A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Ragazzo mio, tu non conosci l’esametro dattilico, non combinerai mai nulla nella vita, quattro inediti di Vincenzo Petronelli
Un famoso brano contenuto nei Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke afferma: – I versi non sono, come crede la gente, sentimenti, ….sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose…-. Nei versi di Vincenzo Petronelli si avverte il respiro di un’esperienza vasta, si spalancano orizzonti ampi, non soltanto geografici, ma che dichiarano al contempo un’attitudine mentale, una grande curiosità e il desiderio di sperimentare territori nuovi. Vincenzo è originario della mia città e nelle veloci incursioni che lo portano a salutare la mamma, i parenti, gli amici rimasti qui, riusciamo a ritagliarci un paio d’ore sempre piacevolissime di chiacchierate, complice un gelato, e ogni volta scopro aspetti nuovi e interessanti: che ha praticato una lunga serie di attività sportive, dal calcio al rugby all’atletica, che ha studiato una serie lunghissima di lingue, che ha suonato in gruppi musicali, che ha collaborato con l’università e fatto molti lavori e che per lavoro ha viaggiato molto, che scrive e organizza eventi culturali, che si interessa di storia, di musica, di scrittura. Queste variegate esperienze regalano all’atmosfera delle poesie che ci propone l’incedere di un fiume ampio, la sorpresa di paesaggi nuovi e soprattutto una grande originalità. Penso che un occhio pieno di curiosità costituisca un ottimo investimento in poesia, e rappresenti una forma di dedizione al mondo, alla vita, che porta luce e aria fresca all’interno dei versi. PP
Le ragazze nei vestiti d’estate
La carrozza di mezzogiorno, lungo il viale dello Steccato,
accompagna il cambio della guardia nella torre d’avvistamento.
Il corridoio converge verso il tavolo da cucina: un cesto di fichi fioroni
ed un presagio di zingara, adornano il mattino della sposa di giugno.
La radio annuncia mare in tempesta tra Zara e il golfo del Quarnaro:
prevede vento di sciacallo e polvere da sparo al tramonto.
Dal balcone di Cesenatico, il professore dispensa saggezza all’ora del caffè: meglio il 4-
4-2, è più prudente.
Anna esce subito dopo pranzo per l’allenamento di atletica,
mentre suo padre depone l’uniforme socialista;
il quartiere è una girandola di glutei ondeggianti tra le finestre e la spiaggia, nella
penombra scabra de la tarde.
Le commesse al giovedì sera hanno occhi di scoglio e di miele:
ci sono carte da decifrare sul limes d’occidente.
Marisa ha un vestito da mannequin, nel deposito degli attrezzi agricoli: l’hanno vista
l’ultima volta in una notte chiara di cornacchie,
intrappolata in un labirinto.
Dalla finestra della scuola d’arte, i sorrisi delle ragazze nei vestiti estivi
ed il monito dell’insegnante di metrica latina: “Ragazzo mio,
tu non conosci l’esametro dattilico: non combinerai mai nulla nella vita”.
Il Viaggio
La lunga scia dei corvi sul mattino della Puszta;
con il bagaglio del loro sguardo
percorre a ritroso la staccionata del tempo.
Il sole ha i piedi nudi, nel livore di inizio marzo,
tra i volti di cera degli inverni
e trame di tessuti femminili.
Edith ha otto anni al risveglio:
indossa un vestito a fiori regalatole dalla nonna e legge i versi di Petőfi
seduta sulla panchina di pietra della scuola.
“Quanta stella c’è nel cielo
quanta cattiveria nel cuore dell’uomo?”.
Viaggia con i corvi e i contrabbandieri di confine
attraverso stanze di vento
e gli echi stranieri dei bambini nelle valli.
Nomi composti a memoria, di stazioni lontane
depositi di carri bestiame,
addobbati di cristalleria viennese.
I nomadi al tramonto hanno portano gli occhi con sé
per vedere il fiato opaco nelle stalle
-appena illuminate dai fuochi della csárda-:(1)
le orecchie per udire i tintinnii dei bicchieri di Galizia
e la tempesta strisciante dei violini”.
