A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Ti ho ritrovato alla fine, uomo città. Note di lettura a Il poeta scomparso e altre storie di Silvano Trevisani (puntoacapo editrice)
Alcuni si chiedono se risponda a verità la sensazione diffusa che non ci sarebbe spazio, tra i poeti, se non per la rivalità e l’avversione. Costretti a contendersi l’esiguità delle attenzioni e una certificata irrilevanza, avrebbero come unica possibilità adeguarsi a sentimenti e comportamenti negativi.
Altra opinione da verificare riguarda la salute della poesia. Se lo stato di salute si potesse giudicare dalle iniziative, dalle antologie, dai siti e blog che continuamente nascono e fioriscono, dalle case editrici e dalle celebrazioni varie sparse per tutto il paese, la poesia non sembrerebbe passarsela così male. La poetessa polacca ci ricorda che “ad alcuni piace la poesia: ad alcuni / cioè non a tutti. / E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza”.
Minoranza tuttavia sufficientemente rumorosa e vitale.
Silvano Trevisani ci dimostra che l’amicizia e l’attenzione possono esistere anche nelle relazioni tra poeti, perché al poeta Pasquale Pinto, di Taranto, dedica una raccolta dal titolo: Il poeta scomparso, e altre storie.
“Un’indagine in versi, nei luoghi e nelle memorie, alla ricerca di Pasquale Pinto, amico poeta la cui grandezza fu uguale all’incomprensione, o forse anche maggiore della dimenticanza”.
Al centro del libro la vicenda umana e poetica del poeta scomparso e ampiamente dimenticato. Silvano parte dai luoghi, dalle persone che lo conobbero, dalle sue frequentazioni, dalle passioni che lo animarono, in maniera dettagliata, precisa, a volerne ricostruire, oltre alla personalità, lo stile.
Nella nota iniziale, l’autore dichiara: “Erano le stagioni della poesia. Giovani, avevamo tanta voglia di ripercorrere insieme le tracce dei grandi che ci avevano preceduto. Tra noi eri tu, Pasquale, un mondo a parte. Chiaro e incomprensibile allo stesso tempo. Era per te una malattia, una ferita aperta nel corpo e nell’anima, il primo alle prese col tuo lavoro in fabbrica, il secondo con voli irrefrenabili. Ti potevi fermare a scrivere dovunque ci fosse una macchina sulla quale ricopiare i tuoi appunti, lo studio di un amico, l’ufficio del reparto, una redazione che ti dava spazio”.
Il primo dato: il libro si snoda in forma dialogica, i versi si aprono verso un “tu” con cui si aveva, e si continua ad avere, affinità e vicinanza, così il lettore si trova in presenza di un confronto nel quale inevitabilmente si sente ricompreso, e viene spontaneo avvertire la presenza del poeta scomparso.
Si parte così dai luoghi, da quelle strade sporche “della nostra diffidenza reciproca”, si fa sosta nella biblioteca, dove a milioni consegnarono i sogni, e dove
“I tuoi libri non ci sono, oppure giacciono
fuori catalogo in attesa
di diventare polvere gloriosa delle tarme”.
Un passaggio obbligato è la trattoria, dove il poeta scomparso s’intratteneva a lungo, in interminabili conversari, con la poetessa Alda Merini, e poi la redazione del giornale, “Che non c’è più niente dove noi vivemmo”. Ma centrale, nella vita del poeta scomparso, rimane la fabbrica del settore siderurgico che tanta parte ha occupato non solo nella vita di quell’operaio alimentandone l’ispirazione e fornendogli motivazioni rabbiose, ma anche nella vita del paese con le infinite, a volte contraddittorie decisioni del potere, e discussioni e lacerazioni continue, tra bisogno di conservare il lavoro e necessità di tutelare la salute pubblica e la vita umana, quella dei bambini soprattutto. La città di Taranto ha fatto esplodere questa contraddizione, tutela del lavoro da una parte e tutela della salute dall’altra. E in un mondo dove è il profitto a disegnare le rotte, al momento sembra la prima la necessità più urgente.
