A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Ritratti di donne attraverso lo specchio: intervista a Ombretta Cigni con una selezione di poesie inedite
Perché per presentare le tue poesie hai scelto il titolo: Ritratti di donne attraverso lo specchio?
Il titolo “Ritratti di donne attraverso lo specchio” raccoglie un gruppo di poesie scritte in epoche diverse dedicate a donne importanti della mia vita: madre, nonna, sorella, care amiche e vorrebbe richiamare la loro immagine riflessa nella mia mente, appunto attraverso lo specchio del ricordo o della impressione fugace che mi hanno lasciato in particolari momenti. Si tratta di impressioni molto soggettive indubbiamente, molto personali e transitorie, ma sono dei tentativi di fissare la contorta e spesso contraddittoria lotta di sentimenti antagonistici che si intrecciano dentro di noi: amore e rabbia, affetto e invidia, ammirazione e gelosia, eccetera. In questo senso ho tentato di far emergere il lato umano e condivisibile da molte/i dei sentimenti personali e soggettivi che affronto nei testi.
Ci sono riuscita? Non so, ma posso dire che ho cercato di essere pienamente sincera e di smascherare le ambiguità di certi sentimenti in chiaro-scuro.
Queste poesie rappresentano un tentativo di riappacificazione con le figure familiari evocate? oppure vuoi resuscitare? o seppellire?
Queste poesie non tentano né pacificazioni, né altri obiettivi relativi ai reali rapporti che io ho o ho avuto con le donne della mia famiglia. Quei rapporti si sono evoluti, giorno dopo giorno, generalmente in un clima positivo e non conflittuale, punteggiati dai naturali screzi che si presentano nell’incontro di personalità distinte e nei complessi intrecci esistenziali. I miei testi sono piuttosto un tentativo di sondare le ambiguità in gran parte nascoste e inconsce che gravitano intorno alla mia mente, in cui si sono mescolati, in particolari momenti, sentimenti molto contraddittori. Forse sono un modo per far emergere i miei sensi di colpa per aver provato certe emozioni, come invidia, gelosia, rimorso o rimpianto….
Nelle tue poesie quale funzione ha la spaziatura a volte irregolare tra i versi?
La spaziatura dei miei testi non è casuale, ma ho provato a dare un senso anche estetico alla disposizione dei versi nella pagina bianca. Devo confessare che non mi piace molto la semplice organizzazione dei testi “giustificati a sinistra”. Mi piacerebbe che le parole, con la loro struttura metrica, emergessero nel vuoto della pagina bianca creando un loro profilo visivo, una specie di ombra proiettata dal corpo verbale e semantico del testo. Così, ad esempio, in “Poema Madre” ho scelto la spaziatura centrale e una divisione in strofe che mi piacerebbe che disegnasse forme armoniche.
Spesso poi ho deciso, anche all’interno dei versi, delle spaziature che potrebbero apparire talvolta prive di senso. In realtà esse tentano di raggiungere un doppio obiettivo: il primo è appunto quello di creare forme compatte e ordinate, il secondo è di distanziare le parole, creando delle cesure interne, obbligando il lettore a fare delle pause, a leggere lentamente, a fermarsi per riflettere sul senso o sul suono o sulle evocazioni plurime che le parole contengono. Naturalmente non so se ho raggiunto gli obiettivi. Al lettore va l’ultima parola!
Ti sei laureata con una tesi su Chlebnikov, pensi che la conoscenza approfondita di questo poeta ti abbia condizionato in qualche maniera?
Dopo aver lavorato quattro anni in Russia, mi sono Laureata in Lingue (Russo e Anglo americano) a Cà Foscari per continuare lo studio di una lingua che amo molto e ho scritto una tesi sull’opera multidisciplinare futurista “La Vittoria sul sole”(con scenografie di Malevic, musiche di Matjushin, testo di Krucenych ). L’opera presenta anche una introduzione molto originale di Velimir Chlebnikov, un geniale poeta russo poco conosciuto in Italia perché molto difficile da tradurre. I suoi esperimenti linguistici mi hanno appassionato e dunque anche condizionato, ma io non ho il coraggio rivoluzionario di inventare una nuova lingua poetica, come ha fatto lui. Mi limito a tentativi un po’ ingenui di usare talvolta parole di fantasia, che mi sembrano evocative. In particolare nella poesia dedicata alla memoria di mia madre, la motivazione è dovuta anche a una dolorosa esperienza reale: negli ultimi anni di vita, mia madre, affetta da una grave demenza senile, non riusciva più ad articolare correttamente le parole e pronunciava termini o sillabe incomprensibili, con i suoi grandi occhi sgranati, ed era straziante non poter capire ciò che voleva dire. Allora, ho provato a dare un senso “poetico” a quei tentativi, ricordando anche certe associazioni di suoni e significati che Chlebnikov amava adottare.