Maddalena ha un figlio con il capo reclinato:
ha sognato tanto il latte materno
da sanguinare dalla testa.
Lo culla, vestendolo con uno straccio da cucina:
“Quando sarete grandi, imparerete da voi stessi
delle lacrime dietro queste lettere
e dei pianti” (2)
L’ombra di suo padre in dissolvenza,
spugne d’aceto e una corona di spine,
dietro un’eco clamorosa di risate.
I cavalli sfilano in silenzio per le fiere dell’Est,
mentre ne sezionano il manto.
Gli anziani chiudono gli occhi, ripercorrendo i sentieri dell’Alföld,
la gola sotto l’ascia del signore.
Sazi, i corvi lasciano la pianura verso il mare Adriatico:
Croazia, Veneto, Puglia, a depurare le loro ali.
Edith ha ottantotto anni quando si addormenta
leggendo i versi di Petőfi: “Quanta stella c’è nel cielo,
quanta cattiveria nel cuore dell’uomo?”
1) Tipiche osterie popolari ungheresi, da cui deriva anche il nome del genere musicale popolare, che veniva eseguito proprio in questi locali.
2) Liberamente tradotto dal testo dell’ “Oyfn Pripetshik”,canto della tradizione ebraica dell’Europa centro-orientale, adoperato nelle scuole elementari per insegnare l’alfabeto ai bambini.
Zoo
La fragranza del pane caldo
si diffonde lungo il Prater.
All’uscita dal lavoro
il venerdì pomeriggio
sacchetti per la spesa Billa
ingombrano le panchine
in un sottofondo di tacchi a spillo.
Lo stregone del Burkina Faso
vende i suoi beni di famiglia:
portachiavi cranici
bambine imbalsamate
e cucchiai orbitali:
gli strumenti per il Gulasch.
György recita il “kis karácsony ének” di Endre Ady
tutti i giorni a quest’ora
da quando ha lasciato il lago Balaton.
Fuma sigarette turche
mentre incendia i capelli da ragazzo.
Le maniche dell’impermeabile
sbuffano al ritmo di compostaggi
raccolti al mattino nei cestini:
le suole delle sue vecchie Puma
bofonchiano impastate
in una lingua incomprensibile.
Biljiana non si è vista a lungo:
è rimasta chiusa nella West-Banhof
in attesa di una lettera da Norimberga.
Trascina la protesi in plexiglass
lontana dai cori del Kirye Eleison
per accarezzare le sue schegge;
da quando non ha notizie di Mennea
non è più una storia da prima serata
tra brandelli di vecchie salsicce di salame.
Gli altoparlanti
invitano il pubblico ad uscire
per l’inizio delle competizioni di tiro al bersaglio.
DANUBIO
Zuppe di cavolo e cipolla nel refettorio della vecchia scuola.
“Hogy vagy, Vittorio?”.
“Jól, köszönöm: csak nagyon hídeg van kint”.(3)
Káta Néni (4) aveva l’abbonamento all’opera:
adorava Mozart e Liszt.
“Una figlia di Liszt è nata a Como, lo sapeva?”.
“Certo: era molto prima delle “croci frecciate” (5)
Alla fermata di Gyöngyösy útca, si cammina
con la mano sulle borse
guardando le incisioni di Barnard. Veloci,
scorrono mani zingare lungo fianchi ormai di donna.
“Stasera abbiamo appuntamento con Pétra e Zita
per “quattro matrimoni e un funerale”.
“Sul Rakpart, (6 ) assaporerai l’umido del mio autunno.”
In fila per la distribuzione del gulyás levés (7)
a Keleti Pályudvar (8).
Per la notte, una luce da campo nelle cuccette del Venezia Express.
Il sermone del pastore calvinista, stasera
ricorda che gli ultimi saranno i primi.
“Padre, preferisco i primi: possibilmente anche con dei secondi”
Zsuzsa la bidella è rincasata tardi: le hanno offerto un contratto
ed un biglietto per Lugano.
Un numero in tasca ed una chiave pass partout.