Questa lacerazione trova riscontri sempre più stringenti nelle voci dell’arte, nel cinema negli ultimi tempi con La palazzina Laf, e precedentemente in quel film strano e geniale di Sergio Rubini, Il grande spirito; affiora nei versi di un altro poeta originario di Taranto, Christian Tito, e anche in un bellissimo libro di Alessandro Silva, L’adatto vocabolario di ogni specie, che descrive l’odissea di un operaio nell’Ilva di Taranto; e sicuramente in altre espressioni artistiche che non conosco o che non ricordo.
Dunque l’operazione che persegue il poeta Silvano è ricalcare il percorso esistenziale e poetico dell’amico scomparso, entrare nella chiesa dove si fermava “ad impiantare nuove situazioni”, e nel costone del castello, e nel Mar Piccolo, fino all’incontro decisivo, a quel suo primo amore per Marilena. Nel ripercorrerne i luoghi, nel riecheggiare dei versi, dei sentimenti e dello stile poetico, Silvano può affermare: “Ti ho ritrovato alla fine, uomo città”.
Le altre storie di cui parla il titolo meriterebbero uno spazio e un approfondimento esteso, si tratta di sguardi allargati sul mondo, dove si scopre che il paradiso ha un sapore di menta, ed entrano in scena una barbona e una pornodiva con i loro monologhi e confessioni, e poi dal diario di un’amica apprendiamo di come effervescente sia stata l’attesa dell’estate e di nuovi adolescenziali amori.
Il linguaggio è franco, diretto, e tuttavia si avverte una dimestichezza con una lingua il cui utilizzo quotidiano ha affinato, plasmato, per via del mestiere di giornalista che Silvano ha svolto lungo tutto il corso della sua vita. Uno sguardo originale, una prospettiva interessante da cui osservare il mondo.
Se l’intento di Silvano era quello di rendere omaggio all’amico poeta, disseppellirlo dalla dimenticanza e accendere curiosità sulla sua figura, il risultato è sicuramente positivo, sono andato a cercare informazioni e notizie su di lui, che non conoscevo, e ho scoperto cose interessanti, che sicuramente anche altri cercheranno e scopriranno, per esempio, di Pasquale Pinto, questa bellissima poesia:
Quando è mezzogiorno al mio paese
le tasche dei vecchi
si gonfiano di sole
come mille lumini
che nemmeno i morti
si sognano di avere
Quando è mezzogiorno
i vecchi del mio paese
appoggiano le mani alle ringhiere
per salutare milioni di naufraghi
che si specchiano
in una cristalliera di sale
Se quando morirò
sarà mezzogiorno
lasciatemi vedere quel mendicante
che si abbronza al sole di una moneta
Inoltre questa felice notazione di Stefano Modeo che nel dedicare al poeta Pasquale Pinto una ricca e articolata recensione, riflette sul ruolo che la città ha avuto in tempi recenti: “Taranto vive ancora il sogno di essere una sorta di capitale del Mezzogiorno. Legata alla grandezza appunto della Marina Militare, compare spesso nelle sale cinematografiche ne La settimana Incom ed è una delle piazze culturalmente più ambiziose del meridione. Da qui passano e scrivono: Carlo Bo, Giuseppe Ungaretti, Alberto Savinio, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Battista Angioletti, Aldo Palazzeschi, Felice Casorati”.
Infine, piacevole scoperta, l’editore Marcos y Marcos nel 2023 ha ripubblicato i versi di Pasquale Pinto in un volume dal titolo La terra di ferro e altre poesie (1971-1992)
Prima colazione al bar
Come anime appese ai loro corpi
dissetate di sguardi senza specchio
stanno i ragazzi. Stringono i sorrisi in pozioni colorate
quelli che stamattina non andranno a scuola. Invidio
la loro strafottenza io che sono sopraffatto da morali stabili [e provvisorie
Ho giurato di amarli, ho mentito
gli scaraventerei addosso la verità,
che non posseggo, ma la brama
di ricerca che mi ha messo per strada
e tra di loro. Ma adesso sono a caccia
di te poeta scomparso perché ho contratto un debito
con la tua memoria.
Che mi porta a rileggere
incessantemente i versi che mi avevi consegnato.
A volte lo incontravo qui, dico a voi,
se aveva mille lire
scampate alle requisizioni. Se incontravi
qualcuno che ti stesse ad ascoltare
per patetica inclinazione alla pietà,
o postumi rimpianti alle sfide calcistiche
cui un tempo appartenesti.
° ° ° ° °
In fabbrica
Adesso che ci penso, le siviere
avranno vomitato tante storie
di fuoco fuso, di dolore impregnato di materia
ma parole tu ne hai versato, qualcuno
che ricordi il suo inizio, la tua fine anni fa
sarà rimasto. Ma dove bussi cancelli imponderabili
di vuoto
parcheggi dove mestano
prestatori d’opera? Chi siete voi metalmeccanici
che riscuotete la memoria
avendone perfida malia, per riscattare un oggi
da una morte che vi guarda dalla busta paga?
C’è qualcuno che ricordi
Pasquale, un operaio che contava le ore a rime alterne?
° ° ° ° °
Il magazzino ex Ilva
Una traccia di polvere m’insegna
una strada, nascosta tra maree di laminati
orme che vanno verso il magazzino, era qui
che viveva la tua rabbia da operaio
sempre qui che cadevano
stelle di acciaio fuso
e qui che le canaglie ti mandavano
a caricare secchi di energia, casse
di frammenti ilotici, frattaglie di albuminio
e la tua bile travasava in secchi di poesie
che ci andavi a innaffiare i giardini
di villa Peripato. Le grandi porte
si aprono al silenzio. Non c’è in reparto
che qualche volto lacero
disperso in un revamping mai finito
maschere di operai all’accatto
di un po’ di cassa ordinaria. Loro non lo sanno
che combattevi qui la tua battaglia
contro la vita, il sesso, la scrittura
inutile persino nominarti, non ti vedono
tra gli scheletri anneriti degli armadi
sprovvisti di utensili, arrugginiti,
era qui il mondo nuovo dove
finiva crocifisso
il popolo nato solo ieri
dagli espianti di ulivo in terra madre.
E ciò che ti dava da vivere tu lo odiavi.
° ° ° ° °
Incontro con Marilena
Marilena tu
eri giovane allora, quando un amore
insidiava bellezze irraggiungibili.
Fatte di seni imbrattati di lune
e di sguardi che fantasticavano il tuo corpo, spalmandovi poesia.
Almeno lo ricordi, tu,
prendere appunti col lapis
sul giornale del mattino?
E continuare il racconto di una città perduta
nella sua
anima perduta
nella sua città?
Se almeno il rimorso descrivesse
dov’è, sulla tua bocca, che lo perdemmo
spingendolo verso il mare, saprei
dove cercarlo ancora. Per additarlo a tutti i poeti
che verranno.
° ° ° ° °
Dal diario di un’amica
L’estate ci chiamava per nome e ci diceva
che anche quest’anno avremmo ritrovato
quel noi da spiaggia che ora non ricordi.
Eravamo ragazzi da arrembaggi
letterari sotto le freschiere, dove
sfilavano ardue confessioni,
sempre se non eri stato rimandato,
e gli amori d’estate erano intrecci
di poesia indecifrabili. Indecisi.
E dove un bacio lo avresti pagato oro
se oro avessi mai avuto. Ma nessuno
a quel tempo dava baci
se non in pegno di estorsioni amiche.
Amiche, che patetico delirio rivedervi
in quella conca in cui non c’è più sabbia,
neanche di un granello di memoria.
Ti ricordi di me?
Silvano Trevisani, giornalista professionista, già responsabile dei servizi culturali del “Corriere del giorno di Puglia e Lucania”, è redattore capo di nuovodialogo.com”, responsabile del bimestrale di poesia Il sarto di Ulm (Macabor), collabora con giornali e riviste. Ha pubblicato oltre cinquanta volumi di arte, storia, economia, letteratura, poesia e narrativa. Ha curato saggi, monografie e antologie. È presente in antologie, riviste e siti web. Tra gli ultimi lavori: Alda Merini tarantina (Macabor 2019), l’antologia La guerra che è in noi (Macabor 2023), il thriller satirico Cosa sarei senza di me!? (Radici future 2013). Per la poesia ha pubblicato: Poesie (Amadeus 1995), L’altra vita delle parole (Nemapress 2012), Le parole finiranno, non l’amore (Manni 2020).
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