Come suona? note di lettura di Paolo Polvani a Eu-nuca, di Patrizia Sardisco.

     

Il primo dato che colpisce della poesia di Patrizia Sardisco è la sapiente tessitura lessicale, dalla quale emerge una evidenza illuminante: la consapevolezza nel trattare la lingua come una materia da plasmare, che costituisce, a mio parere, il passaporto per accedere alla geografia dei poeti. Leggendo ultimamente un bel libro di Fabio Stassi, Ogni coincidenza ha un’anima, (edizioni Sellerio) mi sono imbattuto in questo breve brano che illumina appieno un basilare concetto: – Un poeta argentino invitava i lettori a non porsi troppi quesiti sul libro che stanno leggendo. Domande del genere: di cosa parla questo romanzo? Com’è fatto? Qual è lo stile? Insomma, tutte le menate sul messaggio, le intenzioni, l’architettura… Per quel poeta una sola domanda aveva senso. Una domanda di appena quattro sillabe: Come suona? Ecco: l’unico interrogativo ragionevole che un lettore dovrebbe porsi di fronte a quello che legge è chiedersi sempre come suona. –

Come suona questo ultimo libro di Patrizia Sardisco? Suona come suonerebbe un abito uscito dalle mani di una sarta accorta, con le rifiniture perfette e la scelta dei tessuti, l’accostamento dei colori, come suonerebbe il preparato di un abile farmacista, esperto nel calibrare al meglio ogni ingrediente, suona come sa farlo suonare un vero poeta, ogni parola si accoppia splendidamente con la precedente e va felicemente in sposa alla successiva, si sente l’uso di un bilancino istintivo che permette di distillare ogni singola sillaba in modo che ne risaltino tutte. Nella prefazione Anna Maria Curci illustra molto bene la qualità della scrittura: – …fa tesoro di allitterazioni, assonanze, scarti e sostituzioni di lettere, cambio di vocali, prossimità di suono e diversità di significato. Si tratta di una forma poetica matura, nella quale il rischio dell’indulgere nel mero gioco linguistico è ampiamente scongiurato. –

Suona come una potente invettiva contro l’Europa imprigionata dentro una visione dominata dagli imperativi della finanza: – in sogno hai creduto che bastasse / mettere in fila piccole monete -; nello specifico contro i paesi della comunità europea, di cui Eu costituisce l’acronimo, un’Europa vista di spalle, cui sono stati tagliati gli attributi, da cui il titolo Eu-nuca, identificata come una Vecchia incontinente, che tiene stretta al petto la borsa,  – bene al riparo da spifferi ideali -, che tiene d’occhio -le chiavi dei cassetti / dal suo salotto buono -, ormai incapace di umanità, incapace di fungere da guida, da punto di riferimento, preoccupata di – rinforzare le linee / di confine / esaltare le campiture interne -.

Suona come una musica della contemporaneità, ricca di stridori, di frizioni, di richiami alle contraddizioni, immersa in un linguaggio che registra gl’incubi diurni di una cronaca che sempre più si contamina di effluvi criminali:

ogni tensione è all’uopo dirottata
per linee di deflusso sociofobico
intramurarie e dighe
con ai piedi gli anfibi, alla bisogna.

Un’Europa – attenta a non mostrare il volto umano -, presa nella morsa dei grafici, schiava di una perenne idea di crescita, timorosa degli equilibri dello spread e delle divaricazioni del pil, ormai spacciata: – la Vecchia ha il suo orticello -:

– non sai quanto finissimo
quel laccio
che ti soffocherà.

Forse è questo presagio la nota positiva che percorre per intero l’ intensa e drammatica raccolta, in cui la parola Utopia ricorre come ultima spiaggia a sinistra.

non sono figli tuoi i fuori luogo
dove sono rotte le acque

frastuoni di fratture di
pangee incollate a freddo
e l’urlo di quest’ora è acqua in bocca
se è sbagliato il pigmento ne ignori l’ipossia

guardali, Vecchia, gettati al mondo
gettarsi all’altro mondo
saranno in chiaro adesso qualche ora
more di salmi oleografie e news

saprai l’eclissi del tuo eliocentrismo
senza salienza umana.

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