“A víszontlásra továris” (9).
Le domeniche ai mercatini di Praga.“
Lassie Come Home, Furia, Rin Tin Tin
Hanno rubato il tempo ai giorni nostri.
Al crepuscolo si attraversa volentieri la deriva.
Pizza all’ananas e birra Borsodi in bottiglia.
Nelle boutiques in centro la collezione autunno-inverno Nietzsche
annuncia le prime correnti dall’Himalaya.
With our lives we give lives e Remebrances (10)
risuonano nel Parco degli Eroi.
Coppie di pattinatori danzano sul lago ghiacciato.
“Amo quest’atmosfera.
Non è male Budapest d’inverno, vero?”.
Un’auto in corsa con i finestrini neri.
Scrivere, in fondo, non ha molto senso.
Dissolvenza in campo lungo.
3) Trad. dall’ungherese: “Come stai Vittorio?”. “Bene, grazie: solo che fa molto freddo fuori”.
4) Zia Kàtàlin in ungherese
5) Milizie fasciste ungheresi
6) Lungo Danubio
7) Trad. dall’ungherese: “Zuppa di gulasch”: E’ questa la denominazione corretta del noto piatto della cucina magiara.
8) È una delle stazioni ferroviarie di Budapest: la stazione orientale
9) Trad. dall’ungherese: “Arrivederci compagni”. “Compagni”, qui inteso nel senso del glossario comunista, è riportato con la magiarizzazione del termine russo.
10) Brani tratti dalla colonna sonora del film Schindler’s List del compositore John Williams.
Nato a Barletta l’8 novembre del 1970, sono laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiedo ad Erba in provincia di Como, dove sono approdato diciannove anni fa per amore di quella che sarebbe poi diventata mia moglie ed ho una figlia di 15 anni.
Dopo un primo percorso post-laurea che mi ha visto impegnato come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e come redattore editoriale negli stessi comparti, oltreché in quello musicale, attualmente gestisco un’attività di consulenza aziendale nel campo della comunicazione, del marketing internazionale e dell’export: parallelamente, sono coinvolto professionalmente in vari settori culturali.
Come autore sono impegnato in diversi progetti letterari (sul fronte della poesia e della narrativa) e di storytelling sportivo, musicale e cinematografico, come autore di testi per programmi televisivi e spettacoli teatrali.
Nel contempo, proseguo nel mio impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia sul versante storico-antropologico, occupandomi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare, la cultura di massa, la storia delle religioni.
Sono altresì attivo nell’ambito della divulgazione e come storyteller in vari settori legati ai miei interessi (fra storia e scienze sociali, musica, cinema, letteratura), nell’organizzazione di eventi e festival culturali in diversi settori (musica, letteratura, teatro, divulgazione) e come promoter
musicale.
Sono inoltre redattore per il blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole” e collaboro con le riviste “Il Mangiaparole” e “Mescalina” occupandomi di musica, poesia e del rapporto tra poesia e scienze sociali.
Dal 2018 infine, sono presidente dell’associazione letteraria Ammin Acarya sita in Como.
Per quanto concerne la poesia, è una passione che mi accompagna ininterrottamente dall’età di sedici anni e che ho coltivato in modo febbrile nel corso del tempo, divorando libri di opere di poeti provenienti dalle più disparate tradizioni ed aree geografiche, per poi cominciare a comporre mie poesie in modo più consapevole dalla seconda metà degli anni ‘90. Alcuni miei scritti sono
comparsi nelle antologie “IPOET” edita nel 2017 ed “Il Segreto delle Fragole” edita nel 2018 entrambe a cura dell’editore Lietocolle,“ Mai la Parola rimane sola ” edita nel 2017 dall’associazione Ammin Acarya di Como, nel blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole” a cura del critico letterario Giorgio Linguaglossa e nel blog di poesia diretto dal poeta Flavio Almerighi.
POETICA
Ho sempre amato la poesia e la sua capacità di “curvare” le parole, come frutto dell’attrazione per la magia della parola e per la possibilità di plasmarla. Come tanti, ho cominciato a cimentarmi con i primi versi in età tardo-adolescenziale, per avviarmi a dei tentativi più “seri” e “sensati” attorno ai vent’anni.
