A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Senti il cielo crepitare di pungente gioia: note di lettura a La gioia delle incompiute, di Rita Greco (Giuliano Ladolfi editore 2021)

 

Affacciarsi a un libro di poesia all’inizio è come varcare la soglia di una stanza in penombra, ci si abitua alla luce con pazienza, si riconoscono piano gli oggetti, i contorni dei mobili, le pareti, ci si muove con lentezza e circospezione prima che la definizione delle cose non ci divenga familiare. Allora ci aiuta la lampadina di un titolo, la luce che diffonde e che incuriosisce, che indica la possibilità di un percorso. Così il titolo del nuovo, secondo libro di Rita Greco, La gioia delle incompiute, suggerisce un tema caro alla poesia di Gozzano, rimanda ad alcuni famosi versi:

Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state…

E in realtà il tema del libro appare esattamente questo: – i sogni rimasti a dondolare nella culla dolce del chissà -, le cose che non sono mai diventate cose, ci si muove dunque dentro un eterno dondolio, -indecisi se vivere / sia ancora un miracolo / o una punizione. –  E tutta la raccolta è giocata intorno a questo movimento, a questa altalena di domande, a questo pendolo esistenziale: – Ma il dubbio / è il nostro pane quotidiano –

Si registra inoltre in questa raccolta una singolare coincidenza tra versi e immagine dell’autrice, che non conosco personalmente ma solo in foto, e tuttavia aleggia nei versi quella stessa grazia, quella stessa decisa bellezza cui l’immagine rimanda.

Credo che gli aggettivi bruna e riccia, associati alla parola poesia, creino un connubio interessante per una poesia che interroga e si interroga, si agita nel dubbio, osserva la concretezza delle cose, una poesia che, nel registrare le inquietudini del tempo, si increspa, si arriccia.

 

Si danno le spalle per tutto il giorno

ognuno intento al proprio solco

marciando risoluti al soldo del dovere.

 

La sera li chiude allo stesso tavolo

più dei coltelli che sminuzzano il cibo

sono armi gli occhi che guardano nel piatto.

 

Solo di notte resiste una traccia

quando lui nell’istante

in cui riemerge dal sonno

trovandola

la abbraccia.

Sentimento della precarietà che aleggia in tutto il libro, riaffiora in molti dei testi, a volte in maniera esplicitata con decisione: – L’uomo è questo essere eternamente in bilico -, altre volte in maniera accennata: –   guarda / ho il cuore liquido / e mi scorre in ogni direzione. –

Trovo molto interessanti anche i titoli delle sezioni di cui si compone il libro, soprattutto L’ombra amorosa, che suggerisce il moto ondivago dei sentimenti, perché – Le cose sono fragili e si rompono -, e tuttavia è forse la sezione dove più alto si avverte il senso di meraviglia e di attaccamento alle gioie che la vita regala, e difatti è un piccolo canzoniere di minime felicità soprattutto domestiche: si susseguono versi dedicati alla madre, alla nonna, agli affetti familiari più stretti, e certamente una delle più belle è dedicata al padre:

La tua mano

era una nuvola carica di pioggia.

L’ho sfiorata appena,

si sono alzate in volo

tutte le mie solitudini.

 

Che nome porti ora, padre,

quale sguardo indossi

per sapere chi siamo

in quale sogno decanta

il tuo silenzio?

 

Il cielo stesso ora

è un sogno azzurro

pieno di ali.

 

È interessante imbattersi in questa assoluta capacità del canto, in questo bellissimo levarsi in volo delle parole, perché se la possibilità di un linguaggio articolato è appannaggio esclusivo dell’essere umano, soltanto ad alcuni è dato di fare della parola strumento di volo attraverso il quale altri uomini possano staccarsi da terra e guardare dall’alto il panorama delle cose umane, l’ombra amorosa che a volte ci sfiora e a volte ci avvolge e a volte si allontana. E quindi ripetere titubanti con Rita: – allora esiste / balbettammo confusi / quella cosa che chiamammo amore. –

Altro titolo suggestivo di una successiva sezione è Addomesticare lo spavento; il primo verso della prima poesia recita: – Questo è il luogo dei rovelli desolati -. Il sentimento che più a lungo ci abita è la paura. Lo spavento fa parte della famiglia della paura, ma con la maggiorazione data dall’imprevedibilità, con un’intensità assimilabile a un sussulto, uno scoppio, un assalto di paura quindi. Poi scoperchiai un coro di spavento, dice Rita in alcuni versi, – ciascuna voce / era la mia -.

 

Era facile per voi

stare nelle parole quiete

dire buongiorno

buonanotte

ti va un caffè

ci vediamo dopo

e chiudere così

il circo sonnolento della vita.

