A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Gli uccelli impagliati nel corridoio della scuola ci guardano ancora. Intervista a Vittorino Curci intorno al suo ultimo libro: Poesie (2020-1997), edito da La vita felice, 2021

 

  • Quale motivazione è alla base della scelta di pubblicare le poesie con andamento cronologico inverso, cioè partendo dalle raccolte più recenti e proseguendo con quelle più lontane nel tempo?

Forse la vera motivazione è che non ho un buon rapporto con me stesso. Non sono mai soddisfatto delle cose che scrivo, penso sempre che potrei fare meglio. Non c’è affatto da parte mia una ricerca della perfezione (che non esiste e questo lo so da sempre), ma solo un tentativo di rinviare il mio incontro decisivo con la poesia ad un inizio che ho sempre davanti e mai nel passato. È insomma una specie di illusione ottica, parto dal presente per giustificare a me stesso, fin dove è possibile, le cose che ho fatto.

 

  • Sono molto belli i titoli delle raccolte da cui sono selezionati i testi, per esempio La stanchezza della specie, e anche Verso i sette anni anch’io volevo un cane, e anche molto suggestivo il titolo Liturgie del silenzio. In base a quale criterio effettui la scelta del titolo, e cosa rappresenta il titolo per la raccolta?

Nel tempo di scrittura di un libro la scelta del titolo per me è la parte più faticosa. Di solito passo in rassegna centinaia di titoli, è una guerra che non finisce mai perché sono pienamente cosciente che il titolo è importante. Invidio quei poeti che già prima di iniziare a scrivere un libro hanno in mente un titolo e non lo cambiano per nessun motivo. 

 

  • Nella prefazione Milo De Angelis scrive: “Conosco da sempre Vittorino Curci e ogni incontro con lui è un incontro di anime”. Ci racconti di questa amicizia?

Ci conosciamo da molti anni e ogni incontro con lui è davvero indimenticabile. Ho anche avuto la fortuna di conoscere quella singolare e splendida creatura poetica che era sua moglie, Giovanna Sicari, una poetessa che tutti dovrebbero conoscere. Le prime tre letture di Milo in Puglia le ho organizzate io. Prima ancora che amico, lo considero un maestro. E pensandoci bene non mai conosciuto nessun altro come lui, che ha dedicato tutta la propria vita alla poesia.  

 

  • Un’auto antologia rappresenta un traguardo, un punto fermo e a volte l’anticipo di una ripartenza. A quale eventuale mutamento stilistico, o tematico, prelude quest’opera?

Sì, è esattamente come dici. Scrivo poesia da quasi cinquant’anni e in questo libro ho raccolto testi, diciamo così, della mia maturità (mi riferisco soltanto all’età: so bene che non diventerò mai maturo, di questo sono più che certo). Così come è accaduto a tanti, ho approfittato del primo lockdown per fare il punto, per capire come andare avanti. Sono contento che il libro abbia avuto tante recensioni e sia arrivato nella terna finalista del Viareggio. Da tutto questo ho tratto molti stimoli, non solo letterari, anche umani. La mia ripartenza, comunque, era già cominciata  almeno due anni prima che il libro fosse pubblicato. Avevo già alcune idee in testa.     

 

  • Un tuo verso recita: – Siamo davvero lontani dalla quercia / e dalla rupe, dalle parentele più strette -. Ritieni che la poesia possa restituirci questo importante senso delle parentele più strette?

Certo. La poesia ci ricollega a un passato remoto e sconosciuto e a quel “pensiero del cuore” (che non ha nulla a che vedere con i sentimenti) di cui parla Hillman. Sappiamo veramente poco di noi. E per quanto riguarda la poesia, aveva ragione Ungaretti quando la definiva un mistero.

 

  • Nella stessa poesia altri versi recitano: – Un bambino ci viene incontro / portando in mano un lume a petrolio -. Sembra di leggere una profetica avvisaglia della presa di coscienza da parte dei movimenti giovanili a difesa dell’ambiente. Concordi con questa visione?

Vittorino Curci, Ph Francesco Liuzzi

Quel bambino sono io. Io di oggi che vedo me stesso bambino mentre cammino nella notte facendomi luce con un lume a petrolio. Ho paura, ma non ho altra possibilità che andare avanti sperando di incontrare qualcuno che mi salvi. Per dirla con Gramsci, il pessimismo dell’intelligenza mi dice che quel bambino non si salverà. A questo punto, piuttosto che arrendermi, non posso che affidarmi anch’io, come tutti, all’ottimismo della volontà.

 

  • Nella prefazione Milo De Angelis scrive: -L’infanzia percorre tutte queste pagine, con le sue scene antiche e il suo eterno -primo ottobre nel cortile della scuola-. Cosa rappresenta per te l’infanzia?