Hai insegnato a lungo in università straniere, sei entrata in contatto con movimenti e situazioni letterarie e poetiche diverse. Che esperienze e sensazioni ne hai riportato? In cosa differiscono dalla situazione italiana? Come viene considerata la poesia nei paesi dove sei stata?
Le mie esperienze all’estero mi hanno dato parecchi stimoli, ma sono state molto diverse tra loro, anche perché mi sono trovata a lavorare come insegnante di lingua italiana in facoltà di Lingue, con incarichi diversi. Talvolta, ad esempio a Parigi, lavoravo in una facoltà che univa il Diritto alla conoscenza delle lingue straniere, dunque assai poco legata a temi di natura letteraria. In Slovenia, mi è capitato di entrare in contatto con l’ambiente della scrittura poetica, insieme all’amico poeta Valdo Immovilli, durante il festival di poesia di Vilenica, in una situazione molto stimolante di incontri “di-versi”, culturali e linguistici.
È stata comunque la Russia il paese che mi ha conquistato di più. I Russi amano la poesia, quasi tutti leggono i testi dei loro grandi poeti, li conoscono a memoria, talvolta li intrecciano alle loro conversazioni quotidiane. Era così negli anni tra 1996 e il 2000, quando ho vissuto a San Pietroburgo, e spero che sia ancora così, perché la poesia aiuta a vivere meglio e sono convinta che una persona che apprezza davvero la poesia non possa nutrire a lungo sentimenti negativi.
Ritratti di donne attraverso lo specchio
POEMA IDA IRMA
IDA IRMA orma di donna
Nonna dalle belle gambe
Tra le spine del biancospino
Che potavi con regolarità
Non sono venuta al tuo funerale
Sotto i panni. Il tuo corpo bianco
Aveva la poesia lisa delle tue canottiere
Come la pelle delle tue mani di velina
Grattugiata. dalle rose del giardino
Bianca rosa spina IDA e IRMA
Non sono venuta al tuo funerale
Ti amavo da lontano lontana
Pensavo la tua durezza altera
La tua austera femminilità
Nella testa riecheggiano
I tuoi consigli di sacerdotessa
Dai sacri nomi inascoltati
IDA e IRMA femminili disegni
Che nascondevi in doppio segreto
Non sono venuta al tuo funerale
Un vento potente ghermitore
Con un nome difficile da pronunciare
Mi ha portata lontano mia IDA
Trascurata ora tu leggi il diario
Del nome che non ho scritto
Meglio di me cogli le sfumature
Delle cose che ancora non voglio dire
IRMA e IDA
Con circospezione salgo sul monte
Mi addentro nel rarefatto chiarore
Intorno alla tua orma d’assenza
Nel guscio d’IDA vuoto
Monte lasciato alle mie desolazioni
So che dovevo diffidare ma
Anche il tempo sconsiderata-mente
Qualcosa vale! vale mia Ida!
Non sono venuta al tuo funerale
IRMA occhi di mare chiaro
Come la tua mente senza illusioni
Con delicatezza prendo i tuoi nomi
IDA e IRMA
Accarezzo teneramente
quel quarto di saggezza
di te che porterò
con cura nel petto
quando mi avrai perdonato
MARIA SORELLASTRA
Piccola venere del riformatorio
Chi ti vuole chiama un nome ruffiano
Di musica perfetta e spergiura
Come la tua voce di zucchero
E la tua lingua doppia e caina
Maria Zita
Bambina di marmellata
Di frutta di miele di bosco
Se tu dicessi la parola vera
Nell’orecchio dell’uomo
Se io tacessi l’invidia matrigna
A fior di pelle e di ciglia
Maria Spina
Ma niente t’importa d’altro
Che di ballare sulle pietre
Levigate e scalze
Selvatica rosa
Canina e orfanella
Maria Zingara
Se tu sapessi dire cos’è
La vita che tu tieni
La prova che tu non cerchi
L’assoluzione o l’essenza
Che non resta
Né buona né cattiva
Malerba e melagrana
Uvafragola e puttana
Maria Bella Luna
Diresti la cosa nascosta
Che tu hai. che io non ho
Ma che tu non puoi dire
Perché è dentro ciò che sei
Come il cielo non sa dell’azzurro
E la volpe del suo mantello.
POEMA MADRE
(Sulla lenta dissoluzione della memoria materna)
Non si possono fissare le persone
Non c’è modo di vedere oltre il corpo
Della nostalgia oltre l’istantanea
Degli occhi sospesi tra due punti
nel vuoto
La tua voce rideva
Madre degli anni leggeri
Morbida di lana e di tazze
Colme di latte e saponi al sole
Ora sempre più rara mamma
Chi poterà più le tue siepi?
Torna qui incarnata manna fiore
Nel giardino delle colazioni
Amatissima pelle tenera palma
Di mano. petalo in dissoluzione
Occhi sgranati di languido miele
Non si possono fissare troppo le persone
In quest’odore di lunga veglia
Il sole accecante prosciuga dietro il vetro
La vite nell’orto secco che germogliava
Tanto dolce una volta di uve e susine
Da marmellata come te mia dolce pesca
Chi poterà le tue siepi?
Non si possono fissare le persone
Nel transito tra l’occhio e il mondo
Nel vuoto d’aria dove ora guardi
Da cui vuoi liberare voci quasi
Indicibili prima di sorvolare
I soli e i raggi sottili
Con tazze colme
Di latte e canzoni
Non si possono fissare le persone
E nemmeno al senso le parole
Come te vera MADRE
Lascia allora dei suoni
Che aprano le strade
Lucide del ritorno
Litanie come assalòn
Sussurra garbata arbisòn
Recita ancora per me parole
Pure e algide al senso come vuote
Preghiere in amiro veliòn
O almeno lievi in volo
Verso la magica albi alisòn
Mama elleòn valma e dalza a te
Osanna finalmente emana
Da te un mana con ali
Aah, mamma le tue ali
Dispiegate nel tempo
ali doppiate nel tempio
DI Aiòn!
(Aiòn: nella tradizione cosmologica greca era una delle personificazioni del tempo, inteso come eternità, come tempo infinito)
ISOLA MADRE
Isola
Socchiusa pupilla del lago
Intima dell’onda concentrica
Non ti battono le burrasche
I seni dolci e riposati
Nessuna orma segna la tua mano di terra
Solo un’ombra alta si stacca dal cielo
E si scontorna nella macchia dei pini.
Isola del lago
Abitami la testa e il cuore
Con la pace del pesce che non cambia
Senza gesta o ambizioni di gloria.
Isola madre, donna piena
Con il caldo di un fuoco che non tramonta.
I pensieri si sbrancano irrequieti
E nuotano verso la tua notte azzurra.
Come verso il nido del falco migratore
AMOROSE PERFIDIE TRA AMICHE
Mio angelo ipocrita del settimo cielo
Che parli di golfi e coralli
Leccandoti il labbro con tenera bava,
Sull’orlo del tuo album di ricordi
Le rose hanno spine affilate
Come ad un ultimo duello.
Dietro il tuo sorriso pralinato
E un’arte consumata d’attrice
Si tendono nervi fragili di gatto
E sento che tu mi vorresti graffiare.
Il mio sguardo si sorseggia tutte
Le piroette dell’anima bastarda
Tra balze e ceralacche
Che atteggi in vetrina.
Tra le note graziose bevo
La luce negra dei tuoi occhi
E assaporo voluttuosa quella
Che potresti essere davvero.
Ma il tempo scivola via
E il muschio germina
Tra le pieghe della noia
Ecco basta – dici – vado via
Per non mancare all’appuntamento
Con il cugino di Belzebù.
Allora mi distendo sazia
Sull’orizzonte quotidiano
E mentre uno spillo mi gratta
Il ventricolo penso che a volte
Il vero nome dell’invidia è amore.
Ombretta Cigni è laureata in Lettere Moderne e Lingue (russo, inglese). Si è specializzata in particolare sul futurismo russo. Ha lavorato vent’anni nei licei italiani e dieci anni come insegnante di italiano in università straniere (San Pietroburgo, Lubiana, Parigi). Nel 2001 ha vinto il premio nazionale “A. Gramsci” con l’opera Polifonia della praxis; ha pubblicato la raccolta di poesie L’occhio sinistro ed. Noana; il catalogo Transiti che unisce prose poetiche ai dipinti di S. Mariani; ha scritto testi per composizioni di musica contemporanea di Daniele Torresan. Ha collaborato come curatrice e traduttrice/redattrice a diversi saggi e ha organizzato eventi culturali in Italia e all’estero.
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