il viso e i capelli
spalanca gli scuri
ascendi alla vita
e vieni
nel mio anfiteatro di arbusti.
Alessia Bettin è nata a Padova nel 1982. È laureata in Lettere e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il premio Esordi 2020 Pordenonelegge, il premio di poesia Coop for Words 2018, il premio speciale del presidente di giuria Bologna in Lettere 2019 per la poesia inedita e il premio Action4Land 2021 Seven Blog. Ha pubblicato la raccolta di poesie Ci aspettano estati tropicali, presente nell’ebook ESORDI I 2020 (Pordenonelegge, 2020). Nel 2019 ha frequentato la scuola di scrittura Bottega Finzioni. Alcune sue poesie sono apparse su blog e nella rubrica di Repubblica “La Bottega della poesia”. Appese a un chiodo ma vive (Puntoacapo Editrice, 2023) è la sua raccolta di esordio.
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