Io invece avevo parole dure

o troppo dolci per essere comprese

ronzii che sciamavano nella testa

dubbi balbettanti

silenzi addirittura

qualche volta un urlo

che tagliava in due la verità

e per questo

per questa colpa inenarrabile

fui derisa a morte.

Si affaccia qui il disagio del poeta, quel difficile cammino in mezzo agli uomini e alle cose concrete della vita, quel disagio che assimila il poeta a un pellicano sgraziato sulla tolda della nave, ma che diventa meraviglioso quando spicca il volo, e così – Mi fissa una parola / come una pupilla sfolgorante – e più avanti

La poesia non ha nome

la poesia

si chiama resurrezione

e io la ricevo

con la gratitudine

che si deve a un dono inatteso

la contemplo

come un fiore di luce

che si schiude

tra le mie mani.

Probabilmente la sezione più vibrante dell’intero libro è quella dal titolo Canti in divenire. Qui davvero il canto raggiunge livelli molto alti e riguarda da vicino la poesia: – Io chiedo alla poesia / la cura e l’abbandono / il fascio di luce che germoglia-

La poesia in questa raccolta è una presenza costante e continua, si affaccia dai versi a ricordarci la colpa dissolta, l’onda lunga del perdono, una ritrovata sintonia con la vita. In un bellissimo saggio dal titolo Respirare. Caos e poesia, Bifo scrive: – Hoelderlin intuisce che l’intima tessitura dell’essere è il respiro: ritmo poetico. Intendo qui enfatizzare il significato ontologico del ritmo, e segnalare la forza fondativa di questo concetto: il ritmo non si riferisce soltanto all’emissione di voce, al suono della materia, ma anche alla stessa vibrazione del mondo. Il ritmo è la vibrazione più intima del cosmo, e la poesia è un tentativo di sintonizzarsi con la vibrazione cosmica, con la vibrazione del tempo che viene e ritorna. –

Dunque le cose incompiute, tutto quello che poteva essere e non fu, generano un vuoto, spalancano una voragine, e dal fondo di questo abisso emerge la consapevolezza che si colora di gioia: – e se in realtà non sono che rumore / è perché io più di tutto / sono contraddizione. –

Sicuramente ci portiamo dietro il rimpianto di tutto ciò che poteva essere e non fu, questa perenne nostalgia che poi sfocia nel canto. Tramutarlo in canto è di per sé la gioia, tante cose potevano essere e non furono, ma fu il canto che ne determinò il loro tramutarsi in gioia, fu il canto, fu la poesia, la pietra filosofale che trasformò il piombo di tutto quello che svanì e restò incompiuto, nell’oro della trasformazione in gioia.

 

Tutte le parole alla rinfusa

sillabe scoscese canti in divenire

oh! la luce buona di certe mattine

quando ogni gesto ha una destinazione

braccia di madre tese a fare il mondo

a schiodare il dolore dal tutto il creato.

 

Senti che sinfonia il nuovo giorno

senti il cielo crepitare di pungente gioia

e tutti i pianeti scintillano nei tuoi occhi

nei tuoi occhi danza la vita musicante e io

e io così piccola e buia

non riesco a contenerla.

 

Angeli del sogno, venite in moltitudini

portateci in dono lo splendore alato

che è stato nostro

e non lo ricordiamo più

portateci la parola casa

e la parola grazie

pane radioso che sazi la nostra fame

coppe panciute da cui bere la bellezza

poesia a profusione

la parola cura

la parola amore.

 

Guarda com’è alto il cielo adesso

guarda come pascola il bianco delle nuvole

con la pioggia ora si fa dono

lucida la foglia già pronta per il sole

non c’è fine a questo compimento

tutte le cose sono saranno sono state

come questo mattino che già canta nelle gole

come questo mattino che da secoli srotola le ore.

 

 


 

Rita Greco, classe 1979, è nata e vive a Mesagne (Br). Scrive poesie fin da giovanissima e si è classificata nei primi posti in diversi concorsi a livello nazionale. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie “Perché ho sempre addosso un cielo” (Il Filo Edizioni). Diplomata attrice professionista con il massimo dei voti presso la Scuola d’arte drammatica della Puglia Talìa, conduce laboratori di teatro-poesia nella scuola primaria. Ha portato in scena, tra gli altri, reading poetico-musicali su Tagore e Neruda. È vicepresidente di “Solidea 1 Utopia”, associazione culturale che dal 2009 realizza eventi teatrali e letterari sul territorio, tra i quali il Premio letterario nazionale “Città di Mesagne”.