A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Luisito ha parole segrete nelle gambe: nota di lettura a Sette voci in campo (edizioni La vita felice 2021)

 

Mi riempie sempre di gioia imbattermi in una poesia che osa il confronto con le cose disparate della vita, quelle che a tanti non verrebbe in mente di considerare degne protagoniste di una poesia. A me pare invece una misura dell’espansione dello sguardo, un segno della sterminata comprensione del cuore, certificazione di una vista non affetta da miopia sentimentale, una dichiarazione di accoglienza ampia, dedicare versi a fatti che appartengono al quotidiano e ci riguardano.

Del resto non è forse la poesia quello spiraglio che ci permette di osservare il mondo? quella fessura di luce che apre a una dimensione illimitata, e dunque ci sono argomenti non degni di apparire sul bianco della pagina? c’è forse qualcosa da escludere, un alto e un basso, un nobile e un plebeo?

Sette voci in campo dichiara fin dal titolo che qui si parla di calcio, un calcio osservato e vissuto in angolazioni diverse. Non è una novità un’antologia dedicata allo sport, alcuni mesi fa avevo letto un bellissimo libro del giornalista Stefano Savella, Lo stadio universale, edito da Stilo editrice nel giugno 2021, in cui poeti di tutto il mondo si confrontavano con gli sport più disparati, con una sezione abbastanza ampia e articolata dedicata al calcio.

Le sette voci in campo raccontano ognuna della dimensione personale che il calcio ha avuto nel passato e ha nel presente. Gli autori provengono da zone geografiche e da realtà anagrafiche diverse, se c’è un sentimento che prevale mi sembra essere quello di una certa nostalgia per l’aura eroica, quell’atmosfera di grande impresa sportiva legata al calcio.

Soprattutto il calcio di una volta, quello del cuore e non degli ingaggi a esagerazioni milionarie; un calcio che si presume puro e pulito, forse ancora esistente nelle formazioni giovanili, diverso da quello attuale invischiato nelle frodi fiscali, sempre più industria che macina denaro e sempre meno sport, sempre più parlato, discusso, chiacchierato più che giocato, spazio che regge giornali e trasmissioni televisive, sempre più nuovo oppio dei popoli che cavalleresca tenzone sportiva.

Dunque il titolo è Sette voci in campo, e il sottotitolo recita: Antologia poetica sul calcio. Gli autori sono tutti noti a chi frequenta la poesia con una certa assiduità: C. Bagnoli – M. Bellini – V. Mastropirro – C. Pagelli – A.Panetta – G. Parodi – P. Vitagliano, la casa editrice è La vita felice. In esergo una dichiarazione degli autori: “Sette voci in campo è un’antologia poetica sul calcio nata dalle comuni passioni degli autori, calcio e poesia, e si propone come momento di riflessione sull’argomento”.

Memoria e fantasia vengono tirate in campo, ed è in questo ambito soprattutto che si muove il libro. Corrado Bagnoli apre le danze con i ricordi da bambino e bellissime, folgoranti immagini:

Un fischio per partire: linee,

dritte o curve, perfette e regolari.

E un motore di uomini che gira

con una palla in mezzo ai piedi.

È un cielo, una galassia nata

da chissà che fuoco, da quale

caso o amore lontano. Poi

il pallone si accende: una scia

di cometa taglia l’aria sul prato.

Bagnoli mette nero su bianco il ricordo della sua prima partita da spettatore, quando, ancora bambino, il padre lo caricava sulla giardinetta diretta allo stadio. È un vero poemetto che affronta non solo il calcio ma tutta la maniera di intendere lo sport e costituisce una intensa premessa alla raccolta e anche una promessa di tenere alta la qualità dei testi. Promessa in verità mantenuta in maniera encomiabile da tutti i sette autori presenti. Lo stadio mi sembrava una conchiglia attorcigliata intorno all’aria, dichiara un verso di grande eleganza, e più avanti snocciola l’intera formazione della gloriosissima Inter degli anni ’60. La poesia qui si fa telecronaca avvincente e tocca vette altissime di intensità:

Luisito ha parole segrete

nelle gambe: è un attimo

decidere, come nella vita.

Sa che deve lasciarla andare

via, regalarla a un altro.

Ma davvero di tutti gli autori si dovrebbero presentare lunghi e bellissimi brani, ma non sarebbe più una recensione, diventerebbe un’antologia dell’antologia, e toglierebbe agli eventuali lettori il piacere della sorpresa.

Marco Bellini rievoca invece, con altrettanta bellezza, le partitelle senza fine disputate su improbabili campetti con gli amici, dove a far da pali erano sufficienti due maglioni, e a chiudere il gioco non era il fischio dell’arbitro ma le voci delle madri che chiamavano a raccolta per la cena:

Due maglioni buttati

la giusta distanza, il pallone

confuso tra i piedi

rimbalza nelle fantasie inseguite

messe lì a bordocampo.

È buio.

Le madri chiamano dalle finestre.

Il prato, unico stadio possibile

inizia il turno di notte.

Il gufo scivola:

piccole morti si preparano

tra l’erba lasciata

senza maglioni.

Anche qui c’imbattiamo in versi di grande bellezza, per esempio quelli nel ricordo di un amico scomparso che nutriva la stessa ardente passione per quella palla che rotola nell’erba:

 Sullo schermo

 dietro le palpebre chiuse lo so

 ti stai guardando la rovesciata

 di van Basten in coppa dei campioni

che ancora il portiere piange.

Anche per Vincenzo Mastropirro il pallone riporta i ricordi di un’infanzia passata su campetti improvvisati, e c’è anche qui una mamma che recrimina, rampogna, e c’è anche la vitalità dell’autore, che confessa che fare il portiere non era precisamente nelle sue corde:

non ho mai fatto il portiere

pensare al suo eremo, al suo chiodo fisso:

parare, parare le offese, rinviare di piede

volare in cielo, allungarsi come una biscia

mostrare i pugni più grandi dei guantoni.

Vincenzo si esprime soprattutto nel dialetto pugliese di Ruvo di Puglia, è in quella modalità che offre il meglio di sé, e inoltre conoscendolo abbastanza bene, confesso che sempre riesce a emozionarmi quando legge le sue poesie:

u pallòne

 cume la poésèje

 pote ìésse

 nu pinue de parole

 scettote all’arje

 cadìute alla ce-me-fraike

 puste a pùoste

 core-a-core

“il gioco del calcio/ come la poesia/ può essere/ un pugno di parole/ buttate all’aria/ cadute alla rinfusa/ messe a posto/ con amore”

Claudio Pagelli regala invece piccole, incisive fotografie di momenti topici del calcio, l’azione solitaria e mitica del nostro dieci, il batticuore che provoca il calcio di rigore, e minimi particolari che si imprimono nell’immaginazione: il mediano biondo dai piedi sghembi, la voce del radiocronista, l’annuncio del gol della vittoria:

Il nostro dieci che dribbla

tre avversari sulla trequarti

punta il fondo, crossa di sinistro

(da bordo campo, qualcuno grida

qualcosa che non capisco)

il mio corpo in volo, senza pensare

– il pallone alle spalle del portiere

 un instante di perfezione

 un brivido di sole, dentro

 dove non so dire…

Anche Alfredo Panetta appartiene alla schiera dei bravi poeti dialettali, anche in lui rivivono, nel dialetto calabrese di origine, le cronache di Paolo Valenti, e quel Milan Bologna al novantesimo, e rivivono le imprese da adolescenti con le partite disputate nel letto sassoso di un fiume:

Non nc’è nenti ’i mali nesciri

 ò stessu annu, ’a stessa terra

 capitani ’i ddu bandi cunthra

 ogni dominica pigghjiarisi a pallati

 nto pethrusu letthu du hjiumi.

Niente di male nascere/ lo stesso anno, stessa terra/ capitani di due bande contro/ ogni domenica prendersi a pallonate/ sul letto sassoso del fiume.

Gianmarco Parodi è il più giovane di questa compagnia calcistica, frequentatore come gli altri dei ricordi legati al calcio, il giovedì sera l’allenamento, il catechismo delle gambe dure, e la domenica il freddo, e la milza nel cuore, e la filosofia del pallone esplicitata in pochi versi:

Vincere era dominare la specie,

 dettare la legge sull’uomo,

 era decidere al giro dopo tu sì

 tu no, tu di qua tu di là,

 quando rimaneva solo lo scarso,

 zitto, che non voleva nessuno.

E nei versi ricorrono accensioni di entusiasmo che attraversano la carta e contagiano riportando a galla momenti di felicità collettiva che abbiamo nel tempo imparato a celebrare, momenti in cui la sensazione di essere una comunità diventa qualcosa di tangibile:

E allora la sedia è volata nel grido

 e le macchine in strada e l’ultimo

 tiro e poi boom, Vittoria.

 E tirare mattina coi tuffi dal molo

 i ragazzi, le moto, bandiere per strada

 trattori e sirene, campioni del mondo

 una notte per noi, Vittoria,

 nel mondo i migliori per sempre.

Chiude la rassegna calcistica Pasquale Vitagliano, con undici frammenti in forma di haiku; già il numero è sintomatico, e infatti si tratta di una sorta di formazione ideale che parte dal portiere Zoff e comprende terzini, centrocampisti e attaccanti in un perfetto equilibrio, evidenziando di ogni figura una sua particolarità, che sia la scivolata o la gamba come un rasoio o il non lasciar spazio agli attaccanti o una cavalcata rapinosa, minimi schizzi che inquadrano il personaggio con segni rapidi e incisivi:

Romeo Benetti

Baffi e solchi profondi

sembravi un boscaiolo:

monumento agli anonimi

*

 

Franz Beckenbauer

Ti seguiamo, capitano.

Ecco lo sguardo alto

più avanti del centrattacco.