La poesia ha sempre costituito per me il punto di convergenza e sublimazione della totalità del mio “cosmo” intellettuale, il ganglio attorno cui si annodano i miei amori per la letteratura e la storia, le scienze sociali e la linguistica, il folklore e la musica, il cinema e lo sport, in un concetto di “poesia totale” o come più mi piace definirlo, poesia antropologica. In ciò risiede la diversità di canoni linguistici e moduli espressivi che ho continuamente cercato di perseguire, attitudine figlia di una formazione poetica eclettica maturata assiduamente nel corso degli anni e snodatasi attraverso l’incontro con poeti, tradizioni e filoni i più disparati nello spazio e nel tempo; dalla poesia italiana novecentesca, alle tradizioni poetiche di area ispanofona e lusofona, slava, anglofona (irlandese in particolare), persiana, araba, cinese (in particolare la produzione dell’epoca T’ang), interessandomi tanto alla poesia culta che a quella di espressione popolare. Così, partito da un’impostazione più prettamente lirica, sono poi giunto, incarnando tale visione “olistica” (incapace per natura di rimanere ingabbiato dentro definizioni stilistiche o concettuali) a cimentarmi con scritti di impostazione più narrativo – prosastica, arrivando anche ad abbracciare il genere comico, poiché da sempre l’ironia è uno degli elementi caratterizzanti la mia personalità.
Un momento fondamentale di evoluzione, nel determinare l’attuale fisionomia del mio “usus scribendi”, è stata la maturazione del mio interesse verso la poetica del frammento, legato all’incontro con l’opera poetica di Tomas Tranströmer e con quella musicale (ma che trovo sia estremamente riduttivo incasellare nell’alveo di un’unica etichetta espressiva) di Franco Battiato, due artisti che in verità già conoscevo bene, ma del cui approccio poetico evidentemente non mi ero ancora appropriato adeguatamente; due artisti diversi, ma in qualche modo entrambi apportatori – insieme a tanti altri riferimenti approfonditi – per me di nuovi paradigmi ontologici, che hanno completamente trasformato la mia visione della scrittura.
Il frammento mi permette di abbattere le cesure convenzionali di tempo, luogo, espressive, concettuali, consentendomi da un punto di vista tematico di oltrepassare le stratificazioni apparenti della realtà, per ricercare le connessioni profonde: un lavoro di scavo e di osservazione “dall’esterno” simile a quello di un archeologo o di un antropologo; da un punto di vista euristico inoltre, ciò mi ha permesso, abbattendo le convenzioni del linguaggio lineare di individuare lo sbocco per quell’idea iniziale olistica della scrittura poetica, riuscendo ad accorpare nella poiesi l’interezza della mia universo cognitivo, estendendo i limiti del “dicibile” in poesia.
Dal punto di vista linguistico, amo passare dall’italiano ai miei idiomi locali (barlettano e andriese, mare e terra insieme) alternando occasionalmente anche scritti in alcune delle lingue straniere di mia conoscenza. Tra i nuclei tematici della mia poesia, alcuni elementi centrali sono il rapporto con la terra e la natura e le sue concrezioni profonde (in una sorta di interscambio continuo tra materia e spirito), la dimensione onirica come chiave di lettura dell’esistenza, il rapporto con la memoria (personale e storica), il viaggio e le scoperte delle “culture” in senso antropologico ed il loro rapporto con la storia.
23/12/2021 alle 14:09
Ti ringrazio infinitamente per la tua stima ed attenzione caro Paolo: è per me motivo di soddisfazione e gratificazione per il riferimento che la tua poesia e la tua opera di divulgatore rappresentano per me, oltreché per la sincera amicizia instauratasi. Ti ringrazio in particolare anche per tua lettura ermeneutica della mia poetica, di cui hai colto alcuni aspetti portanti. Auguro un Sereano Natale ed un buon inizio d’anno a te ed a tutti i lettori di Versante Ripido.