L’infanzia è uno dei temi ricorrenti nella mia poesia. E qui gioca un ruolo rilevante la lezione di Cesare Pavese (l’amicizia con Milo è cementata anche da questa comune passione per Pavese). L’infanzia è la nostra età mitica, anche se per noi è veramente complicato capire cos’è e come funziona un mito, perché non siamo in grado di concepire una società non ancora sottomessa a paradigmi concettuali e logici. Da questo punto di vista Pavese ci è di grande aiuto. Per esempio ci dice che il mito è “una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte” , e che “trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori dal tempo e lo consacra rivelazione”. L’infanzia è essenzialmente questo: rivelazione, un’esperienza fuori dal tempo a cui torniamo continuamente per capire chi siamo.

 

  • In che rapporto sono il tuo essere musicista e il ritmo che sale dai tuoi versi? Perché nella lettura si avverte spesso la sensazione di trovarci di fronte alla intensità di un assolo.

La musica mi ha dato tantissimo. Mi ha fatto capire veramente cosa significhi scrivere poesia. Non avrei alcuna esitazione nel sottoscrivere la famosa frase di Wim Wenders:”la musica mi ha salvato la vita”. Non è una questione, come si pensa, di musicalità dei versi. È molto di più: è concepire la poesia realmente come musica e, in definitiva, essere pienamente coscienti dei valori formali a cui l’arte è strettamente legata.  

 

    • Tu conosci la situazione della poesia in Puglia, una certa vivacità che la caratterizza, e anche la presenza attiva di alcune case editrici. Come ti sembra in rapporto alla situazione poetica italiana?

Ottima. Mai come in questi anni, direi. C’è un bel numero di case editrici coraggiose e professionali, e tanti, tantissimi giovani poeti di valore. Il futuro è in buone mani e di questo, in quanto pugliese, sono veramente orgoglioso e felice.

 

Non ero solo ad essere solo

 

le domeniche sera guardavo sugli usci

tutte quelle angeline e antoniette

vestite di nero che piangevano a vanvera.

mi sentivo un treno che ferma in tutte le stazioni

 

avevo nutrito l’attesa pensando al futuro come

un grande noce davanti alla casa, e mi ero portato

un libro per cercarti, magari in un’isola segreta,

in una grotta oscura bagnata dal mare

 

era tutto così contrastato che il barbiere

zecchinetto, sobbalzando sull’orto dei nascenti

dove la parte cieca sanguinava sui miei fogli

quadrettati, smise di giocare

 

la vita mentale del testo era di così breve durata

che mia madre aveva un’altra – più velata – voce.

il moltiplicarsi delle strade

imponeva suoni stolti e sfacciati

 

°   °   ° 

 

Giovedì 11

 

sorvolando alte ciminiere

testardamente preme sul foglio

per essere più cattivo

di quanto già non sia.

esito non poco prima di farlo

entrare. da qui però non vedo

 

casulli giovanni assente.

si scompare così dai paesi

e si è vivi da qualche parte

a sei anni, chi resta

non capisce mai bene

e vede ottobre

in uno stagno di lacrime

sante oppure

in un vaso di vetro giallo

con quattro gladioli

 

passano mesi ed è lì che

colleziona gessetti.

altri mesi, e si interroga

sull’onestà dei prezzi

 

con qualche sforzo si potrebbe

disegnare a memoria

quel volto, ma non per questo

uno si mette a piangere

in un farfugliare di giorni opachi

ci siamo formati sui

sussidiari del ringraziamento

ma i primi abbozzi

non sono mai buoni

 

gli uccelli impagliati

nel corridoio della scuola

ci guardano ancora.

la notte ci fanno scappare

dai sogni togliendoci il respiro

 

°   °   °

 

Mappe celesti

 

Altro non so, non

voglio che una provvida

sera e tanta fermezza.

Vedete, io riconosco le mie

nuvole dal grido concentrato

degli uccelli, dalle ombre

sull’orto, dagli odori

che sfumano sotto

gli ubiqui fraseggi.

 

Io duro fatica a vincere

il gesto che nessuno intende.

È la vigilia del suono,

del giorno che non ha

direzioni…

 


Vittorino Curci, Ph Francesco Liuzzi

Poeta, sassofonista di musica improvvisata e artista visivo, Vittorino Curci vive a Noci, in provincia di Bari, dove è nato nel 1952.
Collabora alla rivista «Nuovi Argomenti» e cura per «Repubblica Bari» la “Bottega della poesia”.
Finalista al Premio Viareggio-Répaci 2021, è presente in varie antologie di poesia contemporanea pubblicate in Italia e all’estero. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco, rumeno e